24 giugno 2012

Benvenute a 'ste invertite

Oggi - col vostro permesso - parlo di froci anch'io. Come abbiamo visto, il Dizionario attesta l'entrata in uso del termine nel 1955. Ricordo con nostalgia come nella ribollente sinistra degli anni '70 alcuni omosessuali senza fisime fondarono i mitici "collettivi frocialisti" (o "falce e finocchio", alcune tra le più creative invenzioni politiche e linguistiche dell'area dell'allora, vera e autentica, autonomia: leader simpaticissimo ne era Samuel Pinto, meglio nota come Lola Puñales). E rammento anche come lo scrittore Alessandro Piperno abbia rievocato come nei più frivoli anni intorno al 2000 avesse dato vita con alcuni amici a un gruppo di tifosi laziali che si era dato il nome di "Froci del Mancio". Nei nostri plumbei anni del perbenismo politicamente corretto, invece, siamo ormai diventati tutti gay, un genere di consumo (come il pane a forma di fallo in vendita nelle panetterie del Marais), una moda, ahimè. Che tristezza. Chi scrive coltiva una venerazione profonda per Pier Paolo Pasolini - personaggio sessualmente inequivocabile - e ritiene che l'omaggio più sincero e affettuoso (commovente in certi tratti) che gli sia stato tributato sia il fulminante cortometraggio di Daniele Ciprì e Franco Maresco dal titolo altrettanto inequivocabile Arruso [vedine qui un estratto di lancinante bellezza]. Questo per dire che la pensiamo ormai da tempo come Robert Hughes (omosessuale anche lui): "Basta con la cultura del piagnisteo, basta con la saga del politicamente corretto, basta con il bigottismo progressista" [vedi il manifesto].

Cosa c'entra tutto ciò con l'Europedata? Ci arrivo. Quando ero piccolo, negli anni '60 della grande Inter e dei Comizi d'amore, i termini più in voga erano altri ancora: "checca", con una venatura più frocialista, e "invertito", con un'ambiguità più borghese. E arrivo al dunque. Le due squadre che si affrontano questa sera per l'ultimo quarto sono inequivocabilmente delle "invertite", come si sarebbe detto, con un sorriso ammiccante, nei salotti riuniti intorno a un enorme televisore in bianco e nero nei minuti d'attesa prima della partita. Perché "invertite"? Perché vanno entrambe contro natura. Contro la loro tradizione calcistica, cioè.

Due telamoni della Deutsche Nationalmannschaft degli anni '70:
uno ha già fatto outing, l'altro è invecchiato arrossendo
È vero, viviamo tempi di trozkismo sportivo, come ha scritto Alessandro De Calò, e cioè di predisposizione alla rivoluzione permanente nei canoni tattici. La Spagna di Del Bosque, come quella di Guardiola, esplora la frontiera di un gioco fatto solo di centrocampisti (manca Villa, ok, ma è anche vero che questi non è un centravanti classico a boa ma un bomber atipico che dà il meglio di sé convergendo e triangolando da fuori area). La Germania di Gioacchino si ispira, nel proporsi con fluidità in avanti, anche alla Nationalmannschaft di Helmut Schön, quella che propose un calcio totale alla teutonica di contro a quello olandese, fatto di rapidità, qualità e intensità (anche se fatico a riconoscere nei ragazzi attuali dei nuovi Netzer, Hoeness o Breitner). Ma in entrambi i casi la sperimentazione si svolge nell'ambito della propria tradizione calcistica (il fraseggio spagnolo, il dinamismo tedesco). Innova, ma non intacca l'identità culturale.

Diverso è il discorso di Inghilterra e Italia. Keir Radnedge su "World Soccer" scrive che Roy Hodgson "is a football intellectual - and something of a personal one - who talks straight and will not complicate matters" (perché consapevole che "whatever his personal predilections for Milan Kundera and Martin Amis, quoting them on the training pitch is not an option"). Ed è vero, ma il 4-4-2 lineare adottato dal nostro Benny non ha nulla di "sacchiano" come ho letto e ascoltato in questi giorni: mastro Arrigo puntava al possesso palla e muoveva in continuazione il baricentro della squadra tenendola stretta per sfruttare sia le ripartenze sia il gioco avvolgente. Hodgson invece lascia all'altra squadra iniziativa e pallone, si arrocca dietro e punta agli spazi alle spalle della linea difensiva avversaria; non mira al possesso ma a sfruttare al massimo le occasioni e i calci da fermo. In questo va contro a tutta la tradizione del calcio di kick and run, di WM, di impeto fisico e agonistico d'attacco del soccer britannico. È davvero un rivoluzionario, ma non perché viva un'utopia: più semplicemente è un uomo colto, pragmatico, che ha girato il mondo ed è conscio di avere venti ronzini e un paio di campioni e dunque sperimenta una via semplice per farli giocare al meglio dei loro limiti, anche se questo passa attraverso l'inversione della tradizione culturale.

Un altro invertito è il nostro caro San Cesare da Orzinuovi, cresciuto osservando dalla panca la Juve di Trapattoni, ma allenatore inquieto, incapace di adattarsi al tatticismo esasperato della nostra tradizione, fautore di un calcio "diverso" sin dai tempi del Venezia che riportò in serie A in una stagione memorabile. Prandelli è uno dei pochi grandi maestri di calcio contemporanei, capace di plasmare le squadre che allena, e la cui mano appare evidente osservandole in campo. Non è un rivoluzionario, non ha utopie tattiche, ma è uomo colto anch'egli, attento alle innovazioni. Così la sua scelta di ricostruire la nazionale dopo le macerie del Sud Africa attraverso la ricerca del gioco è in primo luogo una pedagogia morale rispetto alla tradizione del cinismo e dell'individualismo italico. Così facendo, però, va inevitabilmente contro la nostra tradizione culturale. È un padano anche lui, e forse Gioanbrerafucarlo lo avrebbe guardato con affetto, ma credo anche che lo avrebbe biasimato e sollecitato al rispetto della tradizione "femminile" del nostro calcio (aprire le gambe, invitare, illudere, e poi colpire di rimessa). È vero anche però che ormai è passato un mezzo secolo dai tempi eroici della nostra inferiorità etnico-culturale, che i femori non sono più così corti, e che i ragazzi neri parlano ormai in bresciano e calcano la scena inglese. Cesare questo lo sa bene e ci lavora sopra. Nondimeno, va contro la nostra identità profonda.

Per questo stasera a Kiev la partita sarà completamente inedita, "diversa", vada come vada. Ma va bene così, ci piace il nuovo se non è improvvisazione ma esito di una ricerca. Dunque, "benvenuti a 'sti frocioni", per concederci per una volta una citazione colta.

Azor