25 gennaio 2013

La ciclicità delle egemonie: fantasia sul futuro del football

Dopo la vetusta ma sempreverde (e per certi aspetti inimitabile) FA Cup, la coppa ‘nazionale’ più ricca di contenuto e impegno agonistico è quella spagnola. Ieri sera, nel ritorno dei quarti, il Barça è andato al Rosaleda dovendo vincere, dopo il 2:2 interno, e lo ha fatto schierando tutti i migliori. Ha giocato, ha sofferto, alla fine ha stravinto. Ha superato una prova insidiosa, dopo la prima sconfitta patita in Liga. Chi ha potuto, naturalmente, s’è goduto 90’ di football inarrivabile [HL]. Lo stimolo di mettere in calendario due sfide al Real era forte. Lo si è visto quando, dopo una palla persa in fase di palleggio offensivo, sei uomini in linea (lungo l'asse del limite dell'area di rigore) si sono disposti in un movimento di pressione spaventosa e inaggirabile.

24 gennaio 2013, Estadio "La Rosaleda", Malaga
Malaga - FC Barcelona 2:4 (1:1)
Tutta la determinazione del Barça negli sguardi dei suoi giocatori
Il ciclo dei blaugrana è lungo; se si esclude il Real dei secondi 1950s, nessun altro club ha tenuto così a lungo la scena. Nessuno, perlomeno, fra quelli considerati all'unanimità protagonisti di cicli storici. Per ovvie ragioni, la dimensione del Barça di Guardiola (e ora di Vilanova, e prima ancora di Rijkaard) è paragonata a quella dell’Ajax d’inizio anni ’70. Nel torneo immaginato da Jonathan Wilson, alla fine ci sono arrivati i due XI nati dalla stessa radice, sdoppiata dalla famosa ‘fuga’ di Cruijff sul finire del ’73. Avrebbe vinto l'Ajax: un'epica sfida, decisa secondo Wilson dalla maggior efficacia del pressing olandese. Cruijff vs Messi 3:2.

Le icone del totaalvoetbal a Camp Nou
Cruijff fu seguito in Catalogna da Neeskens, e anche gli altri ajacidi, uno a uno, uno dopo l’altro emigrarono. L’ultimo a mollare gli ormeggi fu Krol, ma era già il 1980. Ad Amsterdam non era cresciuta una generazione di uguale valore, e ci sono due partite che ben simboleggiano quanto fu doloroso il declino: Ajax-Bayern 4-0 (probabilmente il punto più alto dell’era Cruijff), Ajax-Bayern 0-8 (il primo farewell game del grande Johan, nel novembre del 1978). Doloroso, ma momentaneo: a metà del decennio successivo cominciarono a farsi largo grandi talenti che, seppure per una breve stagione, riportarono l’Ajax sul trono europeo, prima di andare a raccogliere gloria e aprire conti in banca altrove: Van Basten, Seedorf, Davids e non solo loro.

L'elegante e innovativa silhouette dell'Allianz Arena di Monaco
Fantasticare non costa nulla. E se – per dire – Messi e Iniesta raggiungessero Guardiola in Baviera in capo a un paio d’anni? Johan, in fondo, a Barcellona ricomponeva il binomio con Rinus Michels, suo mentore. La stessa radice, la stessa cultura – l’unica, in Europa, alternativa al 'calcio all'italiana'  e alla tradizione nordica (quella che grosso modo può accostare storicamente il calcio inglese a quello tedesco, fatti di fisicità senza eccessiva fantasia, di sostanziale monotonia tattica, certo più vincente nell'interpretazione tedesca) – potrebbe attecchire altrove. I progetti egemonici del Bayern, d’altra parte, sono chiaramente intuibili: e uomini come Beckenbauer, Rummenigge, Hoeness hanno troppa esperienza per non sapere che un regno calcistico non si costruisce solo allestendo parate di stelle, o collezionando figurine. Si parte dal gioco, dalla tradizione e dalla cultura di un luogo, meglio se aperte a contaminazioni. Il multiculturalismo teutonico, nel football, è ormai un dato di fatto, e il Bayern ne è senz'altro l’avanguardia. Così come nel futuro è già sicuramente il Pep; non sappiamo ancora in quale, né come sarà, ma si può forse scommettere che il cuore pulsante del pianeta di Eupalla si sposterà presto da Camp Nou all’Allianz Arena.

Mans