1 luglio 2012

Nell'attesa

Se Inghilterra vs Italia provocava riflessioni sulla palese inversione culturale delle rispettive tradizioni calcistiche - difesa a oltranza e contropiede gli albionici, possesso palla e iniziativa noi - la finale con la Spagna ripropone elementi già emersi in occasione della sfida del 10 giugno come anche spunti più generali.

Ci sono dati interessanti che emergono dalle statistiche del torneo. L'Italia è la squadra che ha corso di più (media km/giocatore) e che ha effettuato più tiri tra tutte le partecipanti. La Spagna quella che ha il maggiore possesso palla, ovviamente, e che ha subito meno gol in assoluto (uno solo, ma da noi). Alcuni commentatori hanno parlato di concretezza "italica" per la solidità e la sostanziale imperforabilità difensiva della Spagna, e di "spagnolizzazione" del nostro gioco per la sua proposizione insistita e per il possesso palla. Sono elementi evidenti, ma c'è anche dell'altro credo.

10 giugno 2012, Arena Gdansk, Gdansk
Totò Di Natale alla "scocca"
Mi pare che questo Europeo abbia messo a nudo i limiti di fondo, che poi sono tutt'uno con il loro approccio di metodo, del gioco della Spagna: il tiqui-taqua è finalizzato a blindare la partita innanzitutto in chiave difensiva, anche a costo di ridurre la propensione offensiva, che non ha come scopo il tiro a rete ma la ricerca dell'assist, dell'ultimo passaggio, fino all'orizzonte utopico, che solo talora si invera (come contro la Croazia), di entrare in porta col pallone. Questo spiega perché siano ormai inerziali la rinuncia al centravanti e lo schieramento del 4-6-0, con Fabregas "falso nueve" (era impressionante osservare la totale estraneità alla manovra di Negredo, risperimentato inutilmente contro la Francia). E questo spiega anche come non sia solo la qualità dei due centrali e del portiere a garantire la solidità difensiva ma pure il possesso palla e la ragnatela continua a centrocampo, che emula (ma in questo torneo non riuscendo a realizzarla) l'ormai storica (quanto grandiosa) transizione pressing-possesso del Barça di Guardiola (vale a dire la sua innovazione più straordinaria).

Un altro dato interessante emerso dal torneo è che sono arrivate in semifinale solo squadre che hanno in comune "il gioco 'giocato'" per dirla con Cesare, vale a dire il calcio attivo (per dirla alla Wilson), la proposizione del gioco. La squadre che hanno puntato sul controgioco - la "rivoluzionaria" Inghilterra, ma anche la Russia o l'Olanda a ben guardare - si sono perse per strada. Il mainstream attuale pare essere (fatta eccezione del Chelsea di Di Matteo) la qualità dei centrocampisti, il possesso palla, la costruzione della manovra.

Significativa, di conseguenza, è anche l'evaporazione dell'importanza dei moduli: si è visto un po' di tutto dal 4-4-2 al 4-3-3 al 3-5-2 al 4-2-3-1 al nostro attuale 4-3-1-2. Ma sono numeri: ciò che conta, come sempre peraltro, è l'atteggiamento (attivo o reattivo), la ricerca del possesso palla, la qualità degli interpreti. L'unica innovazione epistemologica è il 4-6-0, ma sarà da vedere se troverà adepti, soprattutto se la Spagna non dovesse trionfare alla fine. La curva innovativa è la sperimentazione diffusa di un'evoluzione qualitativa degli interpreti e del gioco affidata all'esondazione del centrocampo. Ed è l'Italia di Prandelli ad averla incarnata meglio di altre squadre: se ci riflettiamo bene, probabilmente la nostra nazionale non ha mai avuto un centrocampo della qualità di quello attuale, né nel 1968-1970, né nel 1978-1982, né nel 1990, né nel 1994-1996, né nel 2006-2008. Abbiamo avuto al più Rivera, Mazzola e De Sisti; Tardelli, Antognoni e Conti; ed eccellenze individuali come Giannini, Albertini, Donadoni, e Mancini e Baggino se vogliamo ascriverli ai middlefielders; ma mai tutti insieme 5/6 giocatori della qualità - e soprattutto dell'universalità - di Pirlo, De Rossi, Marchisio, Montolivo, Motta e dello stesso Nocerinho. Solo la Spagna ha la nostra qualità in mezzo al campo.

La sapienza di Cesare è quella di avere individuato e fatto maturare questa eccellenza generazionale senza rinunciare ai ruoli di attacco: nelle sue intenzioni era probabilmente quella di puntare su Pepito Rossi alla Messi (a scapito di chi? Mario o Sant'Antonio?), ma il dato di fondo è quello di un attaccante di ruolo e di peso (ma non un centravanti) come Balotelli e di un altro avanti più leggero e di maggiore fantasia come Cassano, Diamanti o Giovinco, cui si aggiunge il ricorso a Di Natale quando si creano spazi utili al contropiede (ed è significativo il mancato ricorso a Borini, e non solo perché senza esperienza). Alle spalle è la solita difesa all'italiana, solida, rocciosa, anche se certo non della qualità media di quelle del 1968-1970 e 1978-1982 (o di eccellenze individuali come Baresi, Maldini o Cannavaro). Lasciando perdere le inversioni, Cesare ha innovato nella tradizione, ha sviluppato soluzioni nuove senza recidere le radici culturali del nostro gioco.

10 giugno 2012, Arena Gdansk, Gdansk
Gigi Buffon dribbla El Niño Torres
Ieri sera ho rivisto la partita del 10 giugno. L'impressione è che loro ci siano stati superiori nel complesso dei 90 minuti. Il primo tempo lo abbiamo dominato noi tatticamente, siamo andati in vantaggio meritatamente, ma il pareggio ha aperto gli ultimi loro 20 minuti di predominio. In quell'ultimo spazio di partita noi abbiamo avuto due sole occasioni: Di Natale in spaccata alta su imbeccata di Giovinco e l'incursione finale di Marchisio. Loro qualcosa di più anche se mai di pericolosissimo. Osservati comparativamente, l'uno di fronte all'altro, i due possessi palla sono differenti: loro vanno per vie orizzontali, per allargarsi sui fianchi dell'avversario per provare a puntare in area palla al piede sulla linea di fondo, dilatare la maglia difensiva o al massimo per crossare delle palle basse velenose (il colpo di testa non è contemplato se non come soluzione casuale). Noi invece teniamo palla per verticalizzare sin dalla nostra trequarti (in questo è la matrice della nostra tradizione) appena si liberano varchi, e tendiamo a sfruttare poco le fasce per mancanza di interpreti adeguati nel ruolo. Palleggio orizzontale vs palleggio verticale, dunque. Confermato dalla statistica: 60 a 40 il possesso palla finale per la Spagna, con 18 tiri loro contro i nostri 10, ma 8 a 6 nello specchio della porta. Individualità: temo Iniesta, banalmente, che è stato anche allora il più pericoloso e che parte sempre dallo stesso punto (che oggi sarà sulle isosceli tra Abate, Barzagli e Marchisio); tra i nostri è Marchisio a proporsi come incursore nell'ultima mezzora (come abbiamo visto anche contro la Germania), e chissà che finalmente stasera non segni. Da allora però noi siamo cresciuti come tenuta atletica e come convinzione complessiva. Gli spagnoli invece sono sempre gli stessi, semmai con qualche pausa in più.

Ognuno faccia le sue scaramanzie ... Ormai ci siamo.

Azor