26 maggio 2014

L'impresario

Ultima fettina di coppa: la finale di CL 2013-14

Sugli spalti dell'Estadio da Luz, prima della partita
Anche questa volta, la sveglia è suonata in extremis e ha spento i sogni dell'Atlético. Alzare la Coppa dei campioni, dopo aver già messo in fila tutti i concorrenti nell'infinita Liga di quest'anno: sarebbe stata una doppietta non solo storica, ma clamorosa. Davide può tuttavia fregare una sola volta Golia, non sempre, altrimenti l'exemplum biblico smarrirebbe la sua efficacia.

La compattezza granitica dei Colchoneros si sfalda solo nell'ultimo quarto d'ora della loro lunghissima stagione. Per i crampi, la stanchezza, la vecchiaia di alcuni giocatori, l'assenza di quelli che avrebbero potuto esorcizzare per tempo l'assedio finale. La compattezza, la cattiveria agonistica, l'intelligenza tattica trasferite da Simeone alla 'sua' creatura: hanno mandato fuori giri Bale, neutralizzato Ronaldo, escluso totalmente dalla partita Benzema. Ma sull'ultimo pallone piovuto nell'area degli atléticos ha finalmente avuto la meglio il vero gigante blanco di questa primavera. Sergio Ramos García, andaluso. Campione del mondo, bi-campione d'Europa con la Roja, difensore (indifferentemente) di fascia e centrale. Lo portò al Madrid proprio Righetto Sacchi, che in lui vide le qualità d'un Maldini. Eccolo, dunque. A ventotto anni, Ramos finalmente si toglie di dosso l'etichetta di uomo più espulso nella storia del Real, e in quella storia ci rimarrà per assai più nobili prodezze. Alla doppietta decisiva di Monaco, aggiunge il pareggio (decisivo) nella finale.

Il pari a un sospiro dalla fine ha reso inerziale e inevitabile la goleada madridista nei supplementari. E' salito in cattedra Di Maria - nome, faccia, classe da oriundo del secolo scorso -, e Bale (fin lì caricato a salve) ha potuto ergersi a match-winner sfruttando uno slalom impressionante dell'argentino. Prima, tuttavia, la (virtuale) partita a scacchi l'aveva vinta il Cholo. Carletto verrà giustamente celebrato - come nel suo primo vero anno al Milan, coppa nazionale e Champions -, prima di Natale si prenderà anche l'onorifico mondiale per club; ma il suo capolavoro l'ha sfornato nelle due semifinali con il Bayern, mettendo i galattici - finalmente! - nelle giuste posizioni per rendere al meglio. Senza Alonso, tuttavia, ecco che l'equilibrio tra tutte le fasi è divenuto più precario; la squadra della finale, nonostante il risultato, non funzionava e non poteva funzionare.

Del resto, non si può chiedere a Carletto di inventare calcio. Non ha più l'età - né quel sacro fuoco interiore - per immaginare l'inimmaginato; ha rapidamente mutato il suo 'sacchismo' di partenza con il pragmatismo che gli ha consentito di eccellere, rinascendo dopo i due terribili anni juventini. E' ormai un grande impresario, onusto di gloria e di esperienza, non ha problemi di relazione con le grandi star, e le grandi star si fidano di lui, non litigano, si impegnano, gli credono. Il Real, in fondo, aveva bisogno solo di uno così; uno tranquillo di suo, poco bizzoso, almeno apparentemente non egocentrico, uno capace di tenere il guinzaglio 'lungo', capace di non complicare le cose. O di semplificare quelle complicate, anche con la fortuna: come, appunto, riuscire a vincere la partita che aveva già perso, avendo a suo tempo (Istanbul, 2005) perso quella che aveva già vinto.

Mans