7 maggio 2012, Stadio Giuseppe Meazza, Milano Zlatan Ibrahimović medita, a fine partita, sulla sconfitta nel derby |
La critica ha probabilmente sopravvalutata la forza del Milan, forse perché misurata sulla presunta debolezza della concorrenza. A Milanello non si è costruito un preciso meccanismo di gioco; si è confidato nell'ampiezza e nella qualità della rosa (che non può tuttavia essere pesata sommando la qualità dei singoli componenti), composta peraltro da molti giocatori anziani e (o) fisicamente malmessi, evidentemente male allenati: stasera si sono visti alcuni di loro sbullonarsi al primo impatto con un avversario (Bonera) o con il pallone (Abbiati). Palesi sintomi di inefficienza complessiva. Il gioco non c'è e non c'è stato perché Allegri, da quando è arrivato, ha progressivamente escluso dal roster i play-maker, o ne ha consentito l'esclusione (il riferimento a Pirlo è scontato) assecondando le ansie della società, bisognosa di rendere meno oneroso il monte-ingaggi. Assecondando così la propria ambizione di restare in sella, non sostenuta da capacità indiscutibili. Fra qualche anno, quando qualcuno chiederà come giocava il Milan di Allegri, difficilmente si potrà dare una risposta. Sarà evocato il gigante svedese, anarchico e solipsista (invecchiando è peggiorato), talora (come stasera) abulico e incline a spendersi solo se provocato, con tipico temperamento da bullo; si ricorderanno gli altri solisti, anarchici come lui (Cassano, Robinho, Boateng), e i mazzolatori della terra di mezzo, capeggiati dal legnosissimo Van Bommel. Si ricorderanno questi e altri giocatori, ma non un gioco, non un sistema o un progetto di gioco. Forse questo contribuirà a spiegare anche gli insuccessi in CL, e a mitigare un po' la retorica della vocazione europeista di una squadra ormai competitiva (ma non dominante) solo nell'orticello italico. Del quale sarà probabilmente padrona, per un nuovo ciclo, la Vecchia Signora.
Mans