12 giugno 2012

Ritorno al futuro

Non ho potuto scrivere a caldo come hanno fatto Cibali e Mans, e ho già letto vari commenti sui giornali, dunque darò per note le principali emozioni di Spagna vs Italia (la giocata verticale De Rossi Pirlo Totò, lo smarrimento di Mario, le vertiginose incursioni di mastro Andrés, etc.). Qui a Madrid (dove mi trovo per una partita di ritorno accademica all'ombra del Bernabeu) ho ascoltato i telecronisti di Tele Cinco (che secondo tradizione conducono la cosa come una radiocronaca, alzando il ritmo anche quando un difensore alleggerisce all'indietro verso il proprio portiere, e al confronto dei quali il nostro Piccinini sembra un compassato british) tirare fuori la consunta palabra "catenaccio". Ma ho anche letto la prima firma di "AS" riconoscere che l'Italia ha fatto la sua bella partita senza rinunciare al gioco. La sensazione diffusa tra gli spagnoli che ho incontrato è che il pareggio sia giusto ma anche che alla Spagna sia andata bene di fronte a una squadra non solo forte ("los italianos mucho mejor" ha chiosato il telecronista spagnolo di Euro Sport) ma anche diversa rispetto al cliché del mero difensivismo.

E in effetti anche a me pare che i nostri abbiano interpretato un grande incontro. Dirò di più: non ricordo cinque matches tra nazionali giocati negli ultimi dieci anni più belli di quello che abbiamo visto domenica pomeriggio (un agone straordinario di colpi su colpi, occasioni su occasioni, dal primo all'ultimo minuto, senza risparmio e con palese volontà di vincere al fine). Per certi aspetti è stata, a un tempo, una partita arcaica quanto proiettata nel futuro. Arcaica perché entrambe le squadre l'hanno interpretata secondo identità e tradizione: in certe chiusure tempestive e perentorie di Bonucci o Chiellini ho visto la sinopia dei bulloni di Burgnich o di Scirea, nella battaglia di centrocampo (che ha avuto attimi di grandi gesta) Marchisio o Giaccherini mi hanno evocato più volte il ricordo di Tardelli o di Oriali, e lo stesso tiki-taka degli spagnoli è un atteggiamento che viene da molto più lontano di quanto non credano i nesci (non se lo è inventato il Barca né tantomeno il Pep, ma è vocazione antica della pedata iberica: "Toque y paciencia. Paciencia y toque. Acompanar al balón hasta la portería contraria, por si se siente solo. Así somos" scrive Juanma Trueba, che aggiunge "Para Espana fabricar un gol es come hacer fuego con dos ramas secas. Lleva su tiempo").

Proiettata nel futuro perché le disposizioni tattiche con cui i due allenatori hanno messo i giocatori in campo disegnano scenari nuovi e per certi rispetti inediti: a parte i portieri, hanno cominciato la partita solo quattro difensori di ruolo e una punta, gli altri essendo per attitudine e vocazione dei centrocampisti; dunque più di due pedatori su tre erano delle "sartine" (a dispetto, è vero, di scalpi e tatuaggi) per dirla col Beck: più prosaicamente dei facitori di gioco (sì certo, anche Nocerino ...). In effetti sta avvenendo qualcosa di importante e strutturale nei laboratori di avanguardia calcistica in queste due ultime annate calcistiche: il ricorso crescente, in tutti i ruoli, a giocatori capaci di creare gioco. La potremmo chiamare un'esondazione del centrocampo.

Il riferimento scontato è al Barcellona di Guardiola, che ha tagliato progressivamente gli attaccanti (da Ibra ad Etoo) e i difensori per far posto a profili come quelli di Mascherano, Fabregas o Sanchez, e che ha imposto al portiere di usare i piedi e di avviare il gioco, e alle azioni d'attacco di rinunciare ai colpi di testa. Una progressione che si è accentuata in questa stagione complice anche l'infortunio di Villa. Culturalmente le radici sono quelle ben note del calcio totale della prima Olanda di Michels, dove l'unico difensore era Rijsbergen e nemmeno Rep era una punta pura, e del concetto di "giocatore universale" caro ad Arrigo Sacchi. Alcuni allenatori colti hanno cominciato a sperimentarne le applicazioni: Conte, arrivato alla Juve con lo stigma di ayatollah del 4-2-4, si è rivelato invece uno dei più duttili maestri di gioco, capace di investire sulla qualità immensa di play-maker di Pirlo e di trasformare in centrocampista esterno un attaccante come Giaccherini (che deve a questo la sua convocazione e il debutto agli Europei, dritto dritto contro i campioni del mondo) come anche, sulla destra, un full back quale Lichtsteiner; Prandelli ha puntato tutto sui piedi buoni per ricostruire la Nazionale terremotata daI troppi ronzini di Lippi in Sud Africa, inventandosi il rombo di qualità e rotazione ma anche insistendo su Cassano e rinunciando al centravanti; fino alla arguta decisione di contrastare la Spagna sul suo stesso piano, esondano il centrocampo e giocandosi la carta di De Rossi centro mediano.

Carlos Alberto Parreira (VQA: 1a fascia): profeta del 4-6-0
Stiamo assistendo, in altri termini, a una svolta tattica profonda, fors'anche epocale. La clamorosa rinuncia del marquis Del Bosque a schierare per 70 minuti il centravanti è probabilmente un punto di non ritorno nella storia del calcio, una rottura epistemologica. Come ha osservato Jonathan Wilson [vedi], l'inedito 4-3-3-0 schierato dalla Spagna va nella direzione preconizzata nel 2003 da Carlos Alberto Parreira nel corso di un seminario di studi, e cioè che una possibile evoluzione tattica futura potrebbe essere uno schieramento 4-6-0, con quattro difensori e sei attaccanti duttili, tutti centrocampisti (ammesso che questa distinzione possa avere alla fine un senso). Parreira aveva visto giusto (e forse anche mans nell'iperbole della rinuncia ai portieri): la strada è stata imboccata. Il 9-0-0 schierato da Mourinho (grazie anche al simulatore Busquets) con l'Inter a Barcellona nell'utile sconfitta della semifinale di ritorno di Champions nel 2010, appare, al confronto, un barrito jurassico.

Azor