6 maggio 2012

Omaggio a un campione

5 maggio 2012, Stadio Olimpico, Roma
Francesco Totti scocca di sinistro dal limite il pallone dell'1:0 al Catania
E così ieri sera, con la doppietta cucinata al Catania e preceduta da un pacchiano errore dal dischetto, il Pupone ha fatto 500 presenze in Serie A. Ha raggiunto Ciro Ferrara. Ne ha davanti solo dieci, ma l'unico in attività è il capitano della benamata, Javier Zanetti. Supererà probabilmente zio Bergomi (fermatosi a 519), Gianni Rivera (527) ed Enrico Albertosi (532), a tiro di una sola stagione. Se tiene, anche Piola (537) e Roberto Mancini (541) sono alla sua gittata. Per ora 500 partite, per ora 215 gol: uno in meno di Josè Altafini e Peppino Meazza. Se non si sfascia, li scavalcherà.

Sono numeri da leggenda vivente; osta, perché sia considerato unanimemente uno dei nostri grandi di sempre, il suo coefficiente eupallometrico, che risulterà penalizzato dall'aver militato in una sola squadra e per di più non appartenente alla ristretta élite italica. Brilla, nel suo palmarès, un titolo mondiale (2006, ça va sans dire) vinto sostanzialmente da comprimario, al termine di una delle sue stagioni migliori: Luciano Spalletti l'aveva impostato, da tipico trequartista, in centravanti atipico, una versione aggiornata di Hidegkuti; in gennaio Pelé lo defini senz'altro "il miglior giocatore del mondo" e menò gramo, perché una frattura del terzo medio del perone sinistro lo mise fuori da febbraio e per il resto del campionato, e soprattutto ne compromise palesemente le prestazioni al mundial tedesco, dove giostrò sotto ritmo e con deficienza dinamica. Gli restano tra le mani dunque, allo stato, uno scudetto, due coppette, due supercoppette. Poco. Troppo poco, per un campione sicuramente epocale (quale pedatore italiano può essere considerato finora, almeno nel XXI secolo, più bravo di lui?), tecnicamente e atleticamente perfetto (centimetri e tonnellaggio, corsa - certo, ora non più - e rapidità di visione, capacità di finalizzazione molto al di sopra della media).

Resteranno nella memoria giocate mirabili, qualche gol inimmaginabile o quasi, e nella mente un dubbio: non si fosse trasformato in icona e reliquia ante mortem (calcisticamente parlando) della sua unica squadra (squadra di città capitale, ma con anima decisamente provinciale), fosse emigrato a Milano o a Torino una decina d'anni or sono, quanti palloni d'oro dovrebbe spolverare ogni sera, invece di perdere tempo a chiedersi (e a sentirsi chiedere) se Luis Enrique è l'uomo giusto per un progetto che (se mai decollerà) certo non lo potrà avere per principale protagonista?

Mans