28 aprile 2014

Calcio di barricata

Cartoline di stagione: 38° turno 2013-14

Due trasferte - Manzanares e Anfield (card) -, due partite decisive, e il Chelsea non incassa nemmeno una rete. Perde il totem della difesa (John Terry) a Madrid, lancia un debuttante a Liverpool (Kalas), perde Cech e schiera tra i pali un australiano vecchio come il calcio o giù di lì (Schwarzer). Settimana indimenticabile per i Blues. Se l'obiettivo di Mou era di mantenere aperto ogni orizzonte, ebbene lo ha centrato in pieno. Ha ben studiato e realizzato i suoi piani. Rischia tuttavia di essere la classica pentola senza coperchio, perché in coppa un pari bianco in trasferta è sempre il peggiore dei buoni risultati; in Premier, invece, il Liverpool rimane avanti di due punti e anche il City (se vince il match che deve recuperare) andrebbe più in su, a medesima distanza. Dunque, perlomeno i numeri non sono dalla parte del Migliore, che rischia di pagare carissima la sconfitta interna con i Black Cats di sette giorni fa. In Europa, invece, ha più chances. Dovrà comunque restituire qualche metro di campo agli uomini del Cholo; mai una partita è stata più impronosticabile: tuttavia, i fattori base (esperienza e - soprattutto - fortuna) favoriscono Mourinho.

La partita deve ancora iniziare, ma Brendan Rodgers ha già capito l'antifona
Negli occhi e nei ricordi di spettatori (neutrali) e appassionati rimane e rimarrà a lungo il disgusto per l'anticalcio totale e regressivo impostato da Mou per i due match-clou, del tutto immeritevole di approfondita analisi tattica. Come disponesse d'un XI di ronzini e non di una rosa tra le più qualitative del mondo, ha eretto barriere immobili di dieci uomini davanti all'area, lasciando il centravanti a 60 metri (Torres al Manzanares, Demba Ba a Liverpool). "Defensive display? I'm a bit confused with what the media thinks about defensive displays. When a team defends well you call it a defensive display. When a team defends badly and concedes two or three goals you don't consider it a defensive display", polemizza Mou. Infatti il suo non è più nemmeno calcio di 'difesa', ma di pura e semplice barricata, con rinuncia persino al contropiede - il gol (decisivo) di Demba Ba ad Anfield è solo frutto di un errore tecnico impensabile di Steve Gerrard, che perde la boccia e non certo perché messo sotto pressione (in sostanza, un colpo di fortuna assoluta). Qualcosa che non si era davvero mai visto a questi livelli; nemmeno la derelitta Grecia di euro 2004 (che usava ancora il libero) giocava così. "José is happy to work that way and play that way and he will probably shove his CV and say it works but it's not my way of working", dice a fine partita Brendan Rodgers di colui che lo scelse a Stamford Bridge per insegnare calcio ai ragazzini. Ci si domanda chi, oggi, sceglierebbe Mou per un lavoro simile. Certamente qualcuno a cui, in fondo, il calcio non piace. Qualcuno esattamente come lui.

Mans

21 aprile 2014

Unbelievable performance

Cartoline di stagione: 37° turno 2013-14

57.090: è il numero di coloro che non hanno disertato Camp Nou (card) la sera in cui tutto poteva o sembrava poter essere irrimediabilmente perduto. Già: un Barça aggrappato alla Liga solo in virtù dell'aritmetica (ma non si sa mai) è abbandonato dal suo pubblico, abituato a fasti eccessivi (di gioco e di vittorie), indisponibile a una pur lussuosa normalità. Intendiamoci: con 57.090 spettatori paganti si riempiono ormai quasi tutti gli stadi del mondo; ma qui il colpo d'occhio sembra immiserire il match al rango di un'amichevole senza significato. Significato che poi, invece, ha avuto eccome. I blaugrana sono sfilacciati, a tratti senz'anima, a tratti si direbbe persino che - colpiti da inspiegabile analfabetismo pedatorio - non sappiano più cosa fare quando hanno il pallone, vanno nel panico quando l'avversario (l'ottimo Atletico di Bilbao) alza la pressione. Sprecano occasioni enormi (e ogni volta il Tata silenziosamente impreca, si gira e si allontana, sembra se ne voglia andare definitivamente - ma poi torna), vanno sott'acqua, riemergono all'improvviso. Regalano emozioni, sempre e comunque.

Dove c'è lui ci sono sempre teste calde. Persino Ivanovic è perplesso
In Inghilterra è stato un week-end forse decisivo. Il Chelsea perde in casa. Non era mai accaduto, con Mou in panca. Perde sabato contro l'ultima in classifica, il Sunderland di Gustavo Poyet, un nome che a Stamford evoca buoni e non antichi ricordi. I Blues riescono addirittura a farsi rimontare. "Unbelievable performance", ironizza José nel post-partita. Stavolta non si riferisce ai suoi (o agli avversari) ma al referee. Alla fantastica prestazione (parole sue) di Mike Dean, 'incredibilmente' designato da Mike Riley per dirigere il Chelsea in una circostanza così delicata. Dean ha il torto di assegnare un penalty inesistente ai Black Cats (di questi tempi, un nick quanto mai appropriato, come sanno anche al City); ma che fosse un regalo lo si capisce solo (e come al solito) rivedendo l'azione da un punto di vista diverso da quello dell'arbitro. Come al solito, spropositati gli isterismi del roster e il sarcasmo dello sfasciacarrozze. D'altra parte, se presti Lukaku e ti ritrovi con Torres e Demba Ba (inenarrabile cosa quest'ultimo abbia scialacquato sottoporta: c'era da aspettarselo, dopo la surreale traiettoria accompagnata da Eupalla a silurare il PSG) perché hai dato in prestito Lukaku; se ti trovi a dover schierare tra i pali l'arrugginito ultraquarantenne Mark Schwarzer perché hai dato in prestito Courtois, significa che pretendi troppo anche dal tuo inimitabile deretano.

Satanassi di oggi e (probabilmente) di domani
L'occasione per allungare è dunque ghiottissima per il Liverpool, atteso di domenica a Norwich da gente altrettanto bisognosa di punti. L'avvio dei Reds è come al solito irresistibile. Ispiratissimo Sterling, il ragazzino che rade al suolo il lato sinistro del campo: in dieci minuti, ha fiondato un pallone imparabile e servito un assist sontuoso al bestiale uruguagio. Si ripeterà nel secondo tempo con una fenomenale e fortunata incursione solitaria. Ma sarà sofferenza sino alla fine; ciò non toglie che, se vi è un XI che merita senza discussione di vincere la Premier League quest'anno, per la freschezza e la qualità del gioco d'offesa esibite, è senza alcun dubbio il glorioso Liverpool, in astinenza da quasi mezzo secolo: non accadesse, sarebbe una di quelle clamorose ingiustizie che spesso il football regala per incrementare il proprio fascino.  Il 'realismo magico' di Rodgers è riconosciuto con entusiasmo dal vecchio capitano Steve. Non che vi siano in rosa solo ronzini (tali erano molti di quelli con cui Brendan fece miracoli a Swansea); in un anno tuttavia, sono migliorati tantissimo. Nessuno li considerava, ma sarà bello vederli l'anno prossimo ancora e finalmente sulla maggiore scena europea.

Mans

14 aprile 2014

Tributi britannici

Cartoline di stagione: 36° turno 2013-14

13 aprile 2014, Anfiled, Liverpool
Il pallone, le telecamere, l'emozione intraducibile
Epicentro del football mondiale, Anfield [card], la domenica delle Palme 2014. Un silenzio assordante, gonfio di emozioni, vero (senza i tristi applausi che ormai non si negano a nessuno, nemmeno ai morti), a ricordare le vittime della tragedia di 25 anni fa a Hillsborough: 79 ragazzi avevano meno di 30 anni, un bimbo di 10 era cugino di Steven Gerrard. La Kop ricolma di sciarpe e bandiere e un "YNWA" mai così intenso e vibrante. Il fascino ineguagliabile della cultura calcistica della Terra Madre. Un rito [vedi].

Degna cornice di una partita bellissima, vinta dal Liverpool sul City, grazie anche alla spinta ambientale e allo spirito del momento. Match, peraltro, non decisivo: importante per installare i Reds in testa alla classifica, ma non ancora risolutivo per il titolo di una Premier mai così appassionante come in questa stagione del dopo Ferguson.

Al secondo anno della guida di Brendan Rodgers, il Liverpool sta fiorendo al pieno delle sue possibilità (e dei suoi limiti). Sul giovane allenatore nord irlandese torneremo nei modi dovuti a un profilo che si annuncia grande: il mainstream giornalistico lo etichetta come "allievo di Mourinho" solo perché era allenatore delle giovanili del Chelsea quando il portoghese guidava la prima squadra; in realtà, Rodgers ha un'idea di gioco (palesata negli anni di Swansea) molto diversa da quella di José, da cui ha appreso semmai insegnamenti importanti per la gestione del gruppo e la valorizzazione dei singoli (per dirne una, quella di Coutinho, che ha rischiato di vedersi rovinata sul nascere la carriera dall'incompetenza nerazzurra).

Restiamo qui, brevemente, ai 90 e passa minuti di ieri. Scandibili in tre atti. La prima mezzora nel segno della consueta furia rossa, incontenibile per velocità, imprevedibilità e concretezza: 2:0 al 26°. La seconda mezzora in cui i Citizens hanno ripreso in mano il gioco e sono rientrati pazientemente in partita, grazie non solo alla qualità dei singoli (su tutti Silva) ma alla determinazione d'insieme, che ha sfruttato le (persistenti) incertezze difensive dei Reds (42 gol subiti in 34 partite): 2:2 al 62°. Nell'ultima mezzora sono saltati gli schemi e ha trionfato l'epos: a pesare non potevano non essere gli errori e le imprese dei singoli. Silva ha sfiorato la terza rete, Kompany ha ciccato un pallone e il giovane Philippe Coutinho ha segnato il gol più importante e forse più bello della sua precoce carriera di 21enne.

Un pomeriggio memorabile, per chi ha avuto la fortuna di esserci e per chi l'ha vissuto in diretta televisiva. E' raro che un match di vertice in Premier deluda le attese di spettacolo e di agonismo, ancora meno che si risolva nel tatticismo speculativo. Perché è vissuto come un tributo: al football e a chi lo ama come beautiful game.

Azor
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10 aprile 2014

Gli strateghi

Fettine di coppa: ritorno dei quarti di finale 2013-14

Ogni tanto fa piacere indovinare una situazione. Non dico 
un pronostico. Parlavamo (fra l'altro) del Bayern. L'XI del Pep è un 
rullo compressore. A questo punto della stagione, forse, 
risparmia un po' di benzina. Cerca di controllare le 
partite. Se non è necessario vincerle, può anche 
accontentarsi di pareggiarle. Se invece conviene vincerle 
in fretta, onde appendersi una coccarda con largo 
anticipo, ci impiega qualche minuto: come a Berlino, dieci 
giorni fa, quando con l'Herta servivano tre punti per 
conquistare matematicamente la Bundesliga. Se si trova 
(apparentemente) con l'acqua alla gola - come ieri sera, 
sotto di una rete clamorosa inventata da Evra -, esce di 
prepotenza. A quel punto, la tranquillità (circa il 
passaggio del turno) pretendeva almeno tre gol. Detto 
fatto. Nemmeno venti minuti per fare il lavoro: Red Devils 
asfaltati, senza pietà.

Veduta del Manzanares, destinato alla demolición
Alle semifinali approdano dunque tre superclub e una ganga di arrabbiatissimi colchoneros. Tre allenatori pluri-medagliati e uno che aspira a fregargli il bottino. Lui, il Cholo, combattente con pochi eguali, non meno carismatico degli altri tre. Di cinque importantissime sfide stagionali con il Barça non ne ha persa una. Ha incendiato dopo immemorabili tempora il Manzanares, ieri sera bollente come un girone infernale. Il primo quarto d'ora del match è (come suol dirsi) da mandare direttamente in cineteca. Blaugrana storditi da un pressing mai così aggressivo contro di loro. Solo un gol al passivo, ma potevano essere parecchi di più. La triste serataccia di Leo, le velleitarie giocate di Neymar, il declino di Xavi - una sola (sontuosa, certo) giocata e nient'altro in novanta minuti; la sostituzione di don Andrés: per la prima volta dopo tanti anni esclusi dalle semifinali, i catalani dànno l'impressione di essere davvero a fine ciclo. Sapranno certamente voltare pagina, ma ci vorrà del tempo. E molto dipenderà dal futuro che Messi immagina per sé.

Anche il Real ha sofferto - come a tutti succede - in Westfalia. L'XI di Klopp è quanto di più simile io ricordi alla Dinamo Kiev del colonnello Lobanovski. Attacca a velocità folli, ma l'assenza di raffinati pedatori (l'unico è Reus) produce molti errori. Così anche l'ultima squadra dell'est - del resto ha in rosa svariati polacchi e un promettente armeno - scende dalla giostra (e chissà se e quando ci risalirà), ma ha fatto girare la testa a Carletto e le scatole a Cristiano. Tra andata e ritorno, i gialloneri hanno sprecato almeno una dozzina di limpidissime situazioni sottoporta. I Blancos paiono, anche quest'anno, non pronti per la decima (eh eh eh: i pronostici li azzecca solo chi non li fa).

Mou illustra ad André Schürrle il senso del football:
mettere il pallone in rete. 
Il tedesco mostra rapidamente di avere appreso la lezione
Piacerebbe invece (eccome, e quanto) alzare la coppa a Mou, del quale periodicamente si tessono le infinite lodi. Sì, è stato un capolavoro (come al solito) rovesciare sul campo tutta la batteria di punte a disposizione. Li metti là, e prima o poi una traiettoria sporca, una deviazione, qualcosa di fortunoso succede. Lui è abituato così. Al Parc des Princes aveva accusato i suoi di avere incassato gol ridicoli, mettendone in dubbio le qualità. E perbacco. Se avessi soltanto Ibrahimovic, diceva. Intanto, Ibra si era fatto male e a Stamford ci è venuto solo per guardare la partita, e può anche essere che (guardandola) gli sia passata la voglia di giocare a pallone. L'XI italo-francese ha mostrato l'assenza di tutto ciò che serve per essere davvero una grande squadra, e il portoghese è riuscito a trasformare una normale, routinaria vittoria dei suoi in un trionfo epocale. Chapeau, solo lui ci riesce. Perde Hazard (noto brocchettino), e chi gli subentra (un titolare della Nationalmannschaft) segna dopo pochi minuti. Entra il disgraziato Demba Ba (boh!), e una sua ciabattata finisce rimbalzata e deviata alle spalle di Sirigu. Fortuna? Macché! E' solo ed esclusivamente merito suo. Del grande stratega, immenso motivatore, inventore del calcio come conflitto linguistico: José Mourinho.

Mans

6 aprile 2014

Uscite di scena

Cartoline di stagione: 35° turno 2013-14

5 aprile 2014, Stadio "Giuseppe Meazza", Milano
La Nemesi
Cartolina da San Siro [card] per segnalare una serata a suo modo simbolica. Due grandi protagonisti della stagione del Triplete nerazzurro, Chiristian Chivu e Diego Milito, escono di scena con gesti di rilievo. Il primo, sfortunato, saluta i tifosi in anticipo perché costretto a lasciare il calcio agonistico per problemi fisici insormontabili. Il secondo si congeda di fatto da San Siro facendosi parare dal portiere avversario l'unico rigore dell'annata concesso alla squadra: una giusta Nemesi dopo una stagione passata a lamentarsi, a memento che i rigori te li puoi anche veder concessi ma poi devi saperli segnare per tradurli in punti.

E' un po' di tempo - esattamente dal 27 maggio 2013 [vedi] - che non scriviamo di Inter su Eupallog. Per due motivi principalmente: come avevamo previsto (e non ci voleva molto), la squadra, affidata a Mazzarri, non ha combinato nulla di significativo sul piano dei risultati; gli effetti del passaggio di proprietà da Moratti a Thohir cominciano solo in queste ultime settimane ad essere perscrutabili e dunque a essere commentabili (dopo che da ottobre a oggi si sono affastellate solo millanta illazioni sulla stampa).

Ma partiamo proprio da Diego Alberto Milito, cui tutti gli appassionati della Beneamata (quorum ego) sono affezionati per le gesta eponime del Maggio 2010. Pochi però amano ricordare come il nostro eroe, alzando la Coppa nel ventre del Bernabeu, chiese in Mondovisione un aumento di stipendio. Facciamo allora due conti, a bilancio del quadriennio che è da allora intercorso. Diego ottenne subito l'aumento: i costi sono noti, 4,5 milioni netti a stagione (è il più pagato in rosa), cioè 9 lordi nel bilancio della società. In quattro anni l'ex bomber è dunque costato 36 milioni. A fronte di 115 partite giocate, 45 gol e 8.084 minuti in campo in gare ufficiali. E 3 soli trofei, nella declinante stagione 2010-2011: Mondiale per Club (terzo gol nella semifinale con il Seongnam, e 88' in finale senza reti), Coppa Italia (gol del 3-1 dopo essere subentrato all'87°) e Supercoppa italiana (in campo per 90' ma senza reti). Se vogliamo essere crudi: 12 milioni di euro a trofeo, 800.000 euro per ogni gol segnato, 313.000 euro a partita, 4.453 euro a minuto giocato.

Proseguiamo con qualche conto sugli stipendi percepiti (a libro paga societario) negli ultimi quattro anni dagli eroi del Triplete: Cambiasso 32 (4 netti stagione); Zanetti, 20 milioni (2,5 netti); Chivu 16,8 (2,1 netti); Samuel 16 (2 netti); Castellazzi, 4 milioni (0,5), per indicare solo i giocatori in rosa (senza contare cioè gli Stankovic, etc., degli anni trascorsi). Nota bene: non intendo fare il solito discorso moralista su quanto guadagnano i calciatori di fronte a chi non arriva, come sul dirsi, a fine mese - lo stato attuale del capitalismo è questo. Il discorso riguarda la società, cioè la dirigenza. Quella Moratti.

Apriamo i libri contabili. Stagione 2011-2012: ricavi 205,8 milioni di euro, costi 320, stipendi 166,4, risultato netto di esercizio -89,8, debiti netti 301,3, patrimonio netto 96,8. Stagione 2012-2013: ricavi 177 milioni di euro, costi 274,3, stipendi 133, risultato netto di esercizio -82,7, debiti netti 293, patrimonio netto -0,3. Si noti bene l'ultima cifra perché spiega i problemi attuali di Thohir: dovendosi accollare i debiti di Moratti non ha un patrimonio su cui accreditarli, a meno di ipotecare le strutture (da Appiano Gentile alle altre); per questo sta facendo "finanza creativa" con le banche asiatiche che dovranno garantirgli il credito, ipotizzando espansione del marketing (contratti TV, amichevoli, magliette e brand vari) in quell'area. Non sarà facile, e per questo ha chiesto a Moratti una dilazione sui tempi di subentro nel frasi carico dei debiti societari.

Per favorire l'espansione asiatica del marchio Thohir ha bisogno che l'Inter si qualifichi per l'Europa League dalla porta principale (4° posto): altrimenti si svaluta il "brand" e la (remunerativa) tournée americana di fine luglio inizio agosto diventa impossibile (con un 6° posto). Per questo il povero Mazzarri è sulla graticola. A sei partite dal termine della stagione il bilancio agonistico è peggiore di quello dello scorso anno. Non ci voleva molto a immaginarlo [ri-vedi]: l'allenatore è di caratura modesta, nonostante quel che dice(va) l'emulsione giornalistica. Perfettamente adeguato alla mediocrità attuale della rosa, peraltro. L'idea di calcio di Mazzarri è ormai archeologica rispetto a quella che si gioca in Europa: non solo a livello di Bayern o Chelsea, ma anche di Southampton o Celta Vigo. In altri termini, Mazzarri incarna perfettamente l'arretratezza culturale del calcio italiano rispetto a quello concorrente oltre frontiera.

Un destino segnato
E Thohir - per dirla col Filosofo di Setubal - non è mica un pirla. Si cominciano a capire le sue intenzioni. Dal punto di vista aziendale si è dato tre anni (2016-2017) per ricondurre in positivo i risultati netti di esercizio (quelli che pesano attualmente per più di 80 milioni di deficit a stagione: i debiti sono un altro discorso). Il passaggio immediato è non rinnovare i contratti a Milito, Zanetti, Samuel, Castellazzi, e probabilmente anche a Cambiasso: una sforbiciata di 20-25 milioni. Finalmente si chiuderà la lunga agonia della generazione del Triplete e, con essa, il peso del clan argentino in società e nello spogliatoio: con ogni probabilità Zanetti avrà un ruolo leggero, più esornativo che sostanziale, lontano da quello che poteva immaginare (e magari gli era già stato promesso) da Moratti.

L'idea di Thohir è quella di svecchiare finalmente la rosa, fare rientrare i giovani di valore che sono in prestito altrove, innestare alcuni anziani di esperienza nei reparti: Vidic per la difesa, un centrocampista al posto di Cambiasso e una punta che garantisca la doppia cifra al posto di Milito. Per arrivare a questi sacrificherà un paio di giocatori tra Handanovic (che ha Bardi alle spalle), Guarin (Duncan), Alvarez (Botta), Ranocchia (Vidic/Rolando) e, se necessario, anche lo stesso Icardi: diciamo 30 milioni almeno in entrata, per spenderne al massimo 40 in uscita, e andare in pari a bilancio con le plusvalenze.

A quel punto si ripartirà con un progetto tecnico nuovo. E' ovvio che il destino di Mazzarri è già segnato: le dichiarazioni presidenziali sono solo di facciata per non precipitare la situazione nelle ultime partite della stagione. A ben guardare, Thohir arriverà là dove Stramaccioni aveva proposto a Moratti esattamente un anno fa di arrivare (fare fuori la vecchia guardia, puntare su giovani di qualità e su un impianto di gioco europeo). Quest'ultimo non ebbe il coraggio di sacrificare i suoi veterani, perché è un danaroso sentimentale. Thohir ha il vantaggio di poter tagliare i ponti e ripartire. Se saprà azzeccare il nuovo tecnico l'Inter potrà puntare ad arrivare a -20 anziché a -40 punti dalla Juventus, e magari guadagnarsi l'Europa League dalla porta principale. L'attraversata del deserto è appena cominciata. Ahi noi.

Azor

Fonti: Internazionale FC - Gazzetta dello Sport - Transfermarkt - FC Internews

3 aprile 2014

I ronzini di Mou

Fettine di coppa: andata dei quarti di finale 2013-14

Il gallese del Real: discontinuo ma devastante
Alle calende di aprile finalmente si può festeggiare l'inizio della Coppa dei campioni. Partecipano otto squadre, si gioca a eliminazione diretta. Non c'è nemmeno un'italiana, nessuna ce l'ha fatta a uscire viva dalla perfida giungla di preliminari e gironcini, fatturati e tetto-ingaggi, nevi turche e declino tecnico. Sono rimaste in otto, anzi praticamente in sette poiché il Dortmund ha coraggiosamente offerto spazio alle scorribande madridiste ottenendone altrettanto in contropartita, ma i gol sono stati capaci di farli solo quelli in maglia bianca. Tre a zero e la scampagnata al Westfalen non fa più tremare le vene ai polsi degli spagnoli e Carletto può muovere il sopracciglione solo per accontentare i giornalisti.

Sono rimaste in sette, anzi in sei, perché l'invincibile armata bavarese ha - vero - solo pareggiato a Old Trafford, e pure risalendo la montagnetta di un gol subito, ma ha dato (come sempre) l'impressione che, se vuole vincere, vince. Se è necessario, asfalta. Se non lo è, vivacchia un po'. E' un XI potente cui Guardiola non ha tolto nulla di quel che aveva, limitandosi a personalissimi ritocchi. Per esempio, Ribery e Robben giostrano molto più vicini di quanto non facessero con Jupp, e cambiano spesso la loro posizione. Accelerazioni su tutto il fronte d'attacco o triangolazioni strette: vanno in porta come vogliono e in tanti modi diversi.

Dunque sono rimaste in sei, una spagnola non sarà invitata al gran ballo delle semifinali, ma non sappiamo ancora se toccherà all'intermittente Barça o al voracissimo Atletico. Mercoledì prossimo, al Calderon, l'aria sarà rovente e sui garretti di tutti i più preziosi pedatori il match depositerà non pochi segni. Prevediamo, insomma, una battaglia memorabile.

Due serate di buon calcio, non ancora ottimo. Pessimo quello visto al Parco dei Principi - dove l'illuminazione non sembra all'altezza degli standard attuali: sembrava un ottavo di Coppa Uefa degli anni '80; è difficile comprendere quale equilibrio e quali funzionalità possa inventare Blanc mettendo assieme Ibra Cavani e Lavezzi; finché sono rimasti in campo tutti e tre, il Matador sembrava l'ombra di se stesso, alla vana ricerca di posizioni (attive e passive), broccheggiante palla al piede, cattivo e fuori tempo nelle coperture. Poi, uscito Ibra, è tornato somigliante anche nelle giocate a quello che conoscevamo. Lì, a Parigi, il risultato è parso bugiardo, non corrispondente ai reali rapporti di forza tra le due squadre. Ma è, naturalmente, solo colpa del Chelsea, che ha letteralmente regalato tre gol. Non uno: tre.

Il disgusto dell'Allenatore
La cosa ha naturalmente mandato su tutte le furie Mourinho. Si sa, lui non ama perdere, ma ancora meno gli piace perdere così, di pura generosità. Pubblicamente, ha tirato su il morale ai suoi sostenendo che sono dei brocchi. Ha aggiunto che sarà dura, con questi ronzini, fare due gol e non prenderne alcuno nel ritorno a Stamford. E diamine! Lui, poveraccio, non ha Messi, non ha Ronaldo, non ha Ibra, non ha nemmeno Lewandowski (ieri sera non ce l'aveva nemmno Klopp, e infatti i tedeschi non hanno mai centrato le porte del Bernabéu). Lui, poveraccio, si deve accontentare di pedatori da serie B, anzi da Championship o da League One, gente di secondo o di terzo piano come Hazard, Eto'o (assente al Parco, è vero), Torres (un ex centravanti, forse), Oscar, Willian, e poi Lampard Terry Ramirez e così via. Lui fa miracoli, tutto ciò che ha prodotto il Chelsea quest'anno è miracoloso, ma arriva il momento in cui anche l'Allenatore degli Allenatori, il migliore di tutti e di sempre, deve arrendersi ai limiti pedatori di giovani uomini non toccati dalla grazia di Eupalla. Se Eupalla l'ha ascoltato, almeno una volta lo deve seriamente punire. E allora, forse, delle otto sorelle ne sono rimaste soltanto cinque e non sei, e una di loro ha dimora sotto la Torre Eiffel.

Mans

1 aprile 2014

Dettagli

Cartoline di stagione: 34° turno 2013-14

29 marzo 2104, San Mamés Barria, Bilbao
Alluce destro a far perno a terra, indice destro in aria:
la prodezza "pesantissima" di Thibaut Courtois
I campionati hanno dunque imboccato l'ultimo chilometro. Se il Bayern ha già alzato le mani e fa passerella come all'arrivo di una cronometro a squadre all'ultima tappa, in Premier e in Liga sarà una volata di gruppo da colpo di reni. Erano entrati in testa i "treni", rispettivamente, del Chelsea e del Real Madrid, ma sono stati risucchiati e spuntano ora le maglie celesti del City e blaugrana del Barça. In ottima posizione per provare a lanciare la stoccata nelle ultime centinaia di metri sembrano ancora Liverpool e Atletico. Fuor di metafora velocipedistica, era da anni che non si vedeva una situazione simile di incertezza al vertice dei due principali tornei europei.

Scremiamo però la panna mediatica. Si tratta pur sempre di super club, di medio e massimo calibro. Non c'è un Montpellier, per intenderci, nelle posizioni di testa. La classifica dei fatturati della stagione 2012-2013 dice: Real 518 milioni di euro, Barcellona 482 e Atletico 120; City 316, Chelsea 303, Arsenal 284 e Liverpool 240. Le vincitrici degli altri campionati, per valutazione comparativa: Bayern 431, PSG 398 e Juventus 272. Grandi flessioni dell'annata: Manchester United 423, Milan 263 e Borussia 256, per restare a chi sta sopra ai 200 milioni. Ma fatturano più dell'Atletico Madrid anche l'Inter (sic!) con 168, il Galatasaray con 157 e la stessa Roma con 124. Dunque, solo se alla fine prevalessero i Reds e i Colchoneros potremmo parlare di una piccolo ribaltamento gerarchico. Tra super club, bene inteso.

Mancano 6-7 partite e a questo punto cominciano a contare anche i dettagli: un gol mangiato, un regalo difensivo, un palo, un errore arbitrale. Tutto può pesare a questo punto. Sabato 29 marzo abbiamo assistito, in sequenza, a tre "dettagli" pesanti. Tre parate, che potrebbero spostare i piatti della bilancia alla metà di maggio.

La cartolina arriva dal Selhurst Park [card] per segnalarci che lo stagionato portiere del Crystal Palace, l'argentino Julián Speroni, ha effettuato una bellissima parata reattiva al 73° su tiro ravvicinato di Eden Hazard, salvando il risultato a favore della sua squadra: se il belga avesse segnato, il Chelsea avrebbe ora probabilmente un punto in più in classifica, e magari anche tre: cioè sarebbe in piena corsa. Ha ragione Mourinho a dire che adesso l'esito finale non dipende più da loro ma dalle altre squadre.

Poco più tardi, all'Emirates, al 76° il portiere polacco dell'Arsenal, Wojciech Szczesny, ha smanacciato con un gran balzo un tiro di Yaya Toure destinato all'angolino basso di sinistra. Due punti "persi" dal City, probabilmente, per l'allungo decisivo. In serata, al nuovo San Mamés (Barria), all'80° il giovane nazionale belga Thibaut Courtois - in prospettiva il migliore in assoluto dopo Neuer - ha tolto le ragnatele dall'angolino alla sua destra deviando una bella incornata di Aritz Aduriz dell'Athletic Bilbao, e salvando due punti al suo Atletico. Mere ipotesi? Può darsi. Ma i punti in più e in meno sono questi, a questo punto. Ed è il bello e il fascino agonistico di questo sport che amiamo.

Azor