2 luglio 2012

La squadra che diventerà leggenda

Dunque siamo arrivati all'epilogo di questo euro-torneo. Un campionato onesto, per la qualità del gioco, per le prestazioni arbitrali, per le gerarchie che i risultati hanno prodotto. Di alcuni ingredienti ormai abituali del football e delle sue competizioni per squadre di club non abbiamo sentito la mancanza; l'aria è molto più respirabile, quando nei dintorni non c'è lo sfasciacarrozze e le sue odiose polemiche (dopo la designazione arbitrale di Spagna-Portogallo dev'essere però stato lui a movimentare la scena, da dietro le quinte), tanto per dire. Oltre il luccichìo delle squadre imbastardite e montate coi quattrini di potentati petroliferi emiri sceicchi e maraja, dietro la logica dei dream-team pseudo galattici, sopravvive un calcio tradizionale, più lento e televisivamente meno appetibile, ma ancora capace di appassionare nel confronto fra scuole e culture e nella scoperta delle novità, nel loro progredire e nel loro regredire. In questo tipo di confronto, siamo stati come sempre (o quasi sempre) capaci di galleggiare, arrivando a una finale difficilmente pronosticabile. E’ stato un finale di partita, più che una partita di finale; anzi, abbiamo visto solo i titoli di coda del meno spettacolare kolossal iberico-barcellonista del quadriennio; alla sesta epifania sui campi ucraino-polacchi, la più importante (forse, per loro, la sola importante), questi hanno ripreso festosamente a verticalizzare, mandando un chiaro, regale messaggio al colto e all’inclita. Un match difficilmente commentabile, soggetto come sarebbe a letture critiche che Prandelli non merita. L’Italia è stata battuta da una squadra destinata alla leggenda, come lo fu (in circostanze abbastanza simili) dal Brasile nel ’70; le lacrime di Bonucci mi ricordano quelle che versai in quella lontana sera d'estate: credevo non ai più 'grandi' (guarda che il Brasile è fortissimo, mi dicevano, abbiamo davvero poche speranze) ma ai miei sogni di bambino innamorato del gioco e di Gianni Rivera. Cesare rimane, ed è un’ottima notizia; ha dato un’impronta di gioco su cui potrà lavorare, con la sola incognita relativa alla qualità degli interpreti di cui potrà disporre, quando si tratterà di reimpostarne l'assetto senza più poter contare su Sant'Andrea Pirlo da Brescia. L’importante è comunque garantire una linea di continuità.

1 luglio 2012, Olimpiyskyi, Kyiv.
Silva, imbeccato da Fabregas, avvia la festa nel modo preferito 
dalla Roja: segnando a porta vuota
Si diceva della Spagna. Praticamente e come tutti sanno, nel modello di gioco che propone, un Barcellona in maglia roja; il Barça di questi anni sta alla Roja di questi anni come l’Ajax degli anni ’70 all’Arancia meccanica. Il confronto ci sta; l’Olanda aveva probabilmente una concorrenza più agguerrita (ma è un dato relativo), disputò due finali in trasferta che perse e anche malamente. Se l’Ajax di Cruijff è considerata ancora la football-machine più forte e spettacolare dell’era moderna, il Barça è andato oltre, non potendo prestare alla seleccion il proprio pedatore di maggior classe. Il Barça di Guardiola gioca da qualche anno in una dimensione temporale sfalsata; è l’annuncio del calcio che verrà, e le sue sconfitte sono frutto di circostanze casuali implicite nella natura del gioco, che è un mistero agonistico; chi non ama questo modello di calcio, si merita davvero quello isterico di Mourinho, che verrà presto rimosso dalla memoria collettiva. Così, nella stagione 2011-12, la Philarmonica ha perso quasi tutto (ha perso anche Guardiola), dando l'impressione d'essere ormai in fase calante, ma poi cambiando maglia ha alzato il secondo titolo europeo consecutivo. In quattro anni ha affrontato tutte le grandi tradizioni continentali (Germania, Italia, Russia, Olanda, Portogallo – è mancato un vis-à-vis con l’Inghilterra, purtroppo: colpa dell’Inghilterra), senza mai subire una rete nelle partite davvero decisive, a eliminazione diretta. Vincendole tutte. Un dominio assoluto, imbarazzante. Un ciclo impressionate, che diventerà – appunto – leggenda.

Mans