20 novembre 2012

Un terzo d'Europa

I principali campionati europei sono giunti circa a un terzo del loro cammino, tra la 12a e la 13a giornata, e dunque è possibile fare qualche considerazione non estemporanea sulle linee di tendenza con cui si è aperta la nuova stagione. Nulla di nuovo sul fronte occidentale verrebbe da dire subito: non sembra alla vista, quest'anno, un Montpellier, per intenderci (e rischiamo di finire col rimpiangere la cresta arancione del suo presidente alla "Gauccì"); le gerarchie appaiono consolidate, in qualche caso cristallizzate; le relative, poche, nuove presenze al vertice sono, al più, dei deja vu.

Il campionato il cui esito sembra ormai pregiudicato è la Bundesliga dove il Bayern domina con 8 punti su Schalke ed Eintracht (un capolino che fa nostalgia: la coppa EUFA 1979-1980, in cui la quattro semifinaliste furono tutte tedesche [vedi | foto]) e 11 sul Borussia Dortmund, che non regge la doppia competizione e sembra aver puntato ad essere la sorpresa di questa edizione della CL per come ha maltrattato il Real di Mourinho. Il Bayern, mi ripeto, è la società meglio amministrata da anni e i risultati si vedono: dallo stadio pionieristico alla rosa di giovani, dai titoli nazionali alle finali europee. E lasciamo stare i luoghi comuni sull'efficientismo teutonico ...

Viceversa, con sette squadre in tre punti, il campionato più incerto rimane la Ligue 1, che nonostante le star parigine resta una competizione qualitativamente di secondo piano. Carletto nostro comincia ad ammettere pubblicamente quello che a me sembrava evidente del PSG (toujour Pas Sûr de Gagner) già a fine agosto [vedi]: "non siamo una squadra, c'è troppo individualismo". Diciamola tutta: è una rosa di mezzoni sopravvalutati e costosissimi, di starlette mediatiche (da cronaca rosa), con solo tre giocatori di classe (Silva, Verratti e Ibrahimovic) e una ciurma di ronzini. Con organici mediamente migliori, benché privi di trisvalide, Lione e Marsiglia sembrano due serie candidate al titolo. Né credo che gli equilibri potranno essere spostati dalla stellina Lucas Moura, vanamente corteggiata dalla squattrinata Inter per un anno e in arrivo a gennaio a Parigi per l'oscena cifra di 43 milioni di euro. Sarà una stagione agonisticamente divertente, ma nulla più: a dimostrazione che i soldi, da soli, non bastano e che occorrono dirigenti all'altezza (e Leonardo non ha ancora dimostrato di esserlo).

Manchester, 16 novembre 2012
Roberto Mancini indossa la maschera di David Platt
per fronteggiare la "tenerezza" della stampa inglese
Molto equilibrio, tra i soliti noti, lo mostra anche la Premier League. Dopo 12 giornate è in testa il City, nonostante le polemiche in cui sta avvizzendo il Mancio (e, anche qui, sfatiamo il luogo comune provinciale che in Inghilterra il calcio si vive senza pressioni: l'unica differenza con la pedata nostrale è che non si parla di arbitri e rigori 24h24, ma i tabloid, sempre sul filo di un malcelato razzismo, martellano che è un piacere 24h24). Il City mostra un dato notevole: non ha ancora perso una partita (un primato che condivide con il Barcellona), mentre lo United è già inciampato 3 volte. E' vero che la PL si vince anche con 4 (ManU 2011), 5 (City 2012) o 6 (Chelsea 2010) sconfitte, ma la banda Mancini si è guadagnato un bel bonus che deve stare attenta a non dilapidare in "pareggite": la proiezione finale attuale è di 88/89 punti, e con 89 il City agguantò il titolo nel memorabile finale shakespeariano del 13 maggio scorso [vedi]. Spiccioli per la vittoria finale li conserva ancora il Chelsea, che ha però una rosa inadeguata di stelline, scarponi e vecchie glorie, e solo l'innesto di Falcao al posto di ... Drogba potrebbe forse darle la scossa. Nei quartieri alti si affacciano il West Bromwich Albion (che nel 2010 era in seconda divisione) e l'Everton del nostro amato Marouane Fellaini (uno dei giocatori più eleganti e concreti delle ultime leve). Ormai scivolati all'indietro appaiono l'Arsenal del sopravvalutato Wenger [vedi VQA] e il Liverpool in pieno disarmo. Deludente per la seconda volta in quel di London è anche André Villas Boas: non basta essere un ottimo tattico, evidentemente.

La maschera naturale di Zdenek Zeman, perplessa
In Serie A la Juventus veleggia una spanna sopra le altre e non vedo come possa perdere il secondo scudetto consecutivo dell'era Conte. Chi insegue non ha una rosa di giocatori equivalente. L'Inter - va dato merito a Stramaleonte di averla pragmaticamente riportata in alto - ha confermato alla prima occasione di non avere un organico adeguato alle ambizioni ma logoro e senza ricambi di qualità (come ho lungamente argomentato in tempi non sospetti [vedi]). Il Napoli mi sembra troppo Cavani dipendente e con il tecnico più modesto in panca. La Fiorentina è la vera, gradevole, novità della stagione: una rivoluzione riuscita, l'allenatore forse più talentuoso di tutti, e un gioco che si avvicina alla "visione italiana" di Prandelli (e sfatiamo anche l'ignoranza giornalistica che lo paragona al Barcellona ...). Delle tre che inseguono la Vecchia Signora mi sembra l'unica ad avere le possibilità, teoriche, di importunarla a maggio, soprattutto se la direzione tecnica azzeccherà anche il mercato di gennaio. La Lazio prosegue col suo piccolo cabotaggio, Zeman ci fa godere le montagne russe e le solite schegge di grande calcio purissimo (l'unico attualmente in Italia). Il Milan vive il suo annunciato, inevitabile, anno zero: fossi in Galliani cercherei di fare bottino a gennaio cedendo Pato e Robinho (il primo una malinconica incompiuta, il secondo una ex stellina da PSG) e mettendo un centrale difensivo da 8-10 milioni (ce ne sono di ottimi in Belgio e in Portogallo se si sapesse guardare non solo al Sud America). E sfatiamo un altro bel luogo comune: non abbiamo più gli "arbitri più bravi del mondo" com'era la ciarla italiota fino a qualche mese fa; non vedo né un Lo Bello e nemmeno un Rosetti, bensì una manica di somari pagati eccessivamente per quel che (non) valgono, presuntuosi, e guidati da due dirigenti totalmente inadeguati ma molto "politici". Non riesco a immaginarmi Braschi fare una lezione di aggiornamento tecnico come quelle in cui è maestro Collina: il dramma è tutto qui.

Resta da dire della Liga, nel paese in cui la crisi si fa maggiormente sentire: gli spettatori negli stadi cominciano a diminuire perché non si possono più permettere il lusso; le società sono già sprofondate nel baratro finanziario (anche gli sceicchi spagnoli del Malaga boccheggiano); e il futuro è incerto e molto cupo. La glassa, per nostra fortuna, rimane la squadra epocale che tante gioie ha dato e sta dando alle nostre brame di voyeurs incalliti. Con 11 vittorie e un solo pareggio (col Real) il Barça sembra avviato all'ennesimo trionfo in una competizione "nazionale" di cui il risorgente indipendentismo catalano sembra minare l'identità. La "sorpesa" (che porta due nomi: Radamel Falcao García Zárate e Diego Pablo Simeone) è l'Atletico di Madrid, che ha lo stesso score del Barça ma una sconfitta (recente, a Valencia): il 1° dicembre andrà a far visita al Bernabeu e il 16 al Camp Nou, e in 15 giorni ne saggeremo la tempra. A 8 punti insegue il Real, che il suo allenatore terrà neuronalmente incollato fino allo schianto (o suo o dell'orchestra ora guidata dal più placido Villanova). Il Barça ha però il vantaggio di dover ancora recuperare i suoi difensori titolari e di rimettere a lucido il bomber Villa. Vedremo.

Azor