29 maggio 2012

Terremoti

Sono giorni di terremoti, purtroppo. Accanto a quello tragico che sta drammaticamente piegando l'Emilia e che spezza la vita delle persone, la scossa è arrivata anche al vertice del calcio italico. Un evento che non giunge inaspettato come invece i subbugli di Gea. Ma la botta è dura lo stesso.

Cerchiamo però di dare un ordine eupallico alla cosa, per non farci travolgere dal qualunquismo e dal letame che alcuni media specializzati - quelli orfani del Caimano per intendersi - usano come linguaggio per tutte le stagioni e amano scagliare vorticosamente. Scrive giustamente Giovanni Bianconi sul "Corriere della sera" di oggi [leggi] che questa ennesima indagine - che uno dei suoi inquirenti di punta, uno dei tanti magistrati che ama parlare in pubblico, Guido Salvini, ha definito "non meno grave di fenomeni di corruzione che avvengono nel campo politico-amministrativo" - rischia di acuire la disaffezione degli italiani non solo dalla politica ma anche dal calcio.

E qui sta il punto. Quale calcio? Quello intossicato dal tifo e dalle contiguità criminali? Quello del "devi morire" e del "meglio ladri che gobbi"? C'è solo da auguarsi che gli appassionati prendano le distanze da un ambiente in cui i giocatori sono ultras e gli ultras presidenti e i presidenti dei faccendieri e i giornalisti delle prostitute per tifosi utilizzatori finali, in un cerchio magico e grottesco.

Tra tante vestali del moralismo in servizio permanente effettivo, assumiamo un punto di vista morale molto semplice, guidato dal buon senso: gli inquirenti vadano fino in fondo, i giudici siano giusti, le pene siano severe e soprattutto senza sconti. Ma non si creda poi che il problema possa rimuoversi così. Il calcio non è solo un'industria ma una pratica sociale, planetaria. Vive in simbiosi con l'evoluzione della società e non su Marte o in una linda bolla di anime belle.

Una delle pagine più brutte
della Germania del Novecento
I giocatori e gli allenatori sotto inchiesta in Italia hanno probabilmente intascato soldi che vengono da Singapore, passando attraverso le reti criminali slave e ungare e non solo campane. Il qualunquismo mediatico internazionale vuole che sia l'ennesima conferma dell'immagine infetta del nostro paese. Giovanni Trapattoni è sincero quando dice "che lasciamo una brutta immagine del nostro calcio. Da italiano la prima sensazione è che veniamo derisi all'estero, rimane il fatto che venivamo sempre additati come intrallazzoni, mafiosi e questo fa male perchè io posso dire di aver pagato lo scotto di un atteggiamento che ci coinvolge tutti". Ma - si noti - siamo ai soliti cortocircuiti sugli stereotipi nazionali, come ha confermato subito certa stampa tedesca.

In realtà, il giornalismo serio di inchiesta - come quella condotta dalla "Gazzetta dello sport" tra il dicembre 2010 e il febbraio 2011 - ha messo bene in evidenza come siano coinvolti moltissimi campionati in Europa e nel mondo: non solo quelli italiani, ma anche quelli tedeschi, svizzeri e turchi per stare al certo delle inchieste in atto in vari paesi (in Turchia, per chi non lo ricordasse, è finito in prigione addirittura il presidente del Fenerbahce, e la Federazione calcistica locale ha congelato le retrocessioni per non evirarsi delle squadre di vertice e per non causare rivolte di popolo). Anche molte partire della Champions League sono sotto osservazione, come sa bene Michel Platini. E d'altra parte le non limpide assegnazioni degli Europei all'Ucraina e alla Polonia o dei Mondiali alla Russia e al Quatar mostrano come il pesce puzzi dalla testa.

Attenzione, però: non invochiamo qui il "tutto il mondo è paese" per lavarcene cinicamente le mani. Tutt'altro. Invochiamo al contrario una presa di coscienza generale che non può che passare attraverso la conoscenza e la cultura. Come in molti altri settori della nostra vita attuale occorre un forte investimento, individuale e collettivo, in educazione, e in cultura umanistica in particolare (latino e greco, arte e storia, letteratura e linguistica, etc., per intenderci: sì, proprio quella che non fa mangiare). Solo con questi strumenti si possono superare la povertà intellettuale degli stereotipi e della pornografia mediatica che ammorbano l'analisi della crisi greca quanto quella del calcio corrotto.

1963: Pier Paolo Paolini intervista i giocatori del Bologna
per il suo film inchiesta Comizi d'amore
Lo aveva capito benissimo Pier Paolo Pasolini, uno dei figli prediletti di Eupalla e uno dei pochi veri intellettuali italiani del Novecento, quando andava a intervistare sui temi del costume e dell'eros i giocatori del Bologna della generazione dei Pascutti e dei Bulgarelli (che notò, in realtà, come PPP avesse "un gran desiderio di parlare di calcio: io provavo a ribellarmi, a me interessava altro, ma lui monopolizzava tutti i discorsi, voleva sapere tutto dell’ambiente in cui vivevamo"), o quando ci ricordava che il catenaccio "è un calcio di prosa basato sulla sintassi, ossia sul gioco collettivo e organizzato, e che il suo solo momento poetico è il contropiede". Non era un ingenuo sognatore, non inseguiva le lucciole, ma il mistero della vita in una delle sue epifanie più espressive e conturbanti.

Nello sguardo tenero e riconoscente di Pep Guardiola ai suoi prodi, nelle pensose passeggiate mani dietro alla schiena di Marcelo Bielsa, nello studio attento e prodromico dei rigoristi del Bayern da parte di Petr Čech, in una partita monumentale come quella di Didier Drogba alla Fußball Arena di Monaco stanno ancora - e proprio nei giorni a noi più prossimi nel ricordo - la vera essenza, l'intensità e il mistero del gioco più bello del mondo. E' da qui che occorre ripartire, senza bende sugli occhi ma anche senza infingimenti.