30 luglio 2012

Figlio di un dio minore

Sbaglieremmo a considerare in modo adeguato i tornei olimpici di calcio se li ritenessimo una manifestazione che rispecchia il valore assoluto dei movimenti calcistici nazionali.

A ben vedere non lo sono nemmeno i campionati mondiali, per la partecipazione garantita a livello politico (soprattutto da quando il numero delle squadre partecipanti è stato portato a 32, con la riduzione della componente europea) anche a nazioni povere di tradizioni e quasi sempre protagoniste di prestazioni tecniche assai modeste. Solo i campionati europei si avvicinano al top, soprattutto nelle edizioni limitate a 16 squadre (e purtroppo, in futuro, non sarà più così per la bulimia affaristico-elettorale). Il più recente, in Polonia e Ucraina, sarà ricordato come uno dei tornei qualitativamente più rilevanti della storia, per il rango delle partecipanti (c'era persino l'Inghilterra ...) e per la connotazione culturale votata alla ricerca del gioco (le semifinaliste, forse con la parziale eccezione del Portogallo, hanno mostrato tutte una qualità tecnica, estetica ed agonistica di alto livello, raramente riscontrabile nel complesso in altri tornei internazionale del passato).

Se dovessimo cioè ragionare in termini di valori assoluti, dovremmo vagheggiare un torneo di 12 squadre, di cui 3 sole sudamericane (Brasile, Argentina e Uruguay) più una wild card intercontinentale e le altre europee maggiori. Quello sarebbe davvero il torneo più importante e qualitativo in assoluto. Non è dunque questa la misura con cui dobbiamo guardare ai tornei olimpici. La loro specificità sta altrove ed è più politica - cioè più storica - che tecnica.

Facciamo proprio l'esempio del torneo britannico 2012 (la dizione londinese essendo restrittiva, dal momento che si gioca anche all'Hampden Park di Glasgow e al Millennium Stadium di Cardiff, oltre che a Coventry, Manchester e Newcastle). Nel rispetto dell'ideale (bello quanto retorico e astratto) dell'universalismo olimpico - si noti, una costruzione culturale novecentesca, che si è "inventata" una tradizione classica - non vi partecipano tutte le scuole calcistiche migliori ma una rappresentanza multicontinentale variegata ed eterogenea: 3 sole nazioni europee, 3 africane (in virtù della demografia "elettorale"), 2 sudamericane (per simmetria proporzionale alle tre europee), 2 nord e centroamericane (non lo si dice, ma è per avere presenti possibilmente gli USA), 3 asiatiche (per ragioni di business, essendo ormai l'area più ricca del mondo), 1 oceanica, la nazionale del paese ospitante e un'altra squadra africana o asiatica che viene decisa per spareggio (e sempre per evidenti motivi elettorali ed economici). Non è un caso che, da quando è in vigore questo formato, le grandi penalizzate siano le compagini europee, ed il torneo sia vinto ininterrottamente dal 1996 da squadre africane e sudamericane.

La rappresentanza europea è quest'anno affidata alla Bielorussia (che non ha mai partecipato a un Mondiale o a un Europeo, ma che ha il merito di avere eliminato nelle qualificazioni l'Italia), alla Svizzera (forte della multietnicità della compagine: come sappiamo l'Elvezia sa dosare sagacemente gli innesti migratori), alla Spagna (unica degna rappresentante della nobiltà eupallica del continente) e alla più artificiale ed improbabile delle compagini, la Gran Bretagna (un'entità storica in via di dissoluzione se, come pare, la Scozia il prossimo anno deciderà di separarsi per via referendaria dai barbari del sud), nella quale irlandesi e scozzesi si rifiutano da sempre di militare. Delle otto qualificate ai quarti di finale di Euro 2012 solo la Spagna e (insieme ai gallesi e in quanto paese ospitante) l'Inghilterra sono anche alle Olimpiadi.

1 ottobre 1988, Olympic Stadium, Seul
Romario affrontato da Viktor Losev nella finale tra Brasile e URSS


Questo spiega perché, soprattutto in Europa, il torneo olimpico non goda di grande interesse. Eppure basterebbe pensare che campione in carica è Leo Messi per mostrare che non si tratta di un torneo di scarso rilievo. La sua specificità sta, appunto, altrove. Innanzitutto, dalle olimpiadi di Barcellona del 1992, nella limitazione d'età: da vent'anni il torneo è in pratica una competizione mondiale under 23, con l'aggiunta (facoltativa) di tre fuori quota. In precedenza è stata invece l'ipocrisia del dilettantismo a penalizzare, e dunque a connotare specificamente, il torneo calcistico, sin dalla prime edizioni.

Per paradosso, se il barone Pierre De Coubertin non si fosse inventato il dilettantismo (che nell'antica Grecia, come ci dicono le fonti storiche, non esisteva: è tutto un parto della sua "mente liberty", come la riconobbe, già nel 1960, Pier Paolo Pasolini) oggi non avremmo probabilmente i campionati del mondo. Fu la FIFA, infatti, a decidere di organizzare una propria competizione a livello mondiale quando il CIO decise di non ammettere il calcio nell'edizione di Los Angeles del 1932, ufficialmente perché sport non conosciuto negli States, ma in realtà perché ormai orientato al professionismo tanto in Europa quanto in Sud America. Da allora la FIFA ha sempre operato per evitare che le Olimpiadi potessero duplicare e fare ombra al torneo mondiale. Per molti decenni la questione del professionismo le è stata d'aiuto, segnando un limite giuridico tra le due competizioni, a costo di immolare per trent'anni all'altare del professionismo di stato sovietico l'egemonia dei paesi dell'est sul torneo pedatorio olimpico.

Non a caso, quando il CIO nel 1984 si arrese all'evidente anacronismo del dilettantismo, ammettendo ai giochi anche ricchissimi professionisti come i tennisti o le stelle della NBA, la FIFA dovette affrontare il problema di evitare che il torneo olimpico potesse fare ombra e insidiare la centralità dei campionati mondiali. Dapprima fu tentata la strada della limitazione della partecipazione ai giocatori che non avessero mai giocato, nemmeno nelle qualificazioni, ai Mondiali (e questo portò, per esempio, l'Italia alla storica disfatta con lo Zambia, 0:4, nel 1988, con Tacconi, Tassotti, Mauro e Virdis, tra gli altri). Fu poi adottata la formula attuale under 23 - che, ad nobilationem, potremmo chiamare il torneo delle giovani stelle -, che paga all'ideologia dell'universalismo olimpico la rinuncia a molte rappresentanze nazionali qualificate.

Queste dunque - in breve - le specificità del torneo olimpico, che è sempre stato un po' figlio di un dio minore, come se Eupalla abbia dovuto arrendersi alle ipocrisie e agli interessi che governano il regno della pedata mondiale. Ciò non toglie che non possano esserne protagonisti i Messi, i Thiago Silva, i Cavani, o perfino Neymar e Lucas (il quale ultimo, sia detto en passant, sta a Destro come il mercato dei buoi internazionale sta a quello nostrale). In breve, se la media è modesta (e replica la noia pedatoria, muscolare e onanistica di molte partite dei mondiali maggiori), la qualità in assoluto non manca. Così come non mancano le ragioni per storicizzare il torneo [vedi] e per seguirlo con interesse, come non a caso fanno i pochi mezzi di informazione specializzata di qualità.