22 settembre 2014

Frank, "el Cuchu" e la nemesi di Marassi

Cartoline di stagione: 6° turno 2014-15

"Frank, sei una vecchia ciabatta, non so cosa farmene di te. Adesso ho Fabregas". Non avrà certo detto questo José Mourinho a Frankie Lampard qualche mese fa, ma c'è qualcuno disposto a scommettere un penny sul fatto che non l'abbia pensato (vedi foto)? E ieri impagabile era l'espressione del portoghese, inquadrato dopo che la vecchia ciabatta, subentrata da poco, aveva scaraventato in rete il pallone di un pareggio che i Citizens strameritavano. Espressione incredula da un lato, scocciata dall'altro. Il vecchio dipendente gli sottraeva la ribalta, impedendogli di vincere more solito una partita di vertice senza giocare a calcio. E il buon Frank è poi andato a raccogliere l'applauso interminabile della South Stand, dov'erano concentrati i supporters ospiti. E' una situazione che capita di rado. Del Chelsea, Lampard è di diritto (e di fatto) una leggenda, e i numeri parlano chiaro: 648 presenze nel club (in tutte le competizioni) e 211 gol. E - si sa - non è un centravanti. Tre titoli nazionali, otto coppe britanniche, una Champions League, un'Europa League. Tutto, o quasi. E' sicuro: la storia di oggi (il gol e gli applausi di tutti) si scolpisce nella infinita storia del calcio inglese; che è forse l'unico a poterne produrre di simili. Su Mou, sul suo atteggiamento nel post-partita [vedi], sul (non) gioco del Chelsea (nonostante l'immensa qualità di cui dispone e che si è vista una sola volta durante il match), stendo un velo pietoso. Vincerà per inerzia molti titoli, quest'anno (cosa che personalmente non mi auguro), ma aumenteranno - nei suoi confronti - le antipatie e il sarcasmo.

E' stato comunque, in Inghilterra, un grande week-end. Bolle di sapone a Boleyn Ground [card] prima della partita - sabato pomeriggio - mentre si alza - appunto - "I’m forever blowing bubbles", inno degli Hammers. Match di cartello, West Ham-Liverpool. Si diceva che i supporters locali fossero stanchi del cattivo gioco offerto dagli uomini di Allardyce negli ultimi due anni; sì, risultati decenti, ma divertimento scarso. Bene, in questa stagione le cose sembra stiano cambiando. I Reds sono annichiliti dai primi dieci minuti di pressing e velocità dei londinesi; sconcertati, incapaci di articolare un discorso di football ancorché minimo. Sterling ignora Balotelli; Gerrard pare un lento tram che sta arrivando finalmente al capolinea; i centrali sono - a dir poco - statuari. Dello spettacolare XI ammirato un anno fa non è rimasto nulla. Rodgers deve ricominciare tutto daccapo: tre sconfitte su cinque partite in Premier sono quasi una sentenza. Peccato.

Jamie Vardie: una giornata particolare
Domenica pomeriggio, a Leicester, eccoli in campo tutti insieme: Falcao e Van Persie, Rooney e Di Maria. La batteria dei galli da combattimento di Luigi Van Gaal. I quattro confezionano due marcature di altissimo pregio, e a meno di mezz'ora dalla fine lo United è avanti di due gol. Riesce a incassarne quattro, e a perdere la partita. Il velo pietoso, stavolta, va steso sul reparto difensivo dei Red Devils: semplicemente osceno. Anche quelli che erano a Filbert Way ricorderanno a lungo questa partita, e la prestazione sopra le righe di due pedatori che più lontani (in tutto) non potrebbero essere: Esteban Cambiasso (ecco dov'era finito!) e soprattutto Jamie Vardie, ormai ventisettenne, nato a Sheffield, e arrivato ai Foxies solo due anni fa, dopo una vita trascorsa sui campi delle divisioni inferiori. El Cuchu ha ciabattato da par suo il gol del tre a tre, l'altro ha corso indemoniato per novanta minuti, segnando, servendo assist e quant'altro; the game of his life, senza dubbio.

Anche altrove si è giocato a pallone. Bisogna ammettere che, quando i suoi satanassi sono in vena, il Real è davvero un luna-park. Otto reti al Riazor, mai così tanti in trasferta nella sua storia in Liga, perle meravigliose offerte da Cristiano, da James, da Bale. Carletto ha il problema di abituare Kroos (uno che era nato trequartista) a fare il centromediano, e deve trovare il modo di far rendere James al meglio per la squadra, avendo il colombiano passo ben diverso da quello di Ángel Di Maria. Sicuramente, essendo tosto e testardo, ci riuscirà, in fondo ha dovuto risolvere problemi assai più complicati nei suoi ormai lunghi anni in panca ...

Il sabato si era concluso al Meazza. Strapieno di spettatori paganti e non abbonati, venuti per vedere Milan-Juventus. Si sperava in un match spettacolare ed equilibrato. Si è vista la classica partita di Serie A, un lento muoversi di uomini e di idee sulla scacchiera; partita - come si suol dire - tatticamente bloccata, e piena di falli (appunto) tattici. A bassissimo tasso di godimento per il pubblico - anche quello non abbonato e non pagante, già. Hanno vinto i bianconeri, secondo logica: superiori non tatticamente, ma certamente nella qualità complessiva dei singoli e dominanti sotto l'aspetto fisico. Magnifica la doppia giocata di Tevez in occasione del gol. Impressione volante: quando (e se) Allegri (uomo e allenatore per nulla geniale, anzi) scioglierà le briglie a Pogba, la Juve farà il salto di qualità che deve fare, forse anche in Europa; il suo reparto di mezzo, a ben guardare (con e senza ma soprattutto - in prospettiva - senza Pirlo), è ben assortito e nulla ha da invidiare a quelli dei grandi club stranieri.

La Serie A ha poi esaurito il suo programma tra il primo, il secondo, il terzo pomeriggio e la prima serata di domenica. Si è visto davvero poco. Da ricordare, tuttavia, la sconfitta della Lazio a Marassi, maturata sul finale di partita: gli sprechi dei biancocelesti nel primo tempo sono inauditi - almeno dieci occasioni limpide, ben riasssunte da un inciampo sulla propria corsa di Felipe Anderson, solo in area di rigore. Si sa come vanno le cose. Nemesi puntuale. "Ha prevalso il fattore imponderabile", deve aver pensato Claudius Lotitus.

Mans