31 dicembre 2014

Bye bye babies ...

Cartoline di stagione: torneo anglo-italiano 2014-15

L'ultima cartolina dell'anno non può non arrivare che dalla Terra Madre. Solo nell'isola che ha reinventato l'antico "calcio" in "football" - così, almeno, dettava storicamente Mastro Gioânn nella sua Storia critica della pedata - si gioca infatti in questi giorni di festa. I numeri sono impressionanti: 735 mila gli spettatori delle 20 partite della Premier svoltesi tra Boxing Day e domenica scorsa, per una media di oltre 36 mila presenze a match. In giornate freddissime e inclementi di neve e pioggia la gente è uscita di casa lo stesso, anche perché gli orari degli incontri sono studiati per consentire di tornarvi per la cena, ed ha speso, per recarsi alle partite (di tutte quattro le League maggiori), circa 73 milioni di sterline (più o meno 92 milioni di euro), secondo le stime che tengono conto della spesa per i biglietti, i trasporti e i pasti. Senza aggiungervi gli introiti dei diritti televisivi, si tratta di un business che non ha eguali al mondo, frutto della tradizione - fino agli anni 1950s gli inglesi si recavano allo stadio anche il giorno di Natale [vedi] - e della capacità di mettere a punto, e di coltivare con competenza, un formato vincente da parte di dirigenti adeguati al ruolo.

30 dicembre 2014, The Sevens Stadium, Dubai
L'ennesimo trofeo internazionale per i Rossoneri
Il confronto con il calcio italiano attuale [ci ripetiamo, purtroppo] è inevitabile, quanto impietoso. Ai nostri giocatori è concessa una settimanella di vacanza (e ai sudamericani della Beneamata, grazie al ras ora vicepresidente, sempre qualche giorno in più degli altri, al netto degli aerei persi), nella quale vanificano il tenore atletico: così sono poi subito costretti a giocare comunque in amichevoli abborracciate o improbabili, in cui il Milan magari fa lo smargiasso contro il Real nei non luoghi persici, o l'Inter si becca, insieme coi quatarioti della Rive droite, bordate sonore di fischi anche dai (pochi) spettatori marocchini per la mediocrità dello spettacolo. Dicono i sedicenti CEO (nella lingua di Dante, gli "amministratori delegati"): così incrementiamo le revenues (sempre vulgariter, il "fatturato"). Ma sono bruscolini al confronto di quanto genera un turno natalizio di Premier. I tifosi italiani, a loro volta, appena incassata la 13a sono costretti a restare a casa a rimpinzarsi di cibo, di TV e di internet, spippolando le immagini delle vacanze dei loro idoli e fumando le prime avide boccate di oppio, vagheggiando l'arrivo (a costo zero, in prestito, con o senza diritto di riscatto, a 6, 12, 18 mesi, con l'acconto, con lo sconto, a rate, ad assegni scoperti, con cambiali, in un kamasutra contrattuale sempre più inane) di salvifici Top Players. Congratulazioni vivissime a Beretta, Galliani, Lotito & C. Veri imprenditori ad imperitura memoria. Che poi hanno anche la faccia di lamentarsi perché la gente non va più allo stadio. Bye bye babies ...

Per fortuna c'è anche il calcio giocato (e catodico) per noi "mendicanti". Chi "era" ad Anfiled lunedì a sera ha potuto rivedere qualche bagliore reds, del genere di quelli dell'inverno scorso, al netto di Suarez a Sturridge obviously. Forse la partita più bella, tra le tante, dei quattro giorni di festa appena trascorsi. E domani si ricomincia, grazie a Eupalla.

23 dicembre 2014

Natale con emiri e sceicchi

Cartoline di stagione: 17° turno 2014-15

Non ci sono dubbi!
Poltroncine a forma di trono e foderate di soffice bianco; stadio piccolo e semi-acustico con tribune punteggiate da qualche irriducibile italiano venuto da chissà dove, ma soprattutto da emiri e sceicchi, ricchi benzinai e loro cortigiani: in questo scenario surreale, rimpiangendo Pechino, in piena congerie natalizia e in orario italiano coincidente con la punta di traffico su tutte le tangenziali si è disputata la partita valida per la nostra supercoppa. Eravamo l'ultimo paese a non averla ancora assegnata; ha portato qualche milioncino alle esangui casse del movimento, è stata (per fortuna) una sfida divertente e incerta, minacciava di durare fino alla Befana, e alla buonora il Ciuccio l'ha non immeritevolmente spuntata, ridando senso a una stagione che sembrava deragliata. La Juve si è confermata grigia e dipendente soprattutto dalle lune di Tevez; il Napoli è parso migliorato, ma la sua tigna agonistica è proporzionale agli umori del Pipita. Il quale ha mostrato senza pudore gli attributi - della cui esistenza forse qualcuno dubitava - e punito tre volte Gigione, l'altro juventino in serata di vena; vanificando perciò le incredibili topiche dei centrali difensivi partenopei (Albiol e Koulibaly), due autentiche sciagure. Come che sia, archiviamo la stagione 2013-14. Allegri, dopo avere a stento raggiunto il suo primo e dichiarato obiettivo (qualificazione agli ottavi di CL), ha fallito il secondo.

Per assenza di avversari decenti, forse, Allegri vincerà il campionato - a ben guardare, di una situazione analoga si avvantaggiò anche nel 2011, con la Benamata ebbra del triplete e abbandonata da Mou, con la Juve in difficile ricostruzione, con il pacco-dono di Ibra ricevuto alla vigilia del campionato. Assenza di avversari decenti: la Roma ha mostrato pochezze preoccupanti al cospetto del Milan, cioè una delle dieci squadre che avanzano a passo di lumaca nel gorgo che ricomprende la zona nobile della classifica e quella solitamente destinata ai grandi peccatori. Paga il calo fisico di Totti, che resta l'unico capace di accendere il gioco, dando imprevedibilità e tempi perfetti all'azione d'attacco; del resto, non potrà tenere la scena per i giorni dei giorni; paga anche - forse - le insicurezze generate dalle scoppole interne di Champions. Lo 'spettacolo' della Serie A è tutto nella terra di mezzo, nell'equilibrio di partite giocate col coltello tra i denti, e il cui esito non è quasi mai scontato (si vedano, nel week-end, le rimonte di Atalanta, Inter, Toro, Udinese e Samp nella stessa partita, Empoli - a Firenze). 

All'assalto, col sangue alla testa
Dal resto del pianeta pallonaro monitorato dai nostri schermi nulla di memorabile ha illuminato il week-end. In Bundes prosegue l'agonia del Borussia, e per fortuna di Klopp una lunga pausa è alle viste (sempre che non decidano di dargli il benservito, come farebbe qualunque nostro presidente). In Premier si fermano i Red Devils, che ora - per far convivere Falcao e Van Persie - schierano Rooney nella posizione propria di Nigel de Jong: ciò nonostante - o forse proprio a causa di ciò - producono purissima improvvisazione calcistica, jam session che non sempre riescono come si deve, e comunque qualcosa di ancora ben lontano da un'idea e una logica di grande squadra. Il Liverpool, nell'ennesima disperata partita di questa disperata stagione, impatta l'Arsenal ad Anfield sette minuti oltre il novantesimo, in inferiorità numerica e grazie a un'inzuccata su corner del bendato e sanguinante Skrtel: ai cardiologi del Mersey non mancherà lavoro, nei prossimi giorni. In Liga ha riposato il Real, giusto il tempo di andarsi a prendere il titolo FIFA di campione d'ogni mondo (una vera scampagnata a Marrakech), mentre l'Atletico ha mostrato carattere (e chi ne dubitava) in terra basca, travolgendo il Bilbao nel secondo tempo. Facile poker calato anche dal Barça - il che costituisce un'ulteriore conferma della sua discontinuità. Nella Grand Boucle l'andatura è ora fatta dal Marsiglia, ma la sgommata dell'OL a Bordeaux è stata impressionante; sornione e annoiato di Blanc, il PSG resta accodato.
Auguri a tutti.

P.S. Tornando alle cose di casa nostra, è da mettere in archivio l'ennesimo atto di sottomissione della FIGC. Il diktat di Agnelli è solo una prova di forza, e la nazionale (cioè lo stage voluto da Conte) ha costituito il pretesto atteso da Andrea per assestare una bella legnata sui denti al detestato Andonio e al disistimato Tavecchio. Questo accade nel calcio italiano, nei giorni in cui cadono gli anniversari della scomparsa di due grandi italiani: Pozzo e Bearzot. Due grandi italiani, già. E stiamo qui a parlare di nani.

Mans

22 dicembre 2014

Non tutto il Mario vien per nuocere

Pareggiare in casa con l'Empoli è sostanzialmente una sconfitta per la Fiorentina. E lo è ancor di più per la Fiorentina dell'ultimo mese, mai sconfitta in campionato e rullo compressore in trasferta. Dopo la sconfitta in casa contro il Napoli la Viola non ha più perso. 11 punti, 11 gol fatti e 3 subiti. Degli 11 punti realizzati, ben 9 sono stati quelli fatti in trasferta, mentre in casa il bottino è magrissimo. Come mai negli ultimi campionati. La forza della Fiorentina è sempre stata l'Artemio Franchi, il fortino di Campo Marte. Quest'anno le cose sembrano ribaltate. La Viola in casa non vince più. Non perde, ma non riesce a imporsi. Che cosa sta succedendo? Difficile dirlo e comunque la perentorietà nel calcio è esercizio da stolti. Sembra tuttavia che la frenesia di vincere condizioni i giocatori di Montella.

Ieri la Fiorentina ha giocato molto bene per quasi un'ora e non era facile. L'Empoli è una squadra organizzatissima. Tutti sanno alla perfezione quello che devono fare e lo fanno assai bene. Sarà opportuno tenere d'occhio Sarri, se non si fa ingolosire dalle sirene della grande squadra già dall'anno prossimo, può diventare uno dei migliori allenatori italiani.

La Fiorentina è partita alla grande mettendo sotto l'avversario e creando molto. L'Empoli non si chiude, non lo fa mai. La Viola ha affrontato la gara con il modulo a lei più congeniale: tre centrali larghi e di ruolo (finalmente!), esterni alti con Pizzarro a dettare il ritmo, Borja Valero e Mati Fernandez a girare attorno al cerchio di centrocampo, il primo più basso, il secondo quasi trequartista, se il ruolo esistesse ancora. Cuadrado anarchico in appoggio a Gomez. L'Empoli ha ribattuto colpo su colpo, ma fin quando la Fiorentina è stata bene in campo, non c'è stata partita. Il primo tempo si è chiuso con il gran gol di Vargas, unico modo fin lì di sbloccare una partita che sembrava ferma sullo zero a zero.

Costato più di venti milioni e salutato da più di ventimila tifosi.
Firenze aspetta ancora il miglior Mario Gomez
Il secondo tempo si è aperto con dieci minuti di fuoco, in cui la Viola ha spinto per chiudere il discorso, ma la solita supponenza in fase realizzativa (soprattutto di Cuadrado) e un po' di sfortuna (il palo di Marione) hanno propiziato il più classico dei classici nel mondo pallonaro: gol sbagliato, gol subito. E infatti il buon Tonelli, abitué del colpo di testa su calcio d'angolo, ha beffato la zona difensiva viola e ha trafitto l'incolpevole Neto (sul cui rinnovo contrattuale mi esprimerò dopo il cappone natalizio, ma premetto che la colpa dell'incomprensibile stallo non è, secondo me, tutta del portiere brasiliano). 1-1 e palla al centro. È dopo il pareggio empolese che la Fiorentina ha mostrato tutti i suoi limiti. Ma non credo si debba eccedere in critiche. La partita di ieri è stata la dimostrazione che questo campionato è scadente come mai era accaduto prima. La Fiorentina c'è e ci sarà fino alla fine per il terzo posto, ma deve imparare a gestire i momenti della partita, cosa che le manca da sempre e che distingue le buone squadre da quelle vincenti. Mi concentrerei di più sull'organizzazione dell'Empoli e, mi ripeto, sulla preparazione di questo allenatore che viene da molto lontano ed è arrivato in serie A perfettamente consapevole della sua storia.

Intanto si aspetta il miglior Mario Gomez. Ieri il tedesco ha giocato una buona partita. Era sempre dove doveva essere e ha avuto molta sfortuna in almeno un paio di occasioni. Restano molte riserve sul suo modo di giocare il pallone coi piedi. Gomez non è mai stato un uomo squadra. È un finalizzatore, ma per finalizzare deve ricevere la palla davanti e non dietro. In quest'ottica ho visto Vargas dal primo minuto ieri e in un paio di occasioni si è capito anche il perché. Gomez è un patrimonio della Fiorentina e tornerà il centravanti prolifico che è sempre stato, magari senza un Cuadrado che gli ronza intorno, salta il primo uomo, ne cerca un altro, e la perde sistematicamente.

Cibali

15 dicembre 2014

Tempi duri per le outsiders

Cartoline di stagione: 16° turno 2014-15

E' stato un week-end di risultati interessanti ma non di bel gioco. Con qualche sorpresa.

Nella Grand Boucle le due fuggiasche si fermano contemporaneamente, consentendo all'Olympique Lyonnais di accodarsi. Una bella corsa, si direbbe, per l'equilibrio; ma i due XI olimpici perdono più facilmente del PSG (quattro sconfitte contro una sola) e subiscono anche più reti, perciò è presumibile che loro obiettivo massimo sia quello di riuscire a tenere il pubblico in sala TV sino alle ultime battute. I titoli di coda sono scontati, e la Ligue 1 cosituirà il principale bottino dei parigini, destinati a lasciare l'Europa negli ottavi, quando vanamente cercheranno di speronare il pullman e di escorcizzare gli illusionismi di JM.

Luciano Vietto abbraccia il connazionale Simeone, ma poi lo infilzerà
Ubriache dei propri record, le Merengues li aggiornano di giorno in giorno e Carletto ingrassa. Le avevamo lasciate in proiezione 138 reti, ed ecco che la quaterna assestata all'Almeria (ultimo della Liga) le porta a 139. Lara Croft sale da 62 a 66. Che dire? Mentre il Madrid è sempre una festa di gol, Barça e Atlético sembrano di fiato corto. Nell'ultimo turno un punto in due e nessun gol. Rumorosa la caduta interna dei Colchoneros, in un match nervoso e ricco di episodi polemici. Il sommergibile giallo ha saputo colpirli in contropiede proprio nel finale - ma poteva riuscirci anche prima. Adesso sono sette i punti che separano il Cholo da Carletto. Troppi, forse; così come eccessiva pare la differenza di qualità tra le due rose, cui si può rimediare nella singola partita ma difficilmente sulla lunga distanza. I catalani, invece, sono sempre in mezzo al guado, salpati da un ancora recente e maestoso passato e speranzosi di approdare in un futuro che vorrebbero fosse all'altezza di quella irripetibile 'stagione'. Steccano troppe partite, questa è la verità. Meno quattro dal Real, vale a dire due pareggi di troppo, imposti da gente non irresistibile (Malaga e Getafe).

La Bundesliga - torneo nel quale Guardiola allena i suoi in vista della campagna europea di primavera - è niente più che una bella zuffa per i posti di rincalzo; si sono avvantaggiati quelli di Wolfsburg, ma dietro di loro c'è una gigantesca ammucchiata, in una situazione simile a quella italiana. Il povero Klopp ha dovuto chinare il capo anche sul campo dell'Hertha: un solo gol, favorito da pagliacceschi inciampi nell'erba di Hummels e Subotic. Nove sconfitte in quindici partite: questo è lo score impressionante dell'XI che per un paio d'anni ha messo a ferro e fuoco le piazze del continente.

Ma perché la porta del Borussia offre così libero il proprio specchio?

In Premier League si profila adesso una possibile ed eventualmente appassionante gara a tre, perché Van Gaal sta lentamente mettendo a regime lo United (nonostante un'infermeria sempre strapiena). Gli è bastato pochissimo (non certo la qualità del gioco) per mettere sotto il Liverpool a Old Trafford, e si è ben visto come la ruota della sfortuna abbia preso di mira i Reds. Il gol che apre la partita (Rooney) arriva tre secondi dopo un clamoroso spreco di Sterling. Questo brevissimo segmento di partita ha riassunto tutta la stagione disputata finora dal Liverpool: errori a gogò sottoporta e difesa di burro. Come per l'Atletico, come per il Borussia, si palesa anche per l'XI di Rodgers la difficoltà di tenere il passo. Il ruolo di outsider è fascinoso, specie nell'epoca signoreggiata da pochissimi top-club, ma la normalità è sempre dietro l'angolo.

A proposito di outsider: la Juve pesca proprio il Borussia nell'urna di Nyon. Sorteggio buono? Visto il momento dei tedeschi, si direbbe di sì. Se riprendono a correre e giocare come sanno, sicuramente no. In prospettiva, sembra facilmente migliorabile soprattutto il rendimento del Borussia. Certo, "poteva andare peggio", dicono i più. Vedremo, le partite si giocheranno tra qualche mese, un tempo possibile ad Allegri e a Klopp per trasformare rose ricche di ruggini e tare in sfolgoranti macchine da gol. Personalmente, tuttavia, non comprendo la considerazione di cui godono i bianconeri. Le ultime partite sono state modestissime e aride. Ieri, per esempio, hanno sballottato la povera Samp per una mezzoretta, cavando da questo dominio assoluto lo straccio di un gollettino; l'orgiastica eccitazione dello Juventus Stadium è poi evoluta in rabbiosa incredulità quando Gabbiadini (non Arda Turan, non Cristiano Ronaldo) ha fatto secco Gigione con un sinistro che più calibrato non poteva essere - del resto, è sicuro che Siniša abbia appeso i suoi ai ganci dello spogliatoio, dopo un primo tempo così inane. Intanto, Tevez e Llorente sono sempre a secco, Morata non esplode, Giovinco non è Altafini (figuriamoci), Coman è una bella promessa ma ancora non incide. Questo pareggio viene dopo quello stentato di coppa, dopo lo squallido zero a zero di Firenze, dopo la vittoria immeritata nel derby. Inaciditi dal tradimento di Conte, i tifosi bianconeri si dicono innamorati di Allegri. Forse, semplicemente, fingono di esserlo. Dal canto suo, la Roma vive un momento arbitrale felicissimo e raggranella punti che non raggranellerebbe senza decisioni fortunate. Spero se ne tenga conto quando riesploderà la santabarbara.

Mans

12 dicembre 2014

Italia League

Fettine di coppa: sesto turno 2014/2015

Quando lo scorso anno Fabio Capello osservò che la Serie A non era un "campionato allenante" [vedi], Antonio Conte, allora coi glutei assisi sulla panca della Juventus, si adontò per lesa maestà. Al neo CT della Nazionale sono bastati due mesi di raduni per rendersi conto che don Fabio aveva ragione: a Coverciano arrivano giocatori poco e male allenati, che non reggono per 95 minuti i ritmi che si giocano quasi ovunque in Europa nel calcio d'élite. La mezz'ora iniziale del secondo tempo di Italia-Croazia a San Siro del 16 novembre scorso è stata illuminante quanto mortificante per il calcio italiano: i nostri amati brocchetti non hanno toccato palla, ma l'hanno guardata scorrere di qua e di là a totale disposizione degli slavi. Prima e dopo quella partita il buon Antonio ha alzato la voce, gridando al problema. Ha ragione: resipiscente, ma ha ragione.

10 dicembre 2014, Stadio Olimpico, Roma
Ultimi bagliori di Champions
I dati statistici più sconfortanti dell'ultimo turno europeo di coppe vengono dallo Stadium di Torino e dall'Olimpico di Roma. I giocatori della Juventus hanno corso 4 km in meno di quelli dell'Atletico Madrid; quelli della Roma addirittura 7 km in meno dei Citizens. Traduzione: pressing, raddoppi, sovrapposizioni e proposizioni nello spazio sono un'abitudine ormai strutturale delle grandi squadre europee anche quando giocano fuori casa. Si parla di corsa e non di tecnica: non di fatturati e di "top players", cioè, che sono ormai l'alibi preferito degli allenatori delle nostre squadre.

Arrigo Sacchi lo osserva da trent'anni, in un mantra vissuto dai protagonisti del calcio italiano come la predicazione di un vecchio rincoglionito, e viceversa accolto come verità oracolare dai grandi allenatori internazionali di questi anni (da Guardiola a Mourinho, da Simeone a Klopp, etc.): sono l'organizzazione di gioco, la compattezza delle squadre, l'intensità delle transizioni, la base su cui si costruisce un progetto vincente e si possono esaltare le qualità dei singoli. Suoi esempi ricorrenti sono proprio l'Atletico di Simeone e il Borussia di Klopp, per la qualità tecnica mediamente non eccelsa dei loro pedatori: non a caso, perché sono le squadre più simili, per impianto e idea di gioco, al suo Milan di fine anni ottanta (un dato che sfugge all'ignoranza diffusa tra i commentatori italioti). Purtroppo basta guardare una qualsiasi partita della Serie A degli ultimi anni per rendersi conto della realtà cui si è ridotto il calcio italiano: non corre nessuno, i ritmi sono lentissimi, il gioco è continuamente spezzettato da falli e falletti, cui contribuiscono anche gli arbitri che, invece di favorire la fluidità, fischiano per un nonnulla e litigano in continuazione con i giocatori. L'effetto finale è quello denunciato a gran voce (roca) da Antonio Nazionale, e quello confermato dai pessimi risultati internazionali del nostro calcio. Gli ultimi suoi acuti risalgono alla finale di Euro 2012 (per la scelta sensata di Cesare di favorire i pochi "piedi buoni" rimasti in circolazione), a quella di Champions 2010 (grazie alle arti luciferine di José) e a quella di Atene 2007 (dove Carletto si gustò l'ultima fetta di coppa nostrale). Tutt'intorno è solo nebbia, sempre più fitta.

Dopo l'eliminazione agostana del Napoli ai playoff di Champions ero stato facile profeta nel prevedere le difficoltà di Juventus e Roma a passare il turno [vedi]. I bianconeri ci sono riusciti per un soffio, grazie anche alla manona sinistra di Gigi; i giallorossi hanno rischiato addirittura di uscire da tutto (sono i peggiori terzi dei gironi di CL). L'ambiente juventino farebbe bene a non credere a chi sostiene che il Monaco, il Porto e il Borussia sarebbero degli avversari alla pari agli ottavi. Per una squadra che ha battuto solo il Malmoe e - a fatica e in casa - l'Olympiacos, qualsiasi avversario costituirà comunque un muro da scalare. Auguri.

Con cinque compagini ai sedicesimi di EL, l'Italia si certifica invece come la grande potenza del calcio europeo di serie B. Ammesso che ne prenda finalmente consapevolezza. In Champions siamo ormai a livello del calcio olandese e portoghese: nei prossimi anni (e per chissà quanti), quando andrà bene, porteremo una squadra agli ottavi, magari ai quarti, solo eccezionalmente in semifinale. Dovremmo invece concentrare le nostre attenzioni sull'Europa League, anche se non sarà facile vincere nemmeno lì. Dopo l'ultimo trofeo di un'italiana, nel secolo scorso (il Parma nel 1999), le successive 15 edizioni sono state dominate dalla squadre spagnole (6 volte vincitrici), inglesi, portoghesi e russe (2 vittorie a paese), e l'hanno vinta anche club olandesi, turchi e ucraini. Questo per dire che la concorrenza è agguerrita: già ai prossimi sedicesimi, con Bilbao, Mönchengladbach, Everton, Olympiacos, Zenit, Feyenoord, Liverpool, Siviglia, Tottenham, Ajax, Anderlecht, Wolfsburg, PSV e Villareal, che equivalgono i nostri club e in più di un caso sono anche più forti.

10 dicembre 2014, Camp Nou, Barcellona
Ibra festeggia il suo ennesimo gol non determinante in CL
A parole i dirigenti nostrani sembrano voler finalmente impegnare i loro club nella conquista della coppa, attratti più che altro dall'accesso diretto alla CL che il trofeo porterebbe con sé. Vedremo nei fatti, sin dai sedicesimi del 19 e 26 febbraio 2015, che si incastonano tra tre giornate di campionato di cui sono andato a vedere il programma. La Roma giocherà il 15 in casa col Parma, il 22 a Verona (Hellas) e il 1° marzo con la Juventus all'Olimpico: avremo modo di verificare obiettivi e turn over di Garcia ... Il Napoli giocherà, rispettivamente, a Palermo, col Sassuolo e a Torino; la Fiorentina a Sassuolo, col Toro e a Milano con l'Inter; l'Inter a Bergamo e a Cagliari (doppia trasferta) e poi con la Fiorentina; il Torino col Cagliari, poi a Firenze e infine all'Olimpico col Napoli. Molti intrecci dunque ... Lì si parrà la lor nobilitate.

Per il resto, in CL nessuna sorpresa: sono passati tutti i superclub. L'unico tonfo è quello del Benfica, sfortunato finalista dell'ultima EL con il Siviglia, e già fuori da tutto. Real, Bayern, Barça e Chelsea attenderanno i quarti per arrotare i ferri e concederci finalmente - a noi "mendicanti" - qualche partita appassionante. Delle 96 che abbiamo visto finora ricordiamo solo il maestoso primo tempo del Bayern all'Olimpico e qualche sprazzo di bel gioco qua e là. Cioè poco o nulla.

Azor

8 dicembre 2014

The ball boys

Cartoline di stagione: 15° turno 2014-15

“The ball disappeared, the ball doesn’t come,
another ball comes, the ball boys run away" (JM)
Beh, avevamo appena finito di dire che in Inghilterra una lotta per il titolo semplicemente non c'è; nessuno - se non gli amanti della cabala - avrebbe scommesso un penny sulla sconfitta del Chelsea a St. James Park, nonostante i Blues, con Mou in panca, là non fossero mai riusciti a vincere. Là hanno perso anche sabato, sicché il City ha dimezzato la distanza (ora è a meno di un tiro di schioppo) e José - uno che non ha mai saputo perdere le partite senza polemizzare - ha dato la colpa di ciò ai ball boys. Ai raccattapalle di Newcastle. Sono loro che hanno impedito al Chelsea di giocare al gioco del calcio: “the ball disappeared, the ball doesn’t come, another ball comes, the ball boys run away". Spettacolino per i media. Nel calcio accade anche questo, nessun rimpianto - ha aggiunto. Ma gli deve bruciare, eccome. I suoi trucchi tattici - mille centravanti contemporaneamente in campo, e probabilmente si sarà pentito di aver lasciato andar via Eto'o e Torres - questa volta non hanno sortito effetto; forse, perché ormai sono scontati.

A proposito di discorsi azzardati: avevamo anche appena finito di credere che Messi tristemente vivacchi a Camp Nou in attesa di salpare per nuovi lidi, ed eccolo dominare il derby catalano. Il Real, nel frattempo, aggiorna i suoi record: diciotto vittorie consecutive. Scende leggermente la media-reti rispetto alla nostra ultima rilevazione: mantenesse il ritmo, saranno centotrentotto su trentotto partite. Non è scesa quella di Lara Croft: mantenesse il ritmo, sarebbe pichichi con 62 gol. Numeri spaventosi.

In Serie A, le imminenti e decisive sfide di CL hanno pesantemente condizionato Juventus e Roma. Il turn-over non ha però francamente cambiato in peggio la Juve, apparsa sui livelli (modesti) del derby; qualche fiammata, ma né i bianconeri né i viola avrebbero meritato di vincere una partita di tasso spettacolare meno che mediocre. Molto peggio, tuttavia, è andata la Roma. Messa sotto dal Sassuolo dal primo al novantesimo tecnicamente, tatticamente, agonisticamente. Priva di Totti, ha mostrato pochezze inimmaginabili nella costruzione del gioco, nei movimenti offensivi, nello 'spirito' di squadra. Ha strappato un punto alla fine, grazie a errori arbitrali che se non altro ci consentiranno di reputare offensiva per il buon senso ogni futura eventuale polemica accesa dall'ambiente romanista.

Su Milan e Inter siano intonati, idealmente, solo appropriati canti funebri. Esse furono.

Mans

1 dicembre 2014

Alta tensione e simboli antimoderni

Cartoline di stagione: 14° turno 2014-15

Alta tensione in alcune delle partite più importanti o significative giocate nel week-end.

La gestualità polemica e soddisfatta di Sergio Busquets
Al Mestalla, per esempio. Qui il Barça, all'ultima azione, ha vinto una partita che poteva indifferentemente pareggiare o perdere - non sarebbe la prima volta: l'innesto di Suarez procede lento, Messi è sempre più discontinuo, il gioco tutt'altro che fluido e convincente. La maturità di Leo in Catalogna non pare sorridente. Forse le voci che filtrano qualche fondamento ce l'hanno. Dissi, all'indomani dell'attracco di Guardiola a Monaco, che forse si poteva configurare una situazione analoga a quella che, un tempo, portò Michels e Cruijff a Barcellona [vedi]. Vedremo.

Il destro chirurgico di Sant'Andrea da Brescia scuote la rete e lo stadio
Allo Juventus Stadium, per esempio. Qui la Juventus, all'ultima azione, ha vinto una partita che poteva indifferentemente pareggiare o perdere. Infranto il tabù dei derby in bianco, il Toro ha letteralmente gettato il meritato pareggio nella spazzatura, cercando di uscire in palleggio da una situazione di pressing al limite dell'area quando mancavano pochi secondi al triplice fischio - grosso modo, proprio come ha fatto la Roma a Mosca qualche giorno fa. Un tempo, in situazioni analoghe, i difensori buttavano il pallone fuori dallo stadio. Tenuto conto dell'enorme divario tecnico esistente tra le due squadre di Torino, abbiamo davvero visto novanta minuti di dominio tattico granata, che poi l'esito della partita ha evitato ad Allegri di dover spiegare.

Dal canto suo la Roma, dopo l'agitata notte di coppa, ha trovato poca e casuale resistenza in quell'accozzaglia di giocatori stremati e modesti che hanno la ventura di indossare oggi la maglia dell'Inter; a occhio, Mancini avrà bisogno di almeno due anni per rimettere insieme qualcosa che assomigli a una squadra di calcio.

Pedatori disperati cercano consolazione fra le braccia di Kloppo
In Premier e in Bundesliga una vera lotta per il titolo, semplicemente, non c'è. Ma in Germania c'è una situazione anomala, e il tema principale nei prossimi mesi sarà questo: quando uscirà il Borussia dalla sua nerissima crisi? Quando (eventualmente) inizierà a risalire in classifica, e fin dove (eventualmente) arriverà? Il meraviglioso XI di Jürgen Klopp, finalista di Champions due anni fa, anche quest'anno ha aperto la sua bottega di lusso ai miliardari predatori bavaresi. Anno dopo anno, i migliori vanno via, e indovinare i rimpiazzi non è cosa facile e scontata. Oggi il Dortmund è diciottesimo nella classifica a punti dei diciotto club che partecipano al principale campionato tedesco. Cioè, ultimo. Ultimo, e solo. Spero si riprenda, e che le sue scorribande sui campi d'Europa riprendano a febbraio. In ogni caso, anche dovesse finire male, quella regalataci da Kloppo è stata una grande, gioiosa stagione di calcio.

Torniamo in Spagna: brutte notizie (e sorvolo sul tifoso del Deportivo crepato per arresto cardiaco dopo esser stato gettato nel fiume dagli ultras dell'Atletico). Dal simbolo del Real viene scucita la piccola croce che campeggiava in cima alla corona, poiché (si dice) la sensibilità dello sponsor (arabo) non va urtata, non di questi tempi (e chissà per quanti tempi ancora). Del resto, storia e tradizione e antichi simboli sono materiali per romantici ed eruditi, per sentimentali, nostalgici e disadattati, e Florentino (che se non vuole perder la cadrega deve continuare a vincere, mica farsi paladino dell'antimodernismo) ha bisogno di quattrini e non di sentimentalismi, ma per fare quattrini occorre avere una squadra forte e che vinca spesso, e per avere una squadra forte (e che vinca spesso) è necessario attrarre risorse e compiacere gli investitori. La falsariga è stantìa, ogni commento superfluo. Tiremm innanz.

Mans