10 giugno 2012

Da Podolski a Eriksen, passando per Postiga

9 giugno 2012, Arena Lviv, Lviv
 Łukasz Józef Podolski si produce in acrobazia
A guardare in prospettiva statistica la sua carriera, sembrerebbe d'essere al cospetto di un Oleh Blokhin, di un Bobby Charlton, di un Rummenigge qualsiasi. Pedatori da cento e più partite o giù di lì con la loro divisa patriottica; decine e decine di gol e di assist. I suoi numeri sono gli stessi. Ha ventisette anni, è cioè nel pieno della virilità agonistica. Ci si aspettavano sfracelli, quando s'è affacciato sul palcoscenico di Eupalla. Ne ha perpetrati, in effetti: ai danni di squadroni cui il ranking FIFA non rende giustizia: San Marino, Lussemburgo, Liechtenstein, Kazachistan. Sto parlando di Lukas Podolski, titolare inamovibile del Deutsche Fußballnationalmannschaft dal lontanissimo 2004. A Monaco non ha sfondato (tre stagioni, una settantina di presenze e quindici gol), tant'è vero che, disperati, Karl Heinz e Kaiser Franz l'hanno rispedito appena possibile là da dove era venuto (a Colonia). Ora lo attendono - non credo frementi - all'Emirates, dove la concorrenza sarà anche più agguerrita di quella che ha trovato al Bayern (a Colonia non so). Chi l'ha visto giocare ieri sera per la prima volta, si sarà certamente chiesto che motivo avesse Joachim Löw per schierarlo in campo. Quando, a un certo punto, gli è capitata l'occasione di aprire la partita esercitandosi nel gesto acrobatico tipico dei mancini, ha prodotto un movimento di tale goffaggine e inefficacia da intenerire. Ma lui è uno che, di solito, le partite preferisce chiuderle, preferibilmente quando i suoi le hanno già spalancate. E' il punto debole della Germania, a mio avviso. Una Germania che sembra mancare di freschezza, forse perché imperniata sugli sfibrati giocatori del Bayern, che hanno da poco finito di perdere tutto quel che potevano perdere in questa stagione. Hanno vinto a fatica, affidandosi al timbro professonale di Gomez (sembra un reperto vintage, come tipologia di centravanti) e profittando della tradizionale allergia offensiva dei portoghesi. 

Mi chiedevo: se disponi solo di un Helder Postiga, che senso ha giocare con il centravanti? Che senso ha scimmiottare il modulo più trendy, il 4-2-3-1 che per forza di cose ha bisogno di tenere là in fondo alla piramide rovesciata uno che sappia perlomeno tenere il pallone (per fisicità o per padronanza tecnica), dando respiro e tempi di gioco alla squadra (nessuno più pretende valanghe di gol, dai numeri nove del calcio post-contemporaneo)? Non ha nessun senso, e si è visto. Anzi: è un paradosso. Così come paradossale e anti-storico mi è parso che, nel pomeriggio, l'unico giocatore importante dell'Ajax giostrasse (deludendo) nella Danimarca (alludo al giovane Eriksen). I tempi dell'arancia meccanica sono certo lontanissimi, e i pedatori buoni emigrano più rapidamente di quanto non facessero allora; così, dell'Ajax è rimasto ora il terzino destro, un onestissimo ronzino (Van der Wiel). E la Danimarca pretende da un po'che la si affronti senza un solo briciolo di presunzione; chi ammira da qualche anno l'inedita praticità degli olandesi, sarà quanto meno sconcertato dagli indicibili sprechi commessi ieri pomeriggio. Amen.

Mans