19 ottobre 2012

Problemi ed errori della Beneamata - L'incertezza tecnica

Concludo la riflessione, pacata, sugli ultimi due anni e mezzo scarsi della storia nerazzurra, dopo avere argomentato sul vulnus - a mio avviso - originale: la sopravvalutazione del Triplete [vedi] e la sottovalutazione della necessità di un ricambio tempestivo e corposo dell'organico [vedi]. Chi ha avuto la compiacenza di leggermi avrà notato come non abbia messo al centro del discorso gli allenatori, perché non li ritengo dei taumaturghi: costituiscono un elemento, certamente importante, ma non decisivo, da solo, nelle vittorie di una squadra. Contano di più la società (adesso i nesci amano dire "il progetto") e la sua direzione tecnica: e il F.C. Internazionale è da quasi tre anni che non riesce a esprimere una politica chiara negli intenti. Chiara, per dire, come lo era stata quella avviata con Roberto Mancini nell'estate del 2004, con un ampio e sensato rinnovamento dell'organico e l'individuazione dei suoi punti deboli, e che diede immediatamente i suoi frutti con le vittorie in Coppa Italia del 2005 e 2006 e la Supercoppa del 2005, prima che si scoperchiasse il verminaio di Moggiopoli.

15 giugno 2010, Appiano Gentile, Centro sportivo Angelo Moratti
Spicca un'assenza alla presentazione di Rafael Benítez Maudes detto Rafa
Dirò perciò qualcosa ora anche sugli allenatori che sono seguiti al grande ciclo avviato con Mancini e culminato con Mourinho. Dal 10 giugno 2010 a oggi (28 mesi) se ne sono succeduti sulla panca ben 5 (per una media di meno di 6 mesi ciascuno). Due elementi, in particolare, appaiono rilevanti: i profili dei 5 sono diversissimi nella personalità e nelle idee di gioco, senza che si riesca a individuare cioè un filo comune, una ricerca di continuità da parte della società; soprattutto, nel giugno 2011, quando Leonardo lasciò inopinatamente la baracca, declinarono l'offerta di ingaggio ben 4 allenatori di rango (Bielsa, Villas Boas, Capello e Hiddink). Se sommiamo la fuga a Madrid di Mourinho l'anno prima e quella a Parigi dell'inquieto brasiliano, c'è da chiedersi come mai un tal numero, e novero, di allenatori non abbia voluto prendere la guida della Beneamata in quella congiuntura. La risposta mi pare abbastanza semplice: non ritenevano la società realmente intenzionata a rinnovare i quadri e a garantire qualità e ambizioni all'organico.

A sentire Benitez, a lui furono fatte promesse vane: "Mi avevano promesso tante cose e non hanno comprato niente" [fonte]. Basti ricordare come lo spagnolo - il migliore allenatore su piazza nel maggio 2010 - avesse individuato con chiarezza i problemi dell'organico e la necessità di una rifondazione. Egli suggerì invano l'acquisto di Mascherano, Kuyt, Evra e dell'(allora) promessa Jovetic, più Sanchez per il mercato di gennaio 2011: gli furono messi a disposizione Biabiany, Coutinho, Castellazzi e il giovane Obi; e venduto Balotelli. Di fatto, avviato in testa il campionato (è dal 26 settembre 2010 che l'Inter non è più stata capolista) e vinti la Supercoppa italica e il Mondiale, nonostante il cedimento di una rosa ormai logora (simboleggiato dalla rottura dei legamenti crociati di Samuel nella partita contro il Brescia del 6 novembre 2010), anche Benitez lasciò la baracca di sua iniziativa, provocando astutamente (per le sue palanche) la rottura con la società.

25 marzo 2012, Brisbane Road, Londra
La dirimente vittoria di Andrea Stramaccioni
Dei 5 temerari post Triplete, due sono stati chiaramente "subìti" dalla vedovanza di Moratti: Benitez e Gasperini. Anche quest'ultimo suggerì l'acquisto perlomeno di un giocatore, Palacio: ed ebbe Zarate al suo posto. Un altro - Claudio Regolo - è stato ingaggiato in piena emergenza (la squadra stava rotolando in zona retrocessione: 15a alla 10a giornata) ed ha assolto egregiamente il suo compito, conquistando la salvezza con 10 turni di anticipo [vedi]. Gli unici due allenatori voluti personalmente da Moratti sono stati Leonardo e Stramaccioni. Anziché progettare il futuro, entrambi hanno accortamente lisciato il pelo ai senatori dello spogliatoio, il primo cavando fuori le ultime stille da un organico moribondo (e ghermendo l'ultimo trofeo, coppa tricolore col Palermo, grazie soprattutto all'ennesima prodezza di Eto'o), l'altro gestendo con dignità il rigor mortis di una squadra ormai postuma a se medesima. Il primo se ne è andato in cerca di se stesso in riva alla Senna, il secondo, che si sta giocando la grande occasione della vita, per il momento è ancora sui Navigli. Ma non è detto che duri.

Il problema dell'attuale stagione è che l'organico non appare adeguato nemmeno adesso, e cominciano a essere riconosciuti dalla stessa società gli errori delle ultime cinque sessioni di mercato, simboleggiati - se vogliamo - dai 19 milioni spesi inutilmente per Alvarez, Jonathan e Silvestre. Non mancano solo un terzino destro e un'alternativa a Milito. Manca un giocatore che avvii il gioco da dietro (e non intendo un Pirlo, basterebbe un Busquets), mentre i tre attaccanti (chiunque essi siano) non partecipano alla fase difensiva ma stazionano a grande distanza dal baricentro, molto basso (lo dicono le statistiche), della squadra. Non è un caso che i risultati migliori arrivino in trasferta, quando si aprono i varchi. Dopo varie sperimentazioni, Stramaccioni ha pensato bene di rinforzare l'assetto difensivo (si dice 3 ma si legge 5 difensori più 3 mediani votati alla contrazione) e ora proverà a fare qualcosa davanti con le briscole basse che si ritrova. Ma non illudiamoci. Anche solo un preliminare estivo con Arsenal o Braga sarebbe da sciacquarsi la bocca.

Azor