17 maggio 2012

Lingua e tradizione

La Juventus rivendica in questi anni con orgoglio la propria tradizione, che si intreccia da quasi un secolo con la famiglia Agnelli, e con quello che essa ha significato per la storia d'Italia, per il ruolo svolto dalla FIAT nello sviluppo sociale ed economico del paese, per la funzione culturale che la squadra meno torinese di Torino ha interpretato offrendo un'identità comune a una larga minoranza di italiani, per l'evoluzione del costume che la famiglia e la squadra hanno a lungo influenzato.

La prossemica e lo stile di Michel Platini e Gianni Agnelli
Si tratta di una rivendicazione fondata perché la Juventus è oggettivamente un pezzo di storia d'Italia, per la sua epopea popolare e per la sua funzione sociale, che nessun'altra squadra ha saputo interpretare a tal punto. Né il Milan, che si è definitivamente emancipato dalla sua dimensione locale (popolare e cittadina innanzitutto) solo in coincidenza con l'avventura mediatica di Silvio Berlusconi (lui sì, l'ultimo "arci-italiano"), ma senza fondare una propria epopea nazional-popolare, ed anzi inimicandosi una larga minoranza del paese, quella che per diciotto anni è stata ostaggio della propria ossessione politica per il Caimano. Né l'Inter, la cui identità storica è rappresentata dall'oscillazione tra un angusto provincialismo (rimarcato dalla conversione fascista in Ambrosiana) e una vocazione internazionale che nessun'altra squadra italiana possiede (dall'epopea degli anni sessanta alle formazioni senza giocatori italiani degli ultimi anni), che ora si alimenta anche con nobili progetti sociali come l'Inter Campus, che non possono però intercettare l'umore profondo del paese.

Non è dunque un caso che le maglie della Juventus vestano ricorrentemente la tricromia nazionale a rivendicare la tradizione. Né che la squadra abbia riavviato un ciclo ripartendo da un nucleo di campioni e di giovani giocatori italiani. La Juventus non è solo la Vecchia signora ma anche la Fidanzata d'Italia.

La tradizione passa però anche attraverso la lingua, come ci insegnano gli storici, i linguisti e gli antropologi. La squadra porta un nome latino: juventus ("gioventù, giovinezza"). E sul latino ha apparentemente investito anche negli ultimi anni: dapprima festeggiando il suo centenario nel segno dello Juvecentus, un neologismo opinabile ma originale; si è poi data uno stadium ("stadio, lizza, arena per la corsa a piedi") e infine, inaugurato in questi giorni, anche un museum ("luogo sacro alle muse, accademia, biblioteca").

Concetto Marchesi (il latinista, senza parentela alcuna con il più noto Rino) si sarebbe probabilmente incuriosito per queste insistite ricorrenze. Ma avrebbe presto capito che esse non si rifanno né a un purismo classicista né alla tradizione italica. Rappresentano invece una concessione alla povertà di questi tempi dominati culturalmente dagli economisti (con i bei risultati che soffriamo nel nostro portafoglio e nel nostro futuro), di cui è triste specchio il gergo finanziario e aziendale farcito di anglismi. Come pronunciano gli stessi protagonisti, e come amplificano le provinciali trombe mediatiche, la Juve si è data infatti non uno stadio ma uno stédium, non un museo ma un musìum (e dire che, per la lingua inglese, stadium e museum sono dei latinismi ...).

La prossemica e lo stile di Giorgio Chiellini e Lapo Elkann
D'altra parte, l'attuale generazione che guida l'azienda e la squadra (i fratelli Elkann e Andrea Agnelli) incarna una contraddizione. Da un lato costituisce una felice eccezione anagrafica in un paese che ha la classe dirigente più anziana in Europa (notizia di oggi: 59 anni di media). Dall'altro però, per educazione, ha ormai annacquato la propria identità italiana per la proiezione internazionale propria a una parte della nostra classe dirigente più giovane (che ha frequentato scuole e atenei stranieri) e per un impoverimento culturale oggettivo: Gianni Agnelli collezionava donne e quadri antichi, Lapo Elkann solo donne (e non solo ...) e oggetti di lusso (i paparazzi non lo hanno mai beccato con un libro in mano o all'uscita di un museo di arte antica); l'onomastica familiare ha cominciato a darsi nomi senza radici come Oceano e Vita; e così via.

E' nei fatti che proprio nel momento in cui la dirigenza juventina rivendica la tradizione italiana si stia creando uno iato tra l'identità nazional-popolare della squadra (riassunta nel riscatto dalla questione meridionale che per generazioni di nostri connazionali originari del Mezzogiorno il tifo per la Juventus vincente ha saputo rappresentare, non solo a Mirafiori ma anche nei paesi del sud più profondo) e la prospettiva culturale che l'impoverimento linguistico prospetta.

La Juventus è ormai pionieristicamente avviata, in Italia, a valorizzare il brand sfruttando asset come le recenti location ... A costi culturali e - alla lunga - identitari non indifferenti. Quale sarà la riconfigurazione di senso conseguente al tifo per una squadra che non parla più la nostra tradizione? La risposta probabilmente è già stata data: la FIAT ha abbandonato e sta abbandonando gli stabilimenti  italiani e meridionali. Una prefigurazione: si punta al tifoso consumatore globale (che risieda in Canada o in Indonesia è indifferente). L’importante sarà “fidelizzarlo”.

Azor