8 ottobre 2012

Derby!

7 ottobre 2012, Stadio Giuseppe Meazza, Milano.
Il vecchio bucaniere Samuel si è scrollato di dosso il giovane
apprendista De Sciglio e, sostanzialmente a porta vuota,
infila il pallone che decide il derby n° 278.
La domenica sera ha sicuramente incollato al monitor tv svariati miliardi di persone: in programma tre classiche, sebbene una sola (la meno nobile delle tre) fra squadre al vertice della classifica. Marseille-PSG e Barça-Real, dall'emozionante e incerta trama, si sono chiuse con due reti a testa; al Giuseppe Meazza, in un tipico derby dei tempi grami, il Milan è stato onestamente sconfitto dalla Benamata grazie a un gol dell'antico mestierante Samuel nei primi minuti di gioco.

L'azione decisiva si presta a sintesi della partita, e merita un'analisi dettagliata. I milanisti male posizionati in area sul calcio franco di Cambiasso da zolla molto defilata e abbastanza lontana, probabilmente deconcentrati dopo una gratuita quanto inedita e virulenta protesta di Allegri; errore tecnico imperdonabile di Abbiati, incapace di leggere traiettoria e gittata del cross; ingenuità del ragazzino De Sciglio, che ovviamente prima di poter prevalere contro Samuel in un duello fisico e aereo dovrà mettere in corpo tonnellate di spinaci e acquisire tutta la scaltrezza necessaria in quelle situazioni nel cuore dell'area di rigore.
Pertanto:
1) Allegri ha sottolineato come la squadra subisca troppo sui calci da fermo. Sarebbe il sesto gol di questa stagione (continuando così, attingerà uno score difficilmente invidiabile ed eguagliabile); ha dunque confessato la propria incapacità di darle organizzazione e posizionamento adeguati a queste situazioni di gioco. Ha sostanzialmente ammesso la propria inefficacia didattica.

Rossi compensativi, collezione 2012-2013:
Yuto Nagatomo
2) Allegri ha chiaramente irritato l'arbitro, che effettivamente commette nella restante parte di gara molti errori, i più gravi certo a danno del Milan. Ma è stato un tipico arbitraggio da Serie A: protagonistico e compensativo (l'espulsione di Nagatomo, considerata tecnicamente ineccepibile, era solo frutto della coscienza sporca per l'azione fermata prima che Montolivo segnasse il valido pareggio verso la fine del primo tempo). A differenza di quelle d'altri paesi e culture del gioco (culture che comprendono anche forme e metodi arbitrali) le giacchette italiane hanno l'abitudine di tenere nella ram ogni episodio della partita; un buon arbitraggio è invece quello per cui ogni azione è la prima a dover essere eventualmente giudicata, prescindendo da ciò che in precedenza è stato deciso. E' così da secoli, nella pedata italica, e il fattore arbitrale incide su ogni partita (escludo naturalmente dal calcolo gli imbrogli preconfezionati).

Orfani di Ibra, stagione 2012-2013:
Kevin-Prince Boateng
3) Il gravissimo errore di Abbiati ben rappresenta la modestia tecnica complessiva della squadra. Non soltanto per quel che riguarda le singole abilità; gli errori più frequenti sono infatti di scelta (scelta di passaggio, scelta di parte del campo su cui orientare l'azione, naturalmente scelta di posizione) per quanto riguarda i contributi individuali alla manovra, e di lettura delle situazioni di gioco per quanto riguarda complessivamente la squadra. Il deficit tecnico è aggravato da una generale in-intelligenza calcistica, cui nessuno della rosa è in grado di rimediare. Alcuni esempi: De Jong rallenta l'azione quando dovrebbe farla ripartire con celerità; Montolivo arretra quando dovrebbe avanzare; Boateng taglia dentro l'area con insistenza pur sapendo o dovendo sapere che nessuno dei suoi è in grado di vederlo per tempo né (tantomeno) vi è chi abbia nei piedi sensibilità e tocco capaci di esplicitare immediatamente il discorso. Si sfiata e, sfiatato, sparacchia palloni da ogni posizione senza mai inquadrare lo specchio. Se c'è un orfano di Ibra nel Milan, questo è senza dubbio Boateng.

Sono tare strutturali che giustificano ampiamente l'attuale posizione in classifica dei casciavit. Un allenatore capace dovrebbe puntare alla massima semplificazione organizzativa; abbandonare qualsiasi ambizione di controllo del gioco e della palla in qualsiasi partita; individuare, per la formula d'attacco, la soluzione meno velleitaria, dato che un centravanti dignitoso non c'è (Pazzini fa rimpiangere da alcune partite i più disastrosi numeri nove della storia rossonera). Dovrebbe sostanzialmente arretrare il baricentro, infoltire il centrocampo, lavorare duro in allenamento sui meccanismi difensivi. Ha in mano una squadra che - con un serio lavoro tecnico-tattico - potrebbe valere il quinto-sesto posto nella Serie A di questa stagione; il rischio è che, di tentativo in tentativo, un'improvvisazione dopo l'altra, non vada oltre il quindicesimo.

Diventerà davvero un numero uno?
O "il" numero uno? Chissà.
Quanto ai bauscia, come contro la Fiorentina hanno lasciato il pallino all'avversario, impostando una gara di attesa e contropiede. Sotto questo aspetto, Stramaccioni mostra di avere più coscienza (e conoscenza) del livello e delle possibilità dei suoi di quante non ne abbia Allegri. Ieri sera, anche prima che il giapponese venisse cacciato, ha tenuto molto bassi tutti e cinque i difensori, ai quali ha aggiunto Cambiasso - piazzato immediatamente davanti ai tre centrali -, cui l'afasia dinamica consente ormai d'essere utile solo in questo modo. La qualità del gioco non è certo brillante, anzi; più che agli schemi, si affida alle possibili invenzioni di Cassano e di Coutinho e all'indubbia personalità di Milito, una sorta di spaventapasseri montato come avanguardia tattica ai confini del territorio nemico. Dunque una squadra che ha semplificato al massimo il proprio modo di stare in campo, e che riesce ancora a sfruttare l'esperienza di tutti o quasi tutti i suoi gloriosi reduci. Solo nella sfida con la Roma di Zeman è parso un undici del tutto inadeguato alla circostanza e mal guidato; merito di Stramaccioni (o di chi l'ha ben consigliato) avere capito presto l'antifona, rinunciando ad ambizioni di gioco bello e avvolgente in favore di una tradizionale e mai davvero superata praticità.

Mans