13 maggio 2012

Un intenso week-end

Un weekend che resterà impresso a lungo nella memoria di chi l'ha seguito e nelle storie eupalliche di Germania, Italia e Inghilterra. Il double prussiano - Bundesliga e coppetta al Dortmund, che ha clamorosamente messo sotto i panzer del Bayern, che a loro volta avevano messo sotto sul piano del gioco le tristi stelle del Madrid e il loro egolatrico impresario - la dice lunga soprattutto sull'usura che la CL induce nelle menti e nelle gambe di chi gioca per vincerla: è stato paradossale che (per caso, per ottusità o per il superiority complex ispanico sviluppato a seguito dei trionfi recenti a tutti i livelli), a cavallo delle semifinali, dovesse decidersi la Liga scozzese, nel clàsico che ha logorato i muscoli già provati dei philarmonicisti e illuso oltre misura i Blancos (convinti ormai, avendo battuto i più forti, di essere i più forti a prescindere). A Monaco, certamente, il Bayern starà più sul pezzo.

In Inghilterra sarebbe stato interessante monitorare la serata di Manchester, se all'Etihad Stadium non si fossero improvvisamente dissolte, nei minuti di recupero, nubi da tragedia incombente. La rimonta del City sul derelitto QPR, rimasto in dieci sull'1-1 per l'espulsione di Joey Burton (indimenticabile l'espressione del suo volto un istante prima della pedata assestata ad Aguero) e poi immediatamente passato in vantaggio (indimenticabili gli insulti rivolti da Mancini ai suoi defenders nella circostanza), è poi evoluto in un 3-2 che consegna la PL agli Sky blues dopo interminabili decenni. In Italia si discuterebbe per anni sul fatto che l'arcigna resistenza dei Rangers si sia ammorbidita appena saputo che il Bolton stava precipitando nello spettacolare inferno della First al posto loro; in effetti, i due gol sono parsi se non altro 'puliti' sul piano regolamentare, e almeno apparentemente non gentilmente concessi da chi desiderava condividere un epilogo festoso. Il quadro è reso ancor più fantastico se si tiene conto e si ricorda che Mark Hughes (manager del QPR) è stato non solo una bandiera dello United, ma anche allenatore del City, silurato a favore del Mancio non più di tre anni or sono. La logica del foot-ball e i disegni di chi invisibilmente lo governa, come al solito, sfuggono; loro, che dicono di averlo inventato, ci sono abbastanza abituati, visto che episodi di questo genere sembrano abbastanza frequenti (basterà evocare la rimonta oltre il 90' dello United sul Bayern in una finale di CL di alcuni anni fa; o il gol decisivo, per l'assegnazione della Premier, di Michael Thomas in Liverpool-Arsenal, ultima della stagione 1988-89).

In Italia finisce non solo la Serie A, ma anche la carriera ad alti livelli di alcuni campioni epocali: Del Piero, Nesta, Gattuso, Inzaghi, Seedorf. Su cinque, quattro sono del Milan, e alcuni di loro non si sono spesi in parole di elogio per il capo, l'incapace generale che ha portato la truppa allo sbando trasformando Milanello in un ospedale da campo e mostrando di non sapere elaborare alcuna strategia per evitare un insuccesso da nessuno pronosticato. E' legittimo il sospetto che, a fronte delle più o meno velate critiche di tramontati ma auterevolissimi campioni, la permanenza in panca di Allegri (che il buon senso vorrebbe già molto lontano dal Milan) non sia una scommessa irragionevole ma una scelta precisa e coerente. Sarà lui alla guida tecnica del club nelle stagioni dell'inevitabile declino; la mediocrità agonistica programmata dall'azionista di maggioranza (disincentivato ad investire dalla stanchezza e da oneri finanziari non 'ordinari') sarà doverosamente gestita da un tecnico mediocre ma ben allineato e adeguato al nuovo contesto.

Cesare Prandelli, commissario tecnico della Nazionale italiana dal 1° luglio 2010
Prandelli ha messo a punto la lista dei convocabili per il campionato d'Europa che oramai incombe. L'impronta barcellonista immaginata da Cesare è confermata dall'assenza di un centravanti d'area: d'altra parte, gli unici (e di modestissimo livello internazionale) potabili erano Matri e Pazzini: la loro stagione è stata  così mediocre da consigliare di evitare ogni rischio. C'è Cassano, vivo per miracolo; c'è Supermario, una mina che non si sa mai nelle mani di chi potrebbe esplodere; c'è un volonteroso pedatore e poco più come Borini; una promessa già invecchiata come Destro; una vecchia volpe da campionato come Di Natale (il Pruzzo o il Beppe Savoldi dei giorni nostri, per intendersi). Non produciamo più attaccanti di autentico spessore, da qualche anno: gli ultimi grandi bomber italici sono da considerare Vieri e Inzaghi. Quanto agli altri reparti, spicca la chiamata di colui che - si dice - è destinato a raccogliere l'eredità di Pirlo. E' il play-maker del Pescara: Marco Verratti. Un futuro crack o uno destinato a svanire nell'ombra, quando sarà sottratto alla didattica quotidiana del maestro boemo? Impossibile dirlo ora. In assenza di grandi interpreti, ci restano la tradizione e la scuola. Speriamo siano almeno sufficienti a non sbracare e a scongiurare l'irrisione generale, già pregustata dentro e fuori i patrii confini.

Azor