7 maggio 2012

Il tricolore scucito

7 maggio 2012, Stadio Giuseppe Meazza, Milano
Zlatan Ibrahimović 
medita, a fine partita,
sulla sconfitta nel derby
La disfatta nel derby scuce il tricolore dalla maglie del Milan e lo consegna al sarto della Juventus. Vedremo se dai piani alti imporranno il gesto eversivo, affiancandovi la terza stella: un simbolo e basta, ma i simboli contano e molto. Certo la Juve ha meritato: per la continuità (non perdere mai in 37 partite, e saranno 38, è comunque performance apprezzabile, soprattutto perché questa squadra non sembra destinata ad entrare in storie calcistiche che non siano la propria e quella del declassato campionato italiano), per le capacità messe in mostra da chi l'ha guidata dandole un assetto robusto e capace di supplire a carenze fisiologiche, e per la superiorità tattica e dinamica evidenziata negli scontri diretti, compresi quelli di coppa.

La critica ha probabilmente sopravvalutata la forza del Milan, forse perché misurata sulla presunta debolezza della concorrenza. A Milanello non si è costruito un preciso meccanismo di gioco; si è confidato nell'ampiezza e nella qualità della rosa (che non può tuttavia essere pesata sommando la qualità dei singoli componenti), composta peraltro da molti giocatori anziani e (o) fisicamente malmessi, evidentemente male allenati: stasera si sono visti alcuni di loro sbullonarsi al primo impatto con un avversario (Bonera) o con il pallone (Abbiati). Palesi sintomi di inefficienza complessiva. Il gioco non c'è e non c'è stato perché Allegri, da quando è arrivato, ha progressivamente escluso dal roster i play-maker, o ne ha consentito l'esclusione (il riferimento a Pirlo è scontato) assecondando le ansie della società, bisognosa di rendere meno oneroso il monte-ingaggi. Assecondando così la propria ambizione di restare in sella, non sostenuta da capacità indiscutibili. Fra qualche anno, quando qualcuno chiederà come giocava il Milan di Allegri, difficilmente si potrà dare una risposta. Sarà evocato il gigante svedese, anarchico e solipsista (invecchiando è peggiorato), talora (come stasera) abulico e incline a spendersi solo se provocato, con tipico temperamento da bullo; si ricorderanno gli altri solisti, anarchici come lui (Cassano, Robinho, Boateng), e i mazzolatori della terra di mezzo, capeggiati dal legnosissimo Van Bommel. Si ricorderanno questi e altri giocatori, ma non un gioco, non un sistema o un progetto di gioco. Forse questo contribuirà a spiegare anche gli insuccessi in CL, e a mitigare un po' la retorica della vocazione europeista di una squadra ormai competitiva (ma non dominante) solo nell'orticello italico. Del quale sarà probabilmente padrona, per un nuovo ciclo, la Vecchia Signora.

Mans