30 giugno 2014

Spettacolo mondiale

                                                                                  Alicante, 30 de junio de 2014

Un mondiale nato e vissuto fra contestazioni, leggi repressive, sordine e scontri. Un mondiale censurato, che estende le zone franche dʼesclusione intorno agli stadi allʼombra del mezzo televisivo. Un mondiale in cui lʼevento sociale e sportivo si riduce drasticamente al taglio del palcoscenico imbellettato. Un mondiale edulcorato dallʼinvasione di campo, dallʼapprofondimento moviolistico, da qualunque voce strida con il motto ufficiale di Brasil 2014, Juntos num sò ritmo ("Uniti in un solo ritmo"). Il main stream della sezione ritmica, sia chiaro, è rigorosamente scandito da basso e batteria – Blatter e Grondona – della FIFA, sebbene i singoli frammenti di gioco potrebbero dipendere anche dalle ubbie dello spot fixing, ossia la rete clandestina di scommesse su singoli momenti delle gare, recentemente scoperchiata da unʼoperazione congiunta della polizia di Hong Kong, Guangdong e Macao.

Rio de Janeiro: protesta degli Indios nel museo abbandonato, 
nellʼAldeia Maracanã
La FIFA (o chi per essa) sgombera, manganella e demolisce ciò che non gradisce: il Museu do Indio, i manifestanti, persino – metaforicamente – lʼeffigie di Luis Suarez indossata dai tifosi charrúas.

Di infimo livello anche il dibattito che orbita intorno allʼevento: protagonista quotidiano e assoluto è senza dubbio lʼinossidabile Maradona, il quale si scaglia contro la federazione internazionale, ansioso di rivendicare per sé il ruolo – poco credibile – di defensor del Pueblo ai danni di presunti "foraggiati" come Pelé e Beckenbauer; e poi contro lʼAFA, il Brasile, Blatter, lʼ€uro, la Merkel, lʼeffetto serra, lo spread et similia. Memorabile lʼelaborata difesa dʼufficio in favore di Luís Suárez nel suo programma estivo De zurda, sul canale di stato venezuelano Telesur (¿A quién mató? e ¿Por qué no lo mandan a Guantánamo?), di spessore anche la critica ai colletti bianchi della FIFA, incapaci di prendere una decisione in merito perché – a suo dire – mai hanno calciato un pallone né indossato la casacca della propria nazionale; insomma, il Pibe de Oro potrebbe essere considerato lʼemblema dello sdoganamento della frode, il che sottrae ogni credibilità alle pur sensate accuse di corruzione (appurata) alla FIFA.

Il paladino Diego in difesa di Luisito Suárez,
in De zurda (Telesur)
Del resto, Diego ancor oggi sostiene che la sua squalifica da Usa ʼ94 fu una manovra per arrestare la marcia trionfale argentina al titolo, e che a superare Peter Shilton a Città del Messico nel giugno del 1986 fu la Mano de Diós, Sullʼaltro versante, lo spettacolo in campo è conformemente desolante: cifra tecnico-tattica livellata verso il basso (esemplare, al riguardo, il calcio poco bonito della selezione verdeoro), arbitraggi inadeguati se non palesemente partigiani, tanti calci, qualche morso, molte simulazioni. Diego Costa, Robben, Fred, Neymar, Balotelli, Möller e tanti altri: un campionario degno del peggior mondiale di tuffi in vasca grande. Poche prodezze, tante bassezze, alle quali si aggiunga la consueta pratica del congelamento del match, che coinvolge proprio tutte le nazionali, le grandi come le piccole: imbarazzante il melodramma costaricense di ieri sera, nei 40 minuti che hanno separato il gol di Bryan Ruiz da quello di Socratis Papastathopoulos in Grecia-Costa Rica, senza nulla togliere allʼimpresa dei ticos (penalizzati da un netto tocco di mano in area di Torosidis non sanzionato dal mediocre arbitro australiano).

Tentiamo di salvare qualcosa. In una Spagna inasprita dalla pessima figura dei campioni in carica, si apprezza lʼuscita dignitosa di Cesare Prandelli e Abete, che un minuto dopo lʼeliminazione rassegnano le proprie dimissioni, in un periodo in cui dagli omologhi e riluttanti Del Bosque e Villar, considerati i maggiori responsabili del fallimento, ci si aspetterebbe il medesimo gesto.
Arena Pernambuco di Recife: 
tifosi nipponici dopo la sconfitta con la Costa dʼAvorio
Poco prima della spedizione erano state rese pubbliche le cifre promesse alle stelle spagnole in caso di raggiungimento della finale, ovvero circa il doppio rispetto al corrispettivo garantito in Brasile, Germania e Francia; per contrasto, ha destato certa ammirazione la rinuncia dei giocatori greci al premio per la qualificazione agli ottavi. Ma lʼimmagine più suggestiva è probabilmente quella dei tifosi giapponesi che, dopo ogni match, ripuliscono le gradinate dalla spazzatura. È quellʼestremo bisogno di normalità e onestà che il calcio dovrebbe trasmettere, in un mondo perfetto.

Duca

Nell'inverno del Nordeste

Cartões Postais do Brasil

Fortaleza. Il pomeriggio qui è ancora lungo e Luigi van Gaal medita tra sé e sé quale mossa azzardare (foto): accendere il tablet e prenotare un volo diretto per Manchester e buttare via tutto questo armamentario irrisorio di schemi e di appunti oppure aspettare qualche minuto per capire se Sneijder e Robben hanno voglia di restare in Brasile ancora un'altra - minimo - settimana?

I due manifestano l'intenzione di continuare a godersi il relativo inverno del Sudamerica, e così per l'ennesima volta El Tricolor non scavalca le transenne degli ottavi di finale. Non c'è verso. Sembrava davvero che l'impresa fosse vicina, mancavano solo un paio di minuti al novantesimo, la strepitosa Olanda della prima fase si stava squagliando sotto il sole cocente del Nordeste. Gente grossa e pesante, nordici che hanno sempre patito queste condizioni metereologiche. A loro agio erano gli ossuti e leggeri Guardado e Aquino, Aguilar e Salcido, desperados redenti e guidati (in campo) dall'elegante, aristocratico Marquez, in panca dal sanguigno Herrera. Proprio Herrera - inesperto a questi livelli - escogita la mossa che tiene in vita gli olandesi. Più che in vita, li tiene a ridosso dell'area. Togliere una punta e aggiungere un centrocampista, togliere un centrocampista e aggiungere un difensore centrale significa chiamare il nemico a ridosso delle mura, e la città è perciò più difficile da difendere. Consentire a Robben ripetuti uno contro due appena fuori dell'area di rigore è, di questi tempi, un suicidio. Così è andata. Dall'uno a zero all'uno a due in un amen, senza l'agonia di supplementari e penalties. La vecchia Europa tira un sospiro di sollievo, vedendo una delle proprie bandierine resistere all'impetuoso vento dell'America.

Recife. Il secondo tempo è iniziato da poco e Oreste Karnezis, portiere della Grecia, sa bene che non sarebbe il caso di nascondersi nel lungo cono d'ombra proiettato da Socrate Papastathopoulos, non essendovi alcun bisogno di spalancare tre quarti dello specchio di porta e lasciarlo così incustodito ed esposto: Ruiz se ne accorge e vince una specie di scommessa del barattolo (foto), "la metto a uscire proprio là nell'angolino, sì la palla deve girare e girare, a uscire a uscire, ma non uscirà, e lenta lenta finirà in buca. Oreste hai perso la scommessa, mi paghi la birra e l'orario degli aerei in partenza per San José puoi anche metterlo in qualche posto che sai".

La Grecia ha difficoltà a cucire efficaci manovre d'attacco. Rumina con insistenza, ma non trova sbocchi. La aiuta Oscar Duarte, possente difensore centrale del Bruges, che colleziona due cartellini gialli, si mette d'accordo con l'arbitro e glieli rende, scambiandoli con uno rosso e togliendosi dai piedi; la sua assenza in area si vede e si sente, Fernando Santos scaraventa in campo tutti i centravanti di cui dispone, è l'ora dell'assedio, o la va o la spacca, tanto più che Campbell ormai non riesce più a tener palla e nessuno va a dargli man forte - anche se è calata la sera, nel Nordeste l'ossigeno è poco e razionato. Siamo ormai vicinissimi al novantesimo e un tiraccio di Socrate (sempre nel vivo del plot) sembra improvvisamente destinato a ribaltare la partita. L'armata ellenica è in superiorità numerica e deve stare sul pezzo, ma non è il suo karma; è tutta gente che si trova meglio alle Termopili che nella metà campo degli avversari. Sicché, quando il centravanti dall'orrenda barba (Costantino Mitroglu), all'ultimo istante del secondo tempo supplementare, riceve un magnifico pallone e da due passi lo colpisce (di destro, ma lui è mancino) nel più maldestro dei modi possibili, tutto appare improvvisamente chiaro. E' chiaro che vinceranno i Ticos. E' chiaro che voleranno nei quarti di finale, che segneranno un calcio di rigore in più degli altri o ne sbaglieranno uno di meno, e infatti non ne sbagliano nemmeno mezzo, sicché al penultimo giro tutta la Grecia si ammassa sul groppone di Theofanis Gekas, classe 1980. Se sbaglia è finita. Lui lo sa e il suo sguardo lo dice. Ha avuto paura.

Mans

29 giugno 2014

Copa América

Cartões Postais do Brasil

I primi due match degli ottavi hanno offerto due clásicos tra compagini sudamericane. Perfettamente a loro agio nel clima continentale (sarà un caso ma non si sono visti giocatori sfiniti dai crampi), hanno dato vita a due belle partite, che hanno inaugurato il Mondiale della crudeltà: quello che talora ti rimanda a casa nonostante le prodezze e l'impegno.

28 giugno, Estadio Mineirao, Belo Horizonte
I legni di Julio
E' stato il caso, ieri, del Cile, che ha tenuto in scacco il Brasile fino all'ultimo secondo, anzi: fino agli ultimi legni. E qui si propone subito una quaestio: la traversa di Pinilla all'ultimo minuto di gioco e il palo di Jara all'ultimo rigore vanno interpretati come "segni" della volontà di Eupalla o come suoi "moniti"? Traduzione: la nostra Dea ha inteso punire i cileni e premiare i padroni casa per imperscrutabili motivi? Oppure ha voluto ammonire i brasiliani che se continueranno a non onorarla calpestando la loro tradizione di jogo bonito potrà castigarli alla prossima occasione?

Che ci si trovi di fronte a una generazione di giocatori brasiliani assai modesti lo scriviamo su Eupallog da tempi non sospetti [vedi: 01-02-03]. I campioni sono un paio (Thiago e Julio), Neymar lo diventerà, forse, quando smetterà di tuffarsi, gli altri sono, al più, dei sopravvalutati giocatori di talento come Oscar, il resto è fuffa (a meno di non voler credere a Walter Mazzarri che ritiene che Luiz Gustavo, ceduto all'istante dal Pep, sia un campione). I nomi dei panchinari dicono tutto: Paulinho, Dante, Maxwell, Henrique, Ramires, Hernanes, Willian, Bernard, Jo e Maicon. Lasciati a casa? Adriano e Kakà, Robinho e Ronaldinho ... Questo passa il convento. I veri fuoriclasse la Seleçao li ha in tolda: Luiz Felipe Scolari e Carlos Alberto Parreira, due garanzie di pragmatismo, che stanno disperatamente cercando di dare un ordine e un equilibrio a una ciurma di anarchici e di solisti. Impresa titanica.

Si annuncia un quarto di finale imperdibile all'Estadio Castelao di Fortaleza il 4 luglio. Vi arriva la vera rivelazione del Mondiale, la Colombia di José Pekerman, bielsista dai modi pacati (di contro all'elettrico Sampaoli, che del maestro ha preso anche la trance podistica nell'area tecnica), che ha assemblato al meglio una compagine orfana di Radamel Falcao ma ricca di talenti, primo tra tutti il "craque" James Rodríguez, che ieri ha fatto saltare la serratura uruguagia con una delle più cristalline prodezze che abbiamo ammirato in questo, già florido, torneo. Il cambio di modulo in corso d'opera (dal 4-2-3-1 al 4-3-1-2) per sottrarre Cuadrado al martellamento dei due Pereira sulle fasce è stata forse la mossa decisiva, che ha poi lasciato ai rioplatensi solo qualche tiro da lontano tanto per mettere in mostra anche la sicurezza di Ospina e, tutto sommato, la tenuta delle difesa "italiana" dei Cafeteros.

28 giugno, Estadio do Maracana, Rio De Janeiro
A proposito di "italiani"
A proposito di "italiani", l'eliminazione del Cile e dell'Uruguay ci riporta a qualche considerzione sullo standard del nostro calcio. La Juventus, che fa sfracelli in patria e balbetta in Europa, era la squadra italiana presente con più giocatori ai Mondiali (12): nessuno dei suoi conclamati attaccanti (i famosi "top players", nella lingua di Dante) vi era stato convocato, però; le incertezze dei difensori (Buffon e Chiellini per primi) sono costati agli Azzurri i gol dell'eliminazione (vs Costa Rica e Uruguay); ieri, dopo Pirlo, Marchisio e Asamoah, sono tornati a casa anche Vidal, Isla e Caceres; rimangono in Brasile i soli Lichtsteiner (probabilmente di ritorno a ore) e Pogba, che oltretutto non è nemmeno titolare nei Bleus.Si tratta solo di un caso? Forse sì, ma forse no: il Napoli, che aveva anch'esso ai Mondiali 12 giocatori, ne ha ancora in lizza 9, magari meno celebrati dai media ma molto più funzionali al calcio internazionale di vertice. E questo ci rimanda alle conoscenze (provinciali) e alle capacità (modeste) dei dirigenti dei nostri club: basta leggere le notizie sul calcio mercato, dove inequivocabili ronzini proposti da abili procacciatori sono trattati come fuoriclasse, per mettersi le mani nei capelli. Ma ci torneremo sopra. Intanto godiamoci le mirabilia che arrivano dal Brasile.

Azor

28 giugno 2014

Sciarpa o cravatta

L'istantanea del calcio italiano a metà 2014 è allarmante. Fuori con disonore dai Mondiali, spogliatoio spaccato e ignobile crociata contro Mario Balotelli, Commissario Tecnico della Nazionale e Presidente della Federazione dimessi; ma assegnati i diritti televisivi della Serie A per il prossimo triennio tra diffide e bandi non rispettati.

In questi stessi giorni è anche accaduto che Ciro Esposito, il tifoso del Napoli ferito a colpi di pistola a Roma il giorno della Finale di Coppa Italia del maggio scorso, abbia smesso di vivere.

I giornali se ne sono accorti, sebbene le testate sportive abbiamo dato e diano più spazio al presunto scarso impegno di Balotelli in Nazionale, alle dimissioni di Prandelli, alla polemica tra “senatori” e “giovani” azzurri; così forse per la prima volta dopo quasi due mesi la città di Napoli è stata mostrata solo col volto (o meglio, il corpo) di Ciro e non con quello aggressivo di Gennaro De Tommaso. 

27 giugno 2014, Napoli, quartiere Scampia
Il feretro di Ciro Esposito, coperto dall'arcobaleno di sciarpe delle tante tifoserie
intervenute, non tutte gemellate con quella partenopea.
Si dirà che il luttuoso avvenimento sia da ascrivere alla cronaca nera piuttosto che a quella sportiva ma è chiaro che non può essere così. Eupallog ha già ampiamente descritto l'incapacità dei maggiori rappresentanti dello Stato, presenti allo Stadio Olimpico di Roma quella maledetta sera del 3 maggio 2014 esprimendo più volte la propria posizione (qui, qui e anche qui) ed ha suggerito, facendo proprie e integrandole, le proposte della Gazzetta dello Sport.

Marco Rossi-Doria, il maestro di strada dei Quartieri Spagnoli, è forse l'unico a proporre una via diversa, più conciliante ma persino più complessa da attivare rispetto alla repressione del tifo organizzato, appellandosi anche alla responsabilità del medesimo, senza additarlo come unico colpevole della situazione italiana ma come parte del sistema da rifondare. È una posizione condivisibile ma che presuppone un senso di responsabilità condivisa a più livelli, a partire dalle più alte cariche dello Stato. Questa giornata di lutto avrebbe dovuto infatti portare tutte le Istituzioni a riflettere e soprattutto ad agire, ma alcuni segnali fanno temere che nulla di ciò accadrà; non c'era bisogno di attendere la dipartita di Ciro Esposito per comprendere la gravità della situazione e fino ad ora, dopo l'imbarazzante sera del 3 maggio con Presidente del Consiglio e Presidente del Senato perplessi e incapaci di prendere in mano la situazione, ci si è limitati ad appelli e promesse, col campionato che inizierà tra solo due mesi.

Lo sconforto aumenta confrontando la galleria fotografica che ritrae i funerali di Ciro Esposito e le decine di migliaia di partecipanti con quella dei festeggiamenti per il centenario della ditta E.Marinella, storica produttrice napoletana di cravatte. I primi si sono svolti a Scampia, con la folla che riempiva piazza Grandi Eventi (sic!); la seconda a Palazzo Reale.

26 giugno 2014, Napoli, Palazzo Reale
Sorrisi istituzionali ai festeggiamenti per il centenario della ditta E.Marinella

Il Sindaco di Napoli era a Scampia fisicamente mentre per il Governo era presente Gioacchino Alfano, Sottosegretario del Ministero della Difesa (più che altro per la sua chiara fede calcistica visto che ben altri Ministeri avrebbero dovuto garantire la propria presenza). Un Ministro della Repubblica era però a Napoli nelle stesse ore o giù di lì: Maria Elena Boschi, Ministro per le Riforme Costituzionali e per i Rapporti con il Parlamento, appare sorridente e felice accanto a Maurizio Marinella, Bruno Vespa e a Stefano Caldoro, Presidente della Regione Campania. Col sorriso è arrivato anche Crescenzio Sepe, Cardinale e Arcivescovo metropolita di Napoli, insieme ad altre celebrità sorridenti.

Nulla cambierà neanche quest'anno. Non ci resta che allentare il nodo della cravatta, respirare con calma e incrociare le dita in occasione della prossima sfida che un tempo era chiamata derby del Sole.

Pope

Appunti brasiliani

Approfittando del dì di festa (ieri), qualche appunto sui due terzi di Mondiale che abbiamo alle spalle. Sono 19 delle 48 partite finora disputate in questo memorabile torneo quelle che gli autori di Eupallog hanno reputato degne di essere ricordate, perché belle o spettacolari [vedi]. Dell'Italia annoveriamo solo quella contro l'Inghilterra. E ricordiamo ancora una volta quanto scrisse El Gioânn a proposito della nostra partecipazione al torneo svizzero del 1954: "i mondiali perdono gli italiani ... e ci guadagnano in qualità".

23 giugno 2014, Arena da Baixada, Curitiba
L'ultimo gol nella Roja di David Villa, recordman assoluto
In fase di pronostico dei gironi avevo tirato giù le seguenti tecnomanzie [vedi]: Brasile e Croazia, Spagna e Olanda/Cile, Colombia e Avorio, Italia e Uruguay, Svizzera e Francia, Argentina e Bosnia, Germania e Portogallo, Belgio e Russia. Totalizzatore: 9 su 16. Modestuccio assai, ma mi consolo constatando che José Mourinho non ha fatto poi tanto meglio (appena 10 su 16) [vedi]. Avevo sopravvalutato le europee (10/11 qualificate contro le 6 poi effettive), non volendo credere a Montezuma: inteso, bene inteso, non come nemico intestinale ma come spettro avverso agli extra continentali. Invece, il bilancio è impressionante: cancellata l'Asia, double storico per l'Africa, dimezzata l'Europa, trionfanti le Americhe che portano agli ottavi ben la metà delle squadre superstiti confermando la tendenza avviata già nel 2010 (7 allora contro 6 europee). Già tre "coronate" a casa, e prossime candidate, prima delle semifinali, Uruguay e Francia, a meno di clamorose forature di Brasile e Argentina che dovrebbero incrociarle.

Impronosticabile - e impronosticato - era invece il livello siderale di questo torneo, mai così bello da decenni a questa parte. Sulle ragioni di ciò torneremo con calma a bocce ferme, ma un paio di motivi li abbiamo già abbozzati: trionfo tattico del gioco offensivo [vedi], e lacune tecniche della generazione "play station" [vedi]. In fase di pronostico mi ero limitato a mendicare qualche momento di bellezza, emulo in ciò di Mastro Eduardo ("il calcio ci riempie gli occhi") [vedi]. Siamo stati ascoltati: Eupalla ci ha donato gesta, episodi e protagonisti che ricorderemo per tutta la vita, per parafrasare un'espressione cesarea.

Qualche flash. Innanzitutto i colori del paese che ci ospita, la festa continua sugli spalti: il Brasile, a differenza dell'Italia che ha smesso di farlo [vedi], è un paese che continua ad amare il calcio, come confermano anche la marginalità cui sono state relegate le manifestazioni di dissenso (gli irriducibili sono ormai gli intellettuali alla Capalbio, per intenderci) in un clima che rimane consapevole dei problemi sociali e della corruzione politica [vedi].

19 giugno 2014, Estadio Nacional, Brasilia
Sereso Geoffroy Gonzaroua Die: "Piangevo per l'emozione di servire il mio
paese perché non pensavo che un giorno sarei arrivato a questo livello.
Sono un tipo molto emotivo. In quel momento ho pensato anche
alla morte di mio padre, alla mia vita che è sempre stata difficile"
E poi i gol e le giocate: il volo di Van Persie, la spaccata di Klose, gli sprint di Robben, i lanci di Pirlo, le accensioni di Messi, il collo al volo di Cahill, le perle di Neymar, l'implacabilità di Muller, la facilità di Benzema, le zampate di Gyan, gli assist di Rodriguez, la metodicità di Aranguiz, la serata di Ochoa, la garra di Rojo, il rigore di Samaras, un'ala all'antica come Musa, la sorpresa di Origi, l'addio di David Villa con il suo storico 59° gol nella Roja ...

I personaggi: su tutti "El Morisco" Herrera, CT esplosivo del Mexico, l'apolide Klinsmann che canta due inni nazionali, le lacrime irrefrenabili dell'ivoriano Serey Die, i 5 minuti concessi da Pekerman a Faryd Mondragon per diventare il giocatore più anziano di sempre ai Mondiali a 43 anni. In negativo: gli ammutinamenti dei nazionali africani (ultimi, in queste ore i nigeriani) per il "becchime", San Luis & Mister Hyde, il biscottino di Jogi e Jurgi, i furbetti della carrozzina, il fisioterapista dell'Inghilterra che si spezza la gamba esultando per il gol contro l'Italia, la lite in campo tra i due giocatori del Camerun ... e taciamo, per carità di patria, sullo spogliatoio degli Azzurri e sul "servizio pubblico" di mamma Rai.

Dal punto di vista tattico non sono emerse novità. Si è invece sviluppata la vocazione, ideologicamente "bielsista", al gioco offensivo. Abbiamo apprezzato il rigore applicativo della Costa Rica, che ha eliminato l'Italia con una linea difensiva altissima e ripartenze sulle ali. Buone sensazioni, ma da verificare con avversari più tosti, ha destato anche l'atteggiamento della Colombia, che applica un canonico 4-2-3-1. Ad impressionare è però il laboratorio di Van Gaal: difesa a tre, difesa a quattro, esterni a cinque come Kuyt, marcatura a uomo a centrocampo, spostamento al centro di Robben, verticalità fornita da terzini come Blind e Janmaat. Uno spettacolo di duttilità e di imprevedibilità. Con una speranza: vederlo all'opera contro Messi & C. nella semifinale all'Arena Corinthians di Sao Paulo del 9 luglio prossimo.

Azor

27 giugno 2014

Le radici di un disastro (in parte annunciato)

Ci sono voluti alcuni giorni per ruminare il boccone amaro prodotto dal tracollo sportivo che si  è consumato a Natal il 24 scorso. È solo apparentemente facile analizzare una partita come quella e bisogna guardare ben oltre l'atto finale di un disastro che nasce altrove. Nasce più lontano da Natal, dal Brasile, dal Mondiale dei Mondiali.

All'indomani della sconfitta tutti o quasi hanno rovesciato sul CT responsabilità e acredine giornalistica. L'unica eccezione che ricordi è l'articolo sulla Rosea di Righetto Sacchi il quale, con la solita umiltà, ha individuato altrove le responsabilità della nostra figuraccia in mondovisione. Prandelli non è il responsabile principale della Caporetto sportiva a cui abbiamo assistito, ma certamente ha delle colpe. Tanto vale dunque analizzarle subito e pulire il campo da possibili fraintendimenti. Il Cesarone nazionale, come già scritto altrove, non ha mai avuto troppo coraggio. Ha un palmarès anemico e oggi nel calcio il selezionatore deve essere prima di tutto un bravo motivatore con l'alone del vincente, altrimenti ci sarà sempre un Balotelli che si mette le ridicole cuffione alle orecchie mentre il tecnico parla alla squadra.

24 giugno 2014, Estadio das Dunas, Natal
Prandelli dà l'addio alla Nazionale
Il giorno prima della partita, in conferenza stampa, Cesare ha affermato che quella contro la Celeste sarebbe stata la partita più importante della sua carriera. Si pensa se si pensa, ma non si dice. Ha parlato di patriottismo e di sentimento nazionalistico. Si pensa se si pensa, ma non si dice. Il calcio è uno sport dove conta vincere e per vincere si deve avere l'approccio corretto. Di un gioco si tratta e bisogna giocare, con l'entusiasmo e la gioia che pertengono al gioco, non con la tensione che è si propria di questi appuntamenti, ma che l'allenatore deve stemperare, non alimentare. Altrimenti è un disastro. Il patriottismo è anche un valore positivo, ma deve essere intimo, condiviso dal gruppo e non sbattuto in faccia a cento giornalisti, perché se ne parli in conferenza stampa è evidente che non ce l'hai e soprattutto sai che non ce l'hanno i giocatori.

Mi ha poi stupito e a tratti costernato l'impreparazione della squadra: siamo stati sempre lenti, mai rapidi nel far ripartire l'azione; in altre parole: passivi. Sembrava soffrissimo più degli altri il clima infame del nord-est brasileiro. Perché? Qualcuno dovrà rispondere a questa domanda. Non è corretto parlare solo di errori tattici. Correvamo la metà degli altri e non sono serviti a nulla i marchingegni tecnologici di cui la Nazionale si era dotata per far fronte all'asprezza della competizione.

Tatticamente abbiamo offerto uno spettacolo indecente: il Mondiale è l'atto finale di un percorso lungo e complesso, non una tournée nell'angolo più remoto del pianeta pagata dallo sponsor. Ci si deve arrivare con le idee chiare. Da quando siamo atterrati in Brasile abbiamo assistito al festival dell'improvvisazione. L'infortunio di Montolivo sembrava aver gettato il CT nel panico. Prandelli ha fatto mille esperimenti tattici senza mai trovare il bandolo della matassa; e parliamo di Montolivo, mica del Xavi di cinque anni fa. Perché questa confusione? Perché improvvisare proprio durante la competizione più importante e più dura del pianeta calcio? Prandelli è tutto fuorché uno sprovveduto. Era evidente che Balotelli non potesse continuare dopo la stupida ammonizione rimediata nel primo tempo, ma perché sostituirlo con Parolo?

Cesare ha preso la Nazionale, o meglio le sue macerie, nel 2010 e l'ha portata alla finale dell'Europeo 2012 e a una ConfCup più che dignitosa. Gli va riconosciuto perché è un bravo allenatore e tutti i rilievi fatti sopra, doverosi dopo la seconda eliminazione consecutiva al primo turno, non cancellano le sue qualità tecniche e umane. Lo ha dimostrato dimettendosi il giorno stesso dell'eliminazione. Ma non basta. È un'altra l'assunzione di responsabilità che dovrebbe prendersi: spiegare con chiarezza cosa è successo davvero dal giorno dopo la finale di Euro 2012 alla spedizione brasiliana altrimenti si ripete lo stucchevole teatrino post-lippiano del 2010. Il tecnico che va in televisione e si assume tutte le responsabilità dell'ignobile eliminazione. Stop. Fine del discorso e dopo quattro anni siamo alle solite.

***

24 giugno 2014, Estadio das Dunas, Natal
La squadra azzurra prima dell'umiliazione colorata di Celeste
Comunque le responsabilità del commissario tecnico non possono nascondere il punto vero della questione, che con quanto scritto sopra non c'entrano nulla. Il punto vero è lo stato del calcio italiano. A Natal è stato umiliato un intero movimento incapace ormai di generare sport. Abbiamo una Federazione inesistente, composta da uomini selezionati in base a criteri che nessuno conosce; incapace di gestire l'enorme indotto economico generato dai diritti televisivi e debole dinanzi allo strapotere delle società che dettano tempi e modi alla Nazionale. Bene le dimissioni di Abete, ma sempre troppo tardi. Le società stesse da anni investono sui giocatori, spesso prendendo abbagli colossali. I direttori sportivi vanno a braccetto con cinque, massimo dieci procuratori (veri talent-scout dell'orrendo mondo pallonaio moderno) e non viaggiano più per osservare. Si fidano di emissari dalla dubbia preparazione tecnica e subiscono regolarmente i ricatti di mezze calzette convinti di essere diventati Maradona solo perché hanno una mezza offerta dal Qatar.

Buffon a caldo, come sempre molto sincero, ha detto che esiste un gap generazionale per cui i veterani vanno in campo e fanno sempre il loro dovere; i potenziali fuoriclasse no. Il riferimento a Balotelli è parso evidente. Ma Balotelli è la sintesi dello stato in cui il calcio versa nel nostro Paese. Un talento indiscutibile che in Italia incide sul campionato e porta tanti punti alla sua squadra, ma fuori dai confini nazionali stecca regolarmente. C'è da chiedersi se sia davvero un fuoriclasse completo, ma più di questo c'è da chiedersi perché un calciatore che in Italia porta una squadra dal dodicesimo al quarto posto in mezza stagione va in Europa e nel mondo per girellare svagato in campo senza toccare palla per ottanta minuti. Evidentemente il nostro campionato è ormai la periferia del pianeta calcio.

I giovani che il nostro movimento produce e porta al professionismo sono modesti rispetto ai loro coetanei spagnoli, inglesi, tedeschi, belgi e olandesi e questo è un problema che affonda le proprie radici nell'umo dello sport più seguito dagli italiani. Le scuole calcio un tempo erano la strada e le piazze. Oggi che le strade sono monopolio delle macchine e le piazze dei turisti chi insegna ai ragazzi come si gioca al calcio? Chi gestisce le squadre dilettantistiche? Quanto fa la scuola per lo sport? Se non si riparte da questo, dalla didattica e dalla pedagogia, non si va da nessuna parte.

Dicevamo degli stadi: vecchi, scomodi, quindi vuoti, quindi sempre più nelle mani del tifo organizzato, vero e proprio cancro del calcio nazionale. L'unica società italiana che ha rifatto lo stadio vince il campionato da tre anni e comunque, al confronto con uno qualsiasi degli stadi inglesi o tedeschi, lo Juventus Stadium sembra già vecchio. I governi cambiano con una rapidità sconcertante e pare impossibile dare continuità a un qualsiasi progetto di legge che apra finalmente alla costruzione di impianti piacevoli, attrezzati e vivaddio coperti. Ci vorrebbe poco a imporre, in tempi ragionevoli, la costruzione dello stadio di proprietà a tutti, pena la non iscrizione al campionato. Sarebbe un passo avanti decisivo e un colpo durissimo al tifo organizzato. Contemporaneamente si dovrebbero abbattere tutte le barriere e responsabilizzare i tifosi tutti. A Firenze lo hanno fatto nel parterre di tribuna, settore alquanto costoso; era pieno anche durante Fiorentina-Sassuolo.

Un movimento sportivo è come un organismo complesso: se si ammala anche solo una cellula, le conseguenze possono essere letali. "Lo stato si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità" cantava De Andrè. In Italia siamo sempre al capezzale del malato, con la spugna in mano. Stavolta piangiamo per Ciro Esposito, ennesima vittima di una follia collettiva che nessuno vuole davvero fermare e alla quale i giornali nazionali hanno dedicato titoli giganteschi per il tempo di un caffè, poi di nuovo sulla giostra a disquisire delle cuffie di Balotelli e dell'amore sbocciato fra Buffon e Ilaria D'amico. La morte di un giovane uomo merita ben altra attenzione e la capacità di indignarsi, provare un profondo senso di vergogna e poi ripartire determinati per cambiare davvero le cose.

Il nostro calcio da anni vegeta in nome delle magnifiche sorti e progressive garantite dai milioni di euro sborsati dalle pay-tv. Presidenti finanzieri che comprano dieci giocatori nuovi ogni anno per poi rivenderne tredici l'anno dopo senza che uno solo sia anche solo lontanamente definibile un onesto ronzino.

Poche chiacchiere ora. Tocca alle istituzioni sportive e non solo fare una scelta drastica: staccare la spina o provare a salvare il gioco del calcio. Ci vorrà tempo, ma forse, fra qualche anno, potremo affrontare Costa Rica e Uruguay consci della nostra tradizione calcistica e non andare in campo per una qualificazione a costo zero.

Cibali

Le stelle nere, le volpi del deserto e la mascella di don Fabio

Cartões Postais do Brasil

Quello ritratto dalla foto non è un uomo finito dietro le sbarre per qualche piccolo o grande crimine. E' John Boye, centrale di difesa dello Stade Rennais Football Club nonché delle Black Stars, ossia la nazionale di calcio del Ghana. Non si capisce cosa stia facendo esattamente. Certamente, non è in gattabuia; si trova in qualche spazio dell'albergo che ospita il Ghana alla vigilia della partita di Coppa del mondo con il Portogallo. A me pare stia bevendo qualcosa da un grosso bicchiere di plastica. I più informati - cioè i mezzi di informazione - sostengono invece che stia baciando la mazzetta (150.000 dollari, dollaro più dollaro meno) a lui spettante del bel gruzzolone arrivato via aereo dalla madrepatria onde scongiurare lo sciopero pedatorio suo e dei suoi compagni.

Così la partita c'è stata, eccome. Per la terza volta su tre, il Ghana incassa un gol nei dintorni del novantesimo e andrà a spendere il bottino lontano dal Brasile. Sfortuna. O Altro? Chissà. Certamente l'occasione era ghiotta, perché Jurgi e Jogi hanno messo in piedi una partitella apparentemente vera, certo con l'orecchio bene attento a quel che succedeva in contemporanea a Brasilia (dove tuttavia il match era difficile da decifrare). Cosa succedeva infatti a Brasilia? Di tutto. Lara Croft ha mancato il bersaglio una dozzina di volte. Boye, dal canto suo, ha lasciato intendere perché nessun top-club europeo abbia finora pensato di ingaggiarlo. Maldestro e anche - va ammesso - non troppo fortunato, realizza un'autorete ridicola: falso rimbalzo della gibigiana, deviazione di tibia e traiettoria impazzita, che tocca prima la traversa poi il palo e si spegne oltre il fatidico limes. Poi, il solito Gyan mette i suoi nella condizione di qualificarsi: basterebbe un gollettino nell'ultima mezzora, il Portugal è sulle ginocchia, imbottito di megaronzini e di umori cupissimi. Niente da fare. Sono proprio i lusitani a riaprire il tabellino. Quando alla fine manca una decina di minuti. Nani indirizza dalla fascia un cross nell'area del portiere; un africano colpisce male il pallone, lo alza a campanile, il portiere vorrebbe farlo suo ma è disturbato proprio da Boye, sicché finisce per smanacciarlo sui piedi di Lara Croft, che di sinistro timbra uno dei tanti inutili gol della sua carriera. Boye si precipita negli spogliatoi, a controllare che il mazzo di dollari sia ancora intatto e ben nascosto nella sua borsa.

In serata, nel cielo di Curitiba si alzano canti di ringraziamento per EupAllah dalla compatta massa di supporters algerini, imbandierati e dipinti e mascherati. Le loro preghiere, ripetutamente colte dalle telecamere, hanno sortito l'effetto che dovevano. La Russia viene eliminata con merito; talento scarso, organizzazione distratta, spirito di sacrificio e determinazione agonistica inadeguati a un mondiale. Don Fabio se la prende ufficialmente con l'arbitro, ma ha le sue responsabilità. Sarà per via dell'età, o della montagna di rubli piovuti nelle sue tasche, sarà la molle vita da nababbo di Mosca. Sarà perché anche l'interprete capisce poco di quello che dice e che vuole, e trasmette indicazioni confuse. La mascella è sempre indurita, lo sguardo non si è addolcito. Ma questo XI non sembrava pilotato da lui.

Mans

26 giugno 2014

Leo, Jurgi e Jogi

Cartões Postais do Brasil 2014

Due buontemponi a Porto Alegre. "Dove hai nascosto il pallone?",
gli chiede Enyeama, portiere nigeriano
Il ragazzo è tornato a sorridere, da Rosario e da Baires sono arrivati a decine e decine di migliaia, ed ecco che improvvisamente le sue gambe tornano a girare vorticosamente e il pallone smette di fare le bizze. A quel che si è visto ieri pomeriggio, egli ha ricominciato a divertirsi. Gli piace ancora tirare in porta - da fermo e in corsa - e gonfiare le reti, gli piace incollarsi la sfera sul piede sinistro e produrre accelerazioni a zig-zag. L'unico suo problema, al momento, sono quei due apriscatole arrugginiti, Aguero e Higuaìn: pieni di soprannomi e di acciacchi, sembra che parlino un'altra lingua. Pace, li si può sostituire, nei magazzini dell'Albiceleste ci sono ancora tonnellate di attaccanti, non sarà questo il problema. D'altra parte, se il ragazzo torna a sorridere e a divertirsi, tutto il resto può essere gestito in totale autonomia dal barbiere al seguito della spedizione.

Jogi e Jurgi in uno scatto che testimonia
quanto fossero amici e felici, insieme, da piccoli
Oggi è il giorno di Germania-Stati Uniti d'America, confronto tra due super-potenze economiche, e anche calcistiche, visto che nel girone di ferro hanno seminato con relativa nonchalance il Portogallo e il Ghana - mica due XI qualsiasi. Jurgi e Jogi, i due piloti, sono amici d'infanzia. Da piccoli inventavano giochi di simulazione calcistica nel tempo libero, nelle partitelle di strada invece facevano squadra, due contro due, uno aveva la maglia di Klinsmann, l'altro quella di Podolski, gli avversari sempre qualche anno di meno, e dopo quattro o cinque ore, a furia di gol, la cesta che fungeva da loro porta era bella sfondata. Solo una volta si sono trovati di fronte due ragazzini sconosciuti, tutti e due con addosso una maglia azzurra e il numero ventuno stampato sulla schiena. Hanno perso, e così il loro sodalizio si è concluso e ciascuno è andato per la sua strada. La rimpatriata avverrà oggi a Recife, in uno stadio che assomiglia a quelli che loro costruivano col lego e altri materiali per rendere più affascinanti i tappeti del Subbuteo. Dicono si siano messi silenziosamente d'accordo, un bel pareggio e arrivederci in finale. Noi crediamo che, invece, se le daranno di santa ragione, perché nessuno di loro ha dimenticato quella partitella persa in strada contro i due in maglia azzurra, e ciascuno ha sempre attribuito all'altro la colpa di quella disfatta. Ci sono antichi conti da sistemare, insomma ...

Nel nostro povero, affranto paese, dove si discute a vanvera di qualsiasi cosa, si credeva e si sperava che il calcio fosse qualcosa capace di funzionare ancora bene, o perlomeno abbastanza bene. Si esorcizzava a parole - e con il ricorso al ricordo delle imprese degli avi - la catastrofe. Ora trovare qualcuno che non abbia qualcosa da dire su Prandelli e su Balotelli è impossibile. Soprattutto su Balotelli. Vale la pena di aggiungersi al coro? No, non vale la pena. Ne riparleremo semmai quando saremo tornati dal Brasile. Lasciateci godere ancora qualche giorno di questa meravigliosa vacanza.

Mans

25 giugno 2014

Delusioni, beffe e resurrezioni

Cartões Postais do Brasil 2014

L'intesa tra Mario e Ciro
Se una squadra non calcia mai in porta, è paradossale accusare principalmente il centravanti; viceversa, se incassa un numero di reti vicino al numero complessivo dei tiri indirizzati verso la propria porta, si potrebbe ragionevolmente pensare di avere seri problemi in difesa. Concordi tuttavia, la critica e la pubblica opinione (nonché il capitano della nazionale e il CapitanFuturo giallorosso) individuano in Mario Balotelli la principale delusione, il simbolo della mollezza e della modestia mostrata dagli Azzurri, condannati all'eliminazione nell'unico girone preliminare di Brasil 2014 dove si sia visto calcio antico, orrendo, lento, involuto.

Mario ha i suoi difetti. Caratteriali più che tecnici. Ha scarsa determinazione in campo. Forse anche scarso senso della posizione, tant'è vero che né Mancini, né Mourinho lo schieravano al centro del reparto offensivo, là dove si vive sempre spalle alla porta, spalle ai difensori, là dove ogni palla ricevuta va difesa con rabbia, con forza, subendo attentati alle caviglie, morsi ai polpacci, gomitate nella schiena. A questa guerriglia lui - giocatore moderno, ma non centravanti moderno - stenta a sottrarsi col movimento e con l'astuzia. Balotelli ha altre doti, ma da quando è tornato in Italia nessuno le ha sapute o volute sfruttare. Eppure l'hanno sempre tenuto lì. Dimezzandolo. Ridimensionandolo. Ciò nonostante, è bene ricordare che le ultime importanti vittorie della nazionale sono state timbrate da lui; e da lui sarebbe pazzesco non ripartire.

Georgios Samaras, sbucato ancora una volta dall'Aldilà
Certo, Italia-Uruguay è stata una delle partite meno commestibili di questo mondiale, e sarà ricordata solo per la sua relativa importanza e per il prestigio storico delle contendenti. Amen. Ci siamo riconciliati col football in tarda serata, assaporando le partite del girone C, quello che agganciato al nostro doveva comporre due carrozze nel treno degli ottavi di finale. Beh, su quei campi (a Fortaleza e Cuiabá) sembrava si giocasse uno sport diverso. Rapido, tecnico, spettacolare, pure se altrettanto disperato - soprattutto a Fortaleza, dove tra Grecia e Costa d'Avorio era in palio il passaggio di turno (esattamente come tra Italia e Uruguay). I greci, sempre dati per morti, riescono sempre a rimandare il proprio funerale; gli africani, dal canto loro, riescono sempre nell'impresa di sperperare il proprio talento, anche quando tutto sembra volgere per il meglio. Regalare un penalty a pochi secondi dalla fine (ieri sera); oppure averlo a favore ma sbagliarlo (il Ghana quattro anni fa). Accade a loro più che ad altri, e qualcosa significherà.

Perdiamo le incursioni di Gervinho, la potenza e la classe di Yaya Touré, le ultime fiammate di Drogba; ci teniamo la rabbia agonistica di Karagounis e di Papastathopoulos, nostre vecchie conoscenze. Per fortuna rivedremo la Colombia. Tecnica e velocità, gusto del gioco e molteplicità di soluzioni, giocatori fantastici. I Cafeteros sono il vero Brasile di questo mondiale, ma la questione è aperta; l'appuntamento per risolverla è già fissato: 4 luglio, a Fortaleza - sempre che Cile e Uruguay non si mettano di traverso.

Mans

24 giugno 2014

Bet & Breakfast

Cartões Postais do Brasil 2014

Il pallottoliere, dopo i super over di ieri, dice: 36 partite, 108 gol. Esattamente, tondi tondi, tre a partita. I vari Bet & Breakfast, a quanto pare, continuano ad offrire straordinarie promozioni. Tipo: ti rimborsiamo l'intera quota se punti sulla Croazia (vittoria/pareggio) ma il Messico segna tre gol nel secondo tempo e in meno di quindici minuti. Oppure: ti restituiamo la puntata, con un bonus aggiuntivo, se l'Argentina non segna almeno un gol all'Iran nei primi 90 minuti, eh eh eh. Chissà cosa si inventeranno nei prossimi giorni.

Anche i supermercati offrono sconti, ma li condizionano ai risultati dell'Italia. Ho visto donne anziane ignare persino della forma del pallone trepidare per Italia-Costa Rica. Quando l'Italia avesse vinto, potevano rivendicare un taglio di 50 euro (!) al referto dello scontrino. Delusione, rabbia e sconforto: da Palermo ad Aosta.

Ma oggi è il giorno di Italia-Uruguay. Allarme meteo. Cento gradi all'ombra è dato a 2.25, umidità al cento per cento a 3.15, bombe d'acqua e allagamenti a 2.75. E' scattato anche l'allarme eliminazione, ed è sempre più rosso. Si discute 24 ore su 24 allo scopo di individuare la migliore soluzione per scongiurarla. Gli umori degli 'appassionati' si possono percepire soprattutto negli studi delle antenne locali, dove le discussioni non sono paludate come nelle trasmissioni RAI. Telefona gente inferocita: come fa la Juventus a pensare di acquistare Pato? I giornalisti-tifosi rispondono, fanno l'occhiolino, spiegano che l'interesse del Milan per Iturbe è solo simulato, mirato a generare un'asta e a occultare i veri obiettivi di Galliani. Telefona gente speranzosa: è vero che Luisito Suarez potrebbe arrivare all'Inter? Potrebbe, ed è già accaduto nel tempo dei tempi. E' vero che Balotelli è 'già' dell'Arsenal, è 'già' del Tottenham, è 'già' del Sunderland, no non è vero, a parte che meriterebbe di giocare al massimo nel Milan o nel Pachuca, senza offesa naturalmente. A proposito di Balotelli: bisognava lasciarlo a casa. E' la nostra zavorra. E' un fuoriclasse. Non è un centravanti. Non è un bomber. Certo, aveva ragione Lui: è una mela marcia. Non si capisce perché non giochi Immobile. Come si fa a paragonare Immobile con Supermario. Non si capisce perché non giochino insieme. Non si capisce come facciano a giocare insieme, visto che si conoscono solo di nome. Contro l'Uruguay si ricorre al modulo-juve. Sì, ma la Juve ha Tevez e Llorente mica Balotelli e Immobile. Inoltre punta su Sanchez, ma tiene almeno uno tra Pogba o Vidal. E' vero che l'Inter non riesce a piazzare Guarin, visto che con la Colombia sta in panca? E' vero che Kakà rimane? Che se ne va? Che va ma prima o poi tornerà? Si accettano scommesse.

Mans

23 giugno 2014

L'Europa carolingia

Cartões Postais do Brasil 2014

Termina anche il secondo turno di questo Mondiale epocale ed emerge, nella nostra vecchia Europa, una geografia a un tempo nuova e antica. Nuova rispetto agli anni più recenti: sono già eliminate o rischiano di esserlo alcune nazionali che avevano dominato la scena negli ultimi grandi tornei, come la Spagna, l'Italia (finalista ad Euro 2012, terza nella Conf Cup 2013) e il Portogallo (semifinalista ad Euro 2012). E' però anche una geografia antica perché, nel generale crollo delle squadre slave ed egee (Russia, Bosnia e Grecia: solo la Croazia è ancora in corsa) e britanniche, l'unica area culturale europea che sembra saper resistere al momentaneo dominio americano è il cuore della vecchia Europa medievale, stretta intorno al limes renano: la Germania, la Francia, il Belgio e l'Olanda; l'Europa degli avi, per intenderci, quella formatasi intorno all'impero carolingio, che comprendeva anche l'Italia del centro-nord e le zone alpine che poi diventarono Elvezia.

L'esercito teutonico
La correlazione storica è ovviamente un caso, per quanto suggestivo: furono i Franchi, e in particolare il nonno di Carlo Magno, Carlo Martello, a fermare l'avanzata islamica nella cristianità europea battendo a Poitiers nel 732 l'esercito del califfato omayyade. E sono oggi le squadre delle nazioni di matrice franca ad opporsi all'ondata americana nello scacchiere mondiale. Resiste il bastione teutonico, nonostante le scorribande ghanesi, ma mostra tutti i suoi limiti e le sue vulnerabilità. Si dispone in campo aperto e cannoneggia l'esercito francese, sia pure ancora in esercitazioni contro sagome di cartone. Compie razzie e saccheggi l'armata olandese guidata da vecchi capitani di ventura. La giovane brigata belga si mostra capace di tenere le posizioni a lungo e di sortite decisive nelle ultime fasi della battaglia.

Fine della lezione di storia e palla al centro. Per dire che il vecchio calcio europeo non è molto ben messo dopo due giornate. E' sotto assedio. Ciò non sorprende, d'altra parte: nelle edizioni americane dei mondiali, da Pasadena e Buenos Aires, hanno sempre trionfato nazionali di quel continente. E tutto lascia pensare che potrà essere così ancora una volta. Sono già qualificate agli ottavi: Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica e Argentina; hanno ottime chance di fare altrettanto Messico, USA e Uruguay; è ancora in lizza l'Ecuador; solo l'Honduras è già stato eliminato. Débâcle totale per le asiatiche. In mezzo al guado le africane: nessuna è in testa a un girone, ma si battono con chance concrete Costa d'Avorio, Nigeria, Algeria; già tagliato fuori il Camerun, rimane teorica la possibilità di qualificarsi per il Ghana, che resterà vittima (col Portogallo) del "biscottone" che sarà cucinato insieme da due vecchi amici come Jogi e Jurgen - un "master chef" che rischia di passare agli annali [vedi].

Azor

22 giugno 2014

So far, so very good

A conferma di quanto già scritto dai fratelli eupallici anch'io ci tengo a ribadire che il Mondiale dei Mondiali sta mantenendo tutte le promesse e le premesse della vigilia. Stiamo assistendo a partite bellissime. Probabilmente il Mondiale più bello degli ultimi quarant'anni. Certamente il più spettacolare dal 1982. Insomma, so far so very good.

A oggi, 22 giugno, ci sono stati di media tre gol a partita; Svizzera-Francia è stata quasi una partita da record: sette reti, 34 tiri totali di cui 24 nello specchio della porta. Karim Benzema ha tirato, in due sole partite, ben 15 volte in porta mentre la sua Nazionale lo fatto per 42 volte. Gli arbitri sono, tutto sommato, meno scarsi di quanto mi aspettavo; hanno estratto una media di 2.8 cartellini gialli e di 0.2 cartellini rossi a partita. Praticamente nulla, indice anche questo di un alto livello di gioco, veloce e teso all'attacco, pensato e pianificato per costruire e non per distruggere. Honduras-Ecuador, apparentemente una partita per la quale non varrebbe la pena restare svegli nemmeno la notte di san Silvestro,  è stata veloce e spettacolare; 24 tiri di cui ben 13 nello specchio della porta; continui rovesciamenti di fronte e tanto talento ignoto sbattuto in faccia ai nottambuli di Brasil 2014.

21 giugno 2014, Estadio Castelao, Fortaleza
Ayew stacca di testa e porta in vantaggio il Ghana sulla Germania
Germania-Ghana sembrava il copione già scritto di un filmetto di serie B. La Deutsche Nationalmannschaft è fortissima e fra le grandi protagoniste di questo Mondiale la meno imperfetta. Passerà come un tritacarne sui poveri africani. E invece è stata una partita a tratti bellissima, generalmente equilibrata con qualche momento di evidente difficoltà per il Golia teutonico. Il Ghana ha attaccato mostrando ancora una volta quanto lo studio e l'applicazione tattica abbiano davvero livellato il calcio planetario. Altro che vittima sacrificale! Nei 93 minuti ci sono state 78 azioni offensive, 31 tiri in porta di cui 16 nello specchio con una chiara supremazia africana. Gli uomini del sorprendente Appiah hanno monopolizzato il fronte offensivo tirando il doppio degli avversari e mostrando, come ormai accade regolarmente al Mondiale dei Mondiali, evidenti incertezze difensive. E questo è il nodo della questione.

Stiamo forse assistendo a un Mondiale spartiacque. Il calcio è cambiato sotto i nostri occhi e non sempre ci siamo accorti del mutamento che, al netto della prospettiva temporale, è radicale. Gli allenatori studiano la strategia pensando prevalentemente a colpire e non a difendersi. Chiariamo subito che i tornei, lunghi o brevi che siano, si vincono prendendo pochi gol, quindi la fase difensiva resta, a mio giudizio, decisiva, ma è cambiata la strada per arrivare a destinazione, è cambiato il mezzo  non il fine. Si cerca di non prendere gol aggredendo l'avversario o facendo girare palla more Guardiolae. Il livello generale delle difese è scadente. Sono gli uomini, in questo caso, a essere tecnicamente più deboli. Anche per questo tutti i CT hanno preferito portare centrali alti ancorché meno dotati tecnicamente; l'Argentina e l'Italia sono, da questo punto di vista, due casi esemplari. Solo il Brasile rappresenta una parziale eccezione, ma sarebbe più corretto dire che Thiago Silva è, nel suo ruolo, il migliore in attività e forse uno dei migliori da parecchi anni a questa parte.

18 giugno 2014, Estadio Beira Rio, Porto Alegre
Tim Cahill segna un gol capolavoro
Dicevamo di un torneo molto bello, arricchito da tanti gol alcuni dei quali davvero memorabili. Mi vengono in mente sui due piedi il pareggio di Van Persie contro la Spagna e quello di Cahill contro l'Olanda. Curiosamente due perle nello stesso girone, ma molti altri ve ne sono stati di apprezzabili sia per la manovra che li ha costruiti sia per la finalizzazione del cannoniere di turno.

Un Mondiale così bello e "diverso" impone una riflessione che in parte ho già introdotto: molto bene la fase offensiva di quasi tutte le squadre nazionali impegnate, molto meno bene quella difensiva. Il ridotto tasso tecnico dei difensori è una spiegazione, ma non può essere l'unica e comunque vanno analizzate le ragioni di questa tendenza destinata, credo, a intensificarsi negli anni a venire. Ritengo che molto vada imputato alla generazione play station. Non è un caso che molti amino il calcio robotico di CR7 e quello androide di Ibra. Sono giocatori il cui strapotere fisico nasconde le (non molte a dire il vero) lacune tecniche. Sono giocatori programmati per offendere liberi da vincoli tattici. Sono attaccanti ad alta definizione. Ormai vedendo le partite si viene catapultati in una realtà che quasi si sovrappone al virtuale, laddove la tecnologia televisiva è speculare al videogioco calcistico più evoluto in commercio. Non si capisce più con esattezza se si stia assistendo a una vera partita di calcio, giocata da persone in carne e ossa, o a una perfetta riproduzione cibernetica dello sport più amato. I calciatori vivono questi anni, ne sono dentro così come lo sono la maggior parte dei ragazzini che aspirano a imitarli. Passano la maggior parte del tempo libero alla console preferita scegliendosi nel mondo virtuale e giocando a essere se stessi, a fare cioè virtualmente quello che sperano di fare nella realtà il giorno dopo o la sera stessa. E non credo giochino a fare i grandi allenatori o a impostare al meglio la fase difensiva.

Nelle scuole calcio non si selezionano più i bravi difensori e i portieri sono ormai abbandonati al loro destino, soli ad arrangiarsi con palloni che si muovono impazziti ad ogni tiro manco fossero supertele. Difendere è ormai un must collettivo. Gli allenatori amano gli attaccanti che rientrano, quelli che fanno la fase difensiva, come va di moda dire oggi, ma sono attaccanti e non sanno difendere. Bene che Cavani si faccia quaranta volte il campo avanti e indietro per aiutare la difesa, ma quando si ritrova ad affrontare l'attaccante avversario è il prologo di un disastro; se deve far ripartire l'azione o è troppo lontano dalla porta e per arrivarci deve stancarsi terribilmente o non ha la visione del regista; molte delle azioni più pericolose nascono da palle perse sulla propria trequarti per l'incapacità di ripartire con ordine. Ormai la difesa è ridotta ai due centrali che sono due anche nelle difese (annunciate) a tre. I terzini non sono più terzini nemmeno di nome; li chiamano esterni bassi. Di fatto non sanno difendere perché vengono selezionati in base a quanti scatti riescono a produrre in novanta minuti e a quanto sono bravi nel saltare l'uomo. In tutto il Mondiale si sono visti non più di dieci cross indirizzati in area e ben fatti. Uno di questi, purtroppo per noi, l'ha effettuato il trentenne Junior Diaz da San Jose mettendo il pallone proprio sulla testa di Ruiz per il vantaggio del Costa Rica sull'Italia.

Nel mondo del videogame si deve vincere e i preliminari tattici sono una scocciatura. Gli allenatori sono ormai professori che predicano a studenti affetti da deficit d'attenzione perché immersi nel limitato impegno del mondo virtuale. Ecco allora che le squadre meno infarcite di campioni si applicano con una determinazione feroce mentre quelle tecnicamente più dotate sembrano un'orchestra composta solo da primi violini. L'Italia è più forte del Costa Rica, ma il Costa Rica vince. Tutti pensavano che gli eroi Persiani avrebbero resistito non più di dieci minuti a Messi &Co. e invece li hanno imbrigliati tatticamente e solo una grande parata di Romero, unita alla magia del più forte, ha permesso all'Albiceleste di vincere. Stesso discorso vale per la Germania, salvata dal solito, incredibile Klose (anche se il Ghana è nettamente la più forte delle squadre africane impegnate al Mondiale).

In definitiva mi pare che questa sovrapposizione fra reale e virtuale sia una delle ragioni per cui si è generato un calcio nuovo, più spettacolare, ma assai imperfetto. Però si sa, il mondo è fatto di imperfezioni e spesso sono proprio queste che producono il bello. Quindi diciamo pure e ad alta voce: so far so very good. In fondo la nostra devozione a Eupalla è stata fin qui ampiamente ripagata.

Cibali