20 febbraio 2014

I Citizens sbracano, Ibra monopolizza la scena

Fettine di coppa: andata (I) degli ottavi di finale 2013-14

Se continua così, il televisore può rimanere spento di martedì e mercoledì almeno fino ad aprile. Metà degli ottavi di finale di Champions League sono virtualmente già in archivio; né pare immaginabile che la tendenza sia destinata a cambiare nei matches in cartellone la prossima settimana. Le squadre piazzatesi al secondo posto nella fase a gironi, e dunque 'costrette' a giocare in casa l'andata degli ottavi, sono riuscite nell'impresa di non segnare un solo gol e di finire (con la sola eccezione del Milan) le rispettive serate in dieci uomini. Due inglesi su quattro sono già fuori dalla competizione; l'unica italiana rimasta, come da pronostico, pure. Tempi durissimi.

Battaglia nel cielo di Londra
Naturalmente, le partite più interessanti si sono giocate a Manchester e a Londra. Ma, mentre l'Arsenal ha fatto ciò che ha potuto contro l'invincibile armata bavarese riuscendo anche a metterla in seria difficoltà nell'avvio di gara, il City ha palesemente sbracato. Opposto al Barça, rinuncia letteralmente a giocare; le scelte di Pellegrini hanno ricordato quelle che ogni tanto irritavano la critica italiota quarant'anni fa, quando in trasferte ritenute difficili Trap blindava la squadra mettendo un terzino in più, in posizione di finta ala. Schierare Kolarov in luogo di Nasri, a meglio presidiare la fascia percorsa da Dani Alves, significa alzare in partenza bandiera bianca. Lasciare il possesso al Barça votandosi al contropiede ma rinunciando alla qualità, ancorare i due difensori centrali e far massa al centro perché le incursioni di Messi e le triangolazioni tra lui Iniesta e Fabregas sono potenzialmente dannose almeno quanto le discese del brasiliano: significa essere in preda al panico. La preparazione della partita dev'essere stata, per il successore del Mancio, un autentico incubo. Comprensibile, visto che negli scorsi anni, sulla panchina del Malaga, contro i blaugrana ha rimediato solo considerevoli batoste. Ma non è l'unico; e il City non è il Malaga. I catalani hanno confermato di non essere più l'XI irresistibile di qualche tempo fa; meno fantasiosi e imprevedibili, esibiscono una manovra lenta e che raramente si accende; sembra si divertano meno, sembra che giochino inerzialmente. Restano uno squadrone 'culturalmente' ancora superiore a tutti, alla pari del Bayern (e a proposito di 'cultura' del football: nell'atteggiamento degli sky-blues, martedì sera, non c'era nulla che vagamente rimandasse alla vecchia, 'cara' tradizione inglese, raramente ispirata da calcoli tattici comunque mai originati da un complesso d'inferiorità), ma senza destare l'ammirazione di un tempo e la sensazione di essere al cospetto di una squadra imbattibile o quasi. I Citizens hanno perso l'ennesima occasione per fare strada in Europa; tutto sommato, negli ultimi anni, hanno fatto peggio del Milan. Paradossalmente.

Nella sua maturità agonistica, passata la trentina, Zlatan Ibrahimovic infila prestazioni sontuose senza soluzione di continuità. D'accordo - si dirà -, il Bayer non è il Bayern, è anche in evidente crisi di risultati. Ma il PSG sta crescendo, e di questa crescita Ibra è il principale artefice. Che fosse un autentico uomosquadra, dominante nei confronti di compagni e avversari, si sapeva da un po'. Ma oggi la sua presenza scenica ricorda quella di Johann Cruijff.

A proposito di olandesi. C'era un tempo in cui a San Siro giocavano i giocatori più forti del mondo. E tra i più forti, particolarmente forti erano quelli venuti dall'Olanda. Quelli che collezionavano palloni d'oro. Quelli che tutti ritenevano i migliori. Ancora oggi, nel Milan, ci sono degli olandesi. Il Milan di oggi è composto da pedatori mediamente modesti; tra loro, tuttavia, emergono - per la superiore mediocrità - proprio quelli venuti dall'Olanda: Nigel de Jong e Urby Vittorio Diego Emanuelson. That's all.

Mans