15 settembre 2014

Cominciamo (forse) a seguir virtute e canoscenza


Quando al minuto 57 il massaggiatore Fagorzi ha chiamato Bernardeschi dal riscaldamento, tutti allo stadio abbiamo pensato che a fargli spazio sarebbe stato Babacar. E invece dalla lavagna luminosa, alzata dalla bella Laura Paoletti, è uscito il numero 33: Mario Gomez. Un attimo e un mix di incredulità, stizza e delusione, si è impadronito dello stadio Artemio Franchi di Campo di Marte. Vincenzo Montella ha tolto il top player per far entrare uno che fino a tre mesi fa vestiva la casacca del Crotone.

E’ matto il Vincenzino da Pomigliano d’Arco? No, è coerente.

Vincenzo Montella, alla terza stagione sulla panchina viola
Il sistema calcio italico si è dotato di un organigramma nuovo di zecca, ovvero stantio come un pacchetto di fette biscottate lasciate aperte per un mese. In mezzo a una selva di proclami, indignazione e grida azzeccagarbugliesche, il nostro calcio è esattamente dove lo avevamo lasciato il 24 giugno scorso, a Natal, schiantato dall'irresistibile Uruguay del vampiro Suarez e del maestro Washington Tabarez. Forse Conte riuscirà a resuscitare la nostra nazionale, forse Tavecchio riuscirà a pronunciare due frasi consecutive senza sbatterci in faccia il suo machismo razzista. Di fatto il punto vero della questione, di cui avevamo parlato ampiamente su Eupallog durante la manifestazione brasiliana, non è stato affrontato. Il nostro calcio non ha bisogno di controlli alle frontiere né di vivai milionari. Il movimento sportivo più importante del Paese ha bisogno, secondo chi scrive, di due cose: 1. stadi che appartengano alle società e (possibilmente) al terzo millennio; 2. gente che sa insegnare calcio ai bambini e, quando è il caso, fabbricare il talento modellandolo, indirizzandolo, educandolo. Certo, se poi dovesse anche crescere la nostra cultura sportiva sarebbe magnifico, ma mi pare sia un fine e non il mezzo. A Firenze si sono abbattute le barriere su tutto il segmento di tribuna e, nonostante la visuale non sia sempre ottimale, quel settore  è sempre pieno, soprattutto di padri e figli (non ce ne voglia Turgenev).

A Firenze Montella non ha esitato a togliere un giocatore che ha vinto tutto, che ha segnato in tutti gli stadi del mondo, per far entrare un ragazzo nato nel febbraio del 1994 e affiancarlo a uno che in campo già c’era e che all’anagrafe risulta nato il 17 marzo 1993.

La Viola oggi non ha vinto. Il calcio italiano forse sì.

Cibali