28 marzo 2015

Post Clásico

El rincón del tertuliano

Come di consueto, la settimana post Clásico reca con sé bilanci, polemiche e accuse. Il Madrid, protagonista di un primo tempo a tratti delizioso, scivola a quattro punti da un Barça pratico e poco jugón, che resiste allʼarrembaggio blanco (impreziosito da un sontuoso Benzema) e colpisce nella seconda frazione. 

Luís Suárez - Neymar Jr. - Leo Messi: 83 gol in stagione
Il 2015 ha regalato a Luis Enrique la chiave di volta blaugrana: possesso di palla rapido e verticalizzazioni frequenti. Rottamata la macchinosa e involuta ragnatela di passaggi che ha contraddistinto l' XI dell'ultimo Guardiola e del compianto Tito Vilanova, Lucho ha messo a punto un centrocampo dinamico nel quale Iniesta arretra in regia (mentre lo stagionato Xavi Hernández recita il ruolo di alternativa). La svolta è nella messa a punto dei meccanismi offensivi: ora il tridente funziona davvero. Luis Suárez è la punta centrale - ma mobilissima - di riferimento e finalmente si sciolgono le redini a Neymar e al ritrovato Messi, capace di recuperare 10 gol all'eterno avversario Cristiano Ronaldo nel primo quadrimestre del 2015.

Egoismi e incomprensioni tra CR7 e Bale
Sull'altra sponda della Liga, i Merengues hanno perso lo smalto del 2014: le celebrazioni del capodanno madrileño, oltre ad aver interrotto il filotto record di 22 vittorie consecutive, paiono aver tolto sicurezza all' XI guidato da Ancelotti. Incidono le lunghe assenze di Modric e James, due pilastri di un Madrid che, persa la vivacità del girone d'andata, attende il ritorno del miglior Cristiano Ronaldo e di un Bale involuto e contestato oltre i suoi demeriti.

Simeone e l'Atlético in riserva?
L'Atlético, attualmente al quarto posto dietro al Valencia, non pare in grado di ripetere l'exploit dell'anno scorso: nulla da recriminare su impegno e abnegazione dei campioni in carica ma il motore dei Rojiblancos, spinto al limite per mesi da quel gran motivatore che è Simeone, non può reggere con la stessa intensità il ritmo frenetico nel doppio impegno di campionato e Champions League.

Con la Liga in stand-by è tornata la Roja, ieri vittoriosa al Sánchez Pizjuán sulla selezione ucraina (1-0). Iniesta, Isco e David Silva dialogano e a tratti incantano, ma l'esperimento di Vicente Del Bosque non convince: la tendenza delle tre mezze punte a orbitare negli stessi metri di campo intasa gli spazi e complica i movimenti dei compagni. I tre girano al limite dell'area, eccedono negli scambi stretti e chi più ne risente è Álvaro Morata, il volenteroso centravanti (che dovrà limare l'accentuata propensione al piscinazo), chiamato in causa dall'infortunio di Diego Costa. Il gol del bianconero giunge attraverso una delle rare combinazioni ariose: palla da Iniesta a Koke, che di prima intenzione serve una prelibata palla filtrante per la punta, che d'anticipo supera Pyatov in lob. Timidi e deferenti sino allo svantaggio, gli ucraini si scrollano e cominciano a impensierire la svagata retroguardia spagnola; l'interdizione di Busquets e - part time - di Koke non è sufficiente ad arginare gli spunti di Konoplyanka, Rotan e Yarmolenko; i cross da calci piazzati giungono con estrema facilità nell'area di Casillas, vanificati solo dalla scarsa precisione dell'incursore Fedetskiy. Il pacchetto difensivo è avvisato: sia al centro (Piqué e Sergio Ramos) che sulle fasce (Juanfran e Jordi Alba) si ballavano pericolosissime sevillanas.

Duca

26 marzo 2015

SuperPoldi

Mancano dieci minuti alla fine, e il numero dieci è entrato in campo da circa dieci minuti. Già. Oggi non è mai scontato che un giocatore col numero dieci sulle spalle sia schierato nella formazione che inizia la partita. Ciascuno ha il suo numero, a prescindere. E i suoi numeri. Spesso è lui, a scegliere il numero. Inoltre, per il fatto stesso di aver scelto proprio quel numero (il dieci), promette numeri. Di alta scuola. Suvvia! Il dieci! Il numero di Pelé, di Rivera, di Maradona, di Baggio e Del Piero e Totti. Il numero di Platini. Di Zico, di Eusébio, di Messi. Dunque, se il dieci entra in campo, non entra in campo solo per il gettone, anche se quello di ieri era (caspita) il suo centoventiduesimo. Centoventidue partite in nazionale - certo, molti brevi spezzoni, ma non sottilizziamo. Centoventidue partite, tante quante quelle disputate da David Carabott, Gran Cavaliere di Malta. Centoventidue, una meno di Thierry Henry, che però ha smesso da un po'. Anche Carabott, del resto, ha già appeso le scarpe al chiodo. Centoventidue, cioè due meno di Sergio Ramos - che però non ha nemmeno trent'anni, chissà quante ne giocherà ancora. Tre meno di Peter Shilton e George Hagi (due leggende). Poi, a centoventisei, c'è un'ala destra danese, Dennis Rommedahl, ma anche Zubizarreta, ma anche (oh santiddio!) Paolo Maldini. E così via. Casillas è secondo in questa classifica di supergettonati, ne ha ben centosessanta, e almeno la sua collezione è (probabilmente) irraggiungibile.

La magia del numero dieci,
e uno dei momenti per cui vive colui che lo porta
Il numero dieci fa il suo ingresso in campo, al Fritz Walter Stadion di Kaiserslautern, città cara al Barbarossa (di qui il nome) e prende il posto di Marco Reus. Rosso e rossiccio, prima del numero dieci è entrato anche André Schürrle, un bel giocatore, scartato da Mourinho a gennaio e preso dal Wolfsburg. Cioè dal club che ha appena cacciato l'Inter dall'Europa, sebbene il contributo del rosso non sia stato più decisivo di quello dei giocatori dell'Inter. Il numero dieci, guarda caso, gioca proprio nell'Inter. Gioca? Non proprio. Giochicchia. Talora nemmeno. E, quando gioca o giochicchia, delude. Forse perché nell'Inter la maglia numero dieci era già stata scelta da un altro quando lui è arrivato, ed essendo arrivato dopo s'è dovuto prendere il numero undici. Ma lui nella Nationalmannschaft può indossare quella col dieci, e allora si trasforma. Gli succede quel qualcosa che capita anche a Paperino quando diventa Paperinik, a Clark Kent quando diventa Superman. Non è più Podolski, ma SuperPodolski. Anzi: SuperPoldo, o SuperPoldi, suona comunque meglio. Così, a dieci minuti dalla fine, ecco che il rosso del Wolfsburg si beve tutta la difesa avversaria, e poi cadendo ciabatta un pallone in mezzo all'area. La traiettoria sorprende tutti, e sul rotondo oggetto del desiderio di tutti i numeri dieci piomba il numero dieci - nessuno si era accorto di lui, come se possedesse il dono dell'invisibilità - e lo scaraventa in rete a porta (pressoché) vuota. Gol! Tor! Tooor! Una rete decisiva, sì. Quella del due a due [vedi]. 

La partita di Kaiserslautern era solo amichevole, una sfida senza nulla in palio tra la Germania campione del mondo di calcio e l'oceanica Australia. In questa inutile supersfida, Poldi ha segnato il suo primo gol del 2015. Finora, con la maglia numero 11 della Benamata, aveva messo assieme undici gettoni ma nemmeno un gol. Accolto a Linate come un Rummenigge, ci ha messo poco a convincere il colto e l'inclita d'essere un giocatore pressoché inservibile in partita. Ma è un tipo parecchio simpatico, e nello spogliatoio contribuisce a tenere alto il morale della truppa con le sue gag. Non fosse per Poldi, vi regnerebbe la depressione. Peccato sia venuto solo in prestito. Speriamo trovino il modo di farlo rimanere. Non vogliamo perdere uno dei nostri beniamini, ora che ce l'abbiamo praticamente in casa. Uno dei nostri eroi. Anzi, uno dei nostri Supereroi. SuperPoldi.

Mans

Vedi le puntate precedenti della saga:
- La 'zona Podolski' (26 ottobre 2014)
- Il 'drum-cameo' di Poldo (14 dicembre 2014)

23 marzo 2015

Lo stupore dell'immediato

Cartoline di stagione: 29° turno 2014-15

Per uno streaming alternativo
Queste, si ricorderà, sono le squadre non italiane che giovedì scorso hanno giocato la partita di ritorno degli ottavi di Europa League: l'Everton, che è sceso in campo per il suo match di Premier League ieri (domenica) alle 17; l'Ajax, che è sceso in campo per il suo match di Eredivisie ieri alle 16.45; Villareal e Siviglia, che si sono di nuovo affrontate ieri, in Liga, dando il calcio d'inizio alle 17; il Wolsfburg, che è sceso in campo per il suo match di Bundesliga ieri alle 15.30; il Besiktas, che è sceso in campo per il suo match di Super Lig ieri alle 19; il Club Brugge, che è sceso in campo per il suo match (di Coppa del Belgio) ieri alle 19; lo Zenit e la Dinamo Mosca, che hanno incrociato i bulloni per il loro match di Premier League ieri alle 11.30 (ora italiana); lo Dnipro e la Dinamo Kiev hanno invece riposato, come tutte le squadre del campionato ucraino, che torneranno in campo dopo la sosta. Le italiane, invece (Fiorentina e Roma, Napoli e Torino e Inter), hanno rimesso piede su un campo di calcio ieri sera alle 20.45. Dunque appena quindici minuti prima di Barça-Real Madrid. La lungimiranza della Lega, che stabilisce gli orari, è davvero immisurabile; nel senso che non esistono strumenti di precisione in grado di quantificare la stupidità. Ieri sera, all'ora del Clásico, in Europa si giocava a pallone solo in Italia (su ben sei campi), a Lens (Lens-Marsiglia, Ligue 1), e in Islanda per una partita della loro Coppa di Lega. Fate vobis

Ora i club si svuotano di pedatori: le patrie d'Europa e non solo li hanno chiamati a difendere onore e bandiere. I campionati si concedono un breve letargo, a tutti quelli considerati importanti manca una manciata di partite (otto-dieci, a seconda) per abbassare il sipario, è il momento buono per fare il punto. Cominciamo da noi. Una Serie A senza storia, per il primo posto. Uno scudetto che la Juve si appresta a conquistare inerzialmente. Alle sue spalle, una mezza dozzina di compagini discontinue, tutte coi loro talloni d'Achille, capaci di cantare a squarciagola per qualche domenica e poi di precipitare in fasi di puro autismo calcistico. Rimane, relativamente godibile ma solo per l'incertezza, una corsa alle posizioni che danno accesso all'Europa. Al momento, l'XI più à la page sembrerebbe la Lazio, che pure può nutrire grandi rimpianti per i punti buttati tra agosto e settembre e anche nel derby; quello più lunatico è il Napoli, stretto tra ambizioni di grandezza e nervosismi fisiologici. Depressa e/o arrabbiata la Roma, cui nulla più riesce con la naturalezza di un anno fa; balla con leggerezza e incoscienza in tutte le discoteche rimaste aperte la Viola. Sorprendente la Samp. Disgustose le milanesi.

Eto'o e Ferrero dopo la vittoria della Samp sull'Inter.
Dal labiale: "Cosa ti avevo detto? Quando giocavo con la loro maglia,
questi venivano a San Siro per vendere la coca-cola agli spettatori del terzo anello"

Anche in Germania il titolo non è contendibile, e il Pep può concedere ai suoi qualche inattesa sbandata, come quella interna di ieri contro il 'Gladbach (che a Monaco non passava di frequente nemmeno quand'era fortissimo, nei 1970s). Le prime quattro piazze sembrano già assegnate, resta da vedere se il Dortmund riuscirà a non scomparire dalla mappa europea nella stagione 2015-16. 

In Inghilterra, invece, la corsa è meno finita di quanto non dica la classifica. Il Chelsea soffre a ogni partita, sgraffigna punti a destra e a manca, ha in Hazard un asso consacrato, e nel deretano di Mou un integratore sicuro. Ieri, a esempio, Diego esce per infortunio, entra Loïc Remy che al primo pallone capitato dalle sue parti segna (con enorme complicità del portiere avversario) il gol del 3-2. Prima, era stata informe sofferenza, nonostante il due a zero fissato nei primi minuti dal belga e dal Costa. Occhio dunque, tutto potrebbe ancora succedere. Continuo a puntare un penny sui Citizens. Lo United - che ieri ha messo sotto con relativa facilità, ad Anfield, il solito Liverpool sconclusionato, arruffone, nervoso, perforabile di quest'annata così così - potrebbe rientrare nell'élite d'Europa passando dalla porta principale; l'Arsenal somma vittoria su vittoria ora che tutto l'arrosto gli è andato in fumo (more solito); ecco, queste saranno salvo imprevisti le prime quattro della Premier.

L'XI più forte di Francia è senza alcun dubbio il PSG. Ma è anche distratto dalla coppa, e ha vari giocatori che ogni tanto lasciano filtrare voci. Non è un ambiente idilliaco. Blanc è stato a lungo sulla graticola. Penso che, alla fine, riuscirà a prevalere, per la fragilità delle concorrenti (OM e OL).

La micidiale stoccata
Ultima, ma prima in ordine di qualità e di importanza, la Liga. La Liga è spesso un affare tra Real e Barça, e dopo la parentesi colchonera di un anno fa l'andazzo sembra tornato quello di sempre. Del resto, tutte giocano anche sul risiko della Champions, e c'è sempre l'opportunità di una rivincita. E' davvero una sfida infinita, difficile da raccontare. Tra due XI formidabili. Dai tempi della pay-tv, e anche prima (ci pensava Telemontecarlo), abbiamo visto decine e decine di clàsicos. Non se ne ricorda uno scontato, noioso, privo di senso. E naturalmente quello di ieri sera non ha costituito eccezione. Hanno prevalso i catalani, ma senza dominare - anzi. Sono passati in vantaggio perché la balistica di Messi è sovrumana, e se la traiettoria è perfetta al testone di Jérémy Mathieu basta intercettare la sfera per spedirla al capolinea. Sono stati raggiunti, anzi sventrati da un'incursione di Cristiano liberato da Benzema con una giocata degna di essere vista e rivista. Hanno risolto nel modo per loro più anomalo: un lancio di quaranta metri per un centravanti vero. Il centravanti vero è Luis Suarez. Luis Suarez ha fatto vedere come si controlla in corsa, di controbalzo, un pallone che arriva da molto lontano, in quella frazione di tempo che basta per preparare l'atto successivo, cioè la stoccata. Micidiale. Come avrebbe detto Carmelo Bene, eravamo lì inchiodati, "nell'attesa che accada lo stupore dell'immediato". L'attesa non è stata vana.

Mans

20 marzo 2015

Belle e impossibili: le notti del Toro

Russ cume 'l sang

Se dentro i bussolotti dell'Uefa al posto di Zenit ci fosse stato il nome Torino avremmo pescato il Siviglia nei quarti di Europa League e avremmo detto: ma che sfiga, di nuovo! Proprio la detentrice del trofeo e favorita assoluta nella road to Warsaw? Sfortuna nera, sorteggi peggiori non erano possibili, a partire da quello che assegnò al Toro l'Athletic Bilbao. Ma sarebbero state altre due notti belle e impossibili, come quelle vissute fino a ieri. Quelle che però hanno un po' tutte lo stesso sapore lagunoso di Amsterdam: Stoccarda, l'altro Borussia, persino Innsbruck. Per citare le prime che mi vengono in mente. 

E' il sapore delle notti europee del Toro, indimenticabili e in modalità autoreverse, sempre sedie e orgoglio da sventolare. Già, perché se qualcuno vedesse le immagini post fischio finale di Torino-Zenit senza conoscerne il risultato penserebbe che la squadra che ha passato il turno sia quella con la maglia granata: una standing ovation dell'Olimpico, mentre il dottor Villas-Boas cercava di fare a pugni con Giacomo Ferri (pessima idea André, pessima idea) e il signor Hulk (i russi e il resto del mondo lo pronunciano Culc) era ancora verde sì, ma di paura.

Alla fine però nell'urna di Nyon c'è andato il nome dello Zenit, che se la vedrà con gli andalusi al posto della squadra che – undici contro undici – li ha battuti 1-0. Il saluto finale alla squadra ha commosso anche il presidente Cairo. Nessuno si illude che ciò causerà in lui un ravvedimento alla Ebenezer Scrooge. Più forte sarà questo Toro – quello che in panca non si ritrova nemmeno un centrocampista come cambio e fa giocare Bovo regista – più estrema sarà la sfida per Ventura o per chi erediterà il suo posto. Sino al coronamento del sogno dell'editore di La7: giocatori che pagano per vestire la maglia granata e trasferte in treno con le promozioni di Italo. 

La prossima sfida sarà proprio quella sul mercato. Darmian, Glik, Maksimovic, magari Bruno Peres: tutta gente già pronta a partire e ben quotata. A zero euro ci sono in casa i futuri sostituti. Di sicuro c'è soltanto che non faremo mai la fine del Parma, diventeremo un impero di plusvalenze, perché di emozioni lo siamo già.

Pulici

Tra ecatombi e ammaccature

Fettine di coppa: ritorno degli ottavi 2014-15

Siamo al 20 marzo e la stagione europea del calcio inglese è già terminata. Gli statistici ci diranno se si tratta di un record o meno. E' il dato più eclatante degli esiti degli ottavi di finale di entrambe le coppe UEFA. Abbastanza clamoroso soprattutto se si guardi alla discrasia economica: la Premier ha appena ceduto i diritti televisivi 2016-2019 a una cifra (7 miliardi di euro, il 70% in più rispetto all'attuale contratto) destinata a destrutturare le gerarchie del calcio continentale, come ha colto subito Santiago Segurola [vedi]. Il Burnley riceverà 130 milioni di euro a stagione: la Juventus in quella 2013/2104 aveva ricavato "solo" 151 milioni dai diritti TV (compresi quelli europei), il Milan 128, il Napoli 104, l'Inter 83, la Roma 68, la Lazio 56, la Fiorentina 54. E' il turbocapitalismo pallonaro. E' il futuro che ci attende.

18 marzo 2015, Camp Nou, Barcelona
Posture classiche per la Pulce e per Joe Hart
Il presente agonistico per fortuna consola, perché non coincide ancora del tutto con le gerarchie finanziarie. Bene inteso, parliamo sempre di "super club", quelli che stanno nelle classifiche della Deloitte. Ma Chelsea, Arsenal, City ed Everton sono tutti caduti sul campo di marzo, come in precedenza Tottenham, Liverpool e Hull. Un'ecatombe. Ne esce bene, come sempre in questi ultimi anni, il calcio iberico: le tre grandi approdano ai quarti di CL, i detentori del Siviglia avanzano in EL; il Porto in CL. Conforta osservare come dopo quelli spagnoli i club italiani rimasti in lizza siano i più numerosi: la sontuosa Juventus, la scintillante Fiorentina, il Napoli sornione. Le due francesi che hanno riscattato Azincourt avanzano in CL. Del calcio tedesco rimangono solo le prime due compagini della Bundeliga. Due sono anche i club della martoriata ucraina ai quarti di EL: la gloriosa Dinamo Kiev e il Dnipro. Completano i tabelloni di aprile lo Zenit e il sorprendente Brugge.

La stagione in corso offre un bel rimescolamento di carte. Se prendiamo in considerazione il ranking UEFA aggiornato a oggi (20 marzo 2015), osserviamo come, dei primi 16 club siano già stati eliminati dalle competizioni più della metà: Chelsea (4°), Benfica (6°), Schalke (7°), Arsenal (8°), MUTD (10°), Borussia D. (12°), Valencia (13°), Bayer (15°), ManCity (16°). Ne esce male, molto ammaccato, anche il calcio tedesco.

19 marzo 2015, San Siro, Milano
La difesa dell'Internazionale FC è generosa
anche con un pippone come Nicklas Bendtner
Dopo la grande giornata del 26 febbraio, il calcio italiano ha fatto i conti con la realtà. Più rosea del previsto quanto alla Juventus, negativa soprattutto per la Roma e per l'Inter. Il Toro è stato all'altezza della sua tradizione, si è battuto da par suo contro un avversario più forte (14° nel ranking contro il 78° posto granata). Specularmente il Napoli (22°) ha regolato come doveva il 77°. L'Inter (23°) ha perso sì con una buona squadra, attualmente seconda in Bundesliga, ma pur sempre 71° nel ranking. Sconfitta pesante anche per questo motivo, perché penalizza il ranking italiano complessivo.

Sul piano tecnico hanno destato grande impressione il Bayern e il Barça in Champions, accreditandosi come favorite per la vittoria del trofeo. Conforta l'autorevole prestazione della Juventus, che beneficerà di un avversario abbordabile ai quarti e potrebbe ritrovarsi alle semifinali dopo 12 anni. Si annuncia di fuoco il derby madrileno. Nella League i campioni in carica del Siviglia sembrano procedere maestosamente verso l'ennesima finale. Tra Dnipro e Brugge uscirà la seminfinalista meno attesa. Le avversarie delle italiane sono toste. Il Napoli soffrirà in difesa, come l'Inter, le folate degli attaccanti del Wolfsburg: scoglio durissimo quanto importante per il ranking UEFA. Grande atletismo e blasone per la Dinamo Kiev, che la Fiorentina ospiterà al ritorno: ma in questo caso si può confidare.

Azor

Danke schön!

In ripa Arni

Alla fine di ottobre 2014 la Roma ospitò il Bayern di Guardiola. L'esito di quella partita resterà nella storia non solo per il risultato (1-7), ma per come maturò. Al più alto livello professionistico certe imbarcate si pagano e si pagano soprattutto nel lungo periodo. Una sconfitta come quella, con l'avversario che ti costringe per novanta minuti a correre a vuoto, affondando ogni volta che desidera farlo, mortificando ogni tuo sforzo atletico e tattico di contenimento, distrugge tutte le certezze che ti sei costruito in mesi di lavoro. La Roma, da allora, non è più stata la Roma di Rudi Garcia. Da un mese e mezzo i nodi stanno venendo tutti al pettine. La squadra vista stasera contro la Fiorentina è il risultato di una lenta erosione che ha eliminato tutte le certezze e niente riesce più come prima ai giallorossi. L'atteggiamento del pubblico romano non li aiuta.

La Fiorentina scesa in campo a Roma per il ritorno degli ottavi di finale di Europa League è stata, dal canto suo, un piccolo capolavoro tattico. Montella aveva preparato il delitto perfetto. Difesa a tre coi migliori uomini della rosa viola: Basanta (ma come è possibile che abbia giocato in Messico fino all'anno scorso?), Gonzalo e Savic (difensore di un'altra categoria per intelligenza tattica); centrocampo quasi al completo, senza l'infortunato Pizarro, ma con un riposato Borja Valero, Matias Fernandez e il sorprendente Badelj, altra perla della premiata ditta Pradè-Macia. Esterni altissimi con Joaquín e Alonso e la coppia perfetta davanti: Babacar-Salah. Con Gomez sarebbe forse anche meglio, ma i due  attaccanti africani sono complementari e si trovano a meraviglia. Basta poco alla Fiorentina per passare: fallo di Holebas su Fernandez e rigore netto. Gonzalo, freddissimo, fa 1-0.

Gonzalo trasforma il rigore 
che porta in vantaggio i Viola sulla Roma
Il 2-0 è la prova provata di quanto dicevamo all'inizio. Skorupski incappa in una papera che un anno fa nessun giocatore della Roma avrebbe mai fatto. Alonso ci crede e fa 2-0. Il terzo gol è un gesto atletico bellissimo di Basanta, ma la Roma era già negli spogliatoi. Il secondo tempo è stato il tripudio dei mille tifosi viola arrivati all'Olimpico.

Dopo una serata perfetta come questa ci resta un'immagine in particolare: Montella abbracciato a Pradè. Ecco, se avessimo la certezza di vederli così vicini anche l'anno prossimo, saremmo soddisfatti comunque finiscano le competizioni nelle quali la Viola è ancora impegnata.

Cibali

19 marzo 2015

Alla trattoria del Westfalenstadion

Fettine di coppa: ottavi di CL 2014-15 (ritorno)

L'interno della trattoria
Per una cena più che decente, alla trattoria del Westfalenstadion, è probabile che ad Antonio Conte sarebbero stati sufficienti i famosi dieci euro. La Juve, con Allegri, ha banchettato. Un'abbuffata me-morabile, apprezzata persino da mastro Arrigo. Più vorace e affamato di tutti, l'apache. Carlitos Tevez, uno dalla cui faccia i duri trascorsi dell'infanzia non sono ancora scomparsi. Tevez, già. Un campione "senza controindica-zioni", ha detto Arrigo Sacchi, azzardando un paragone con Baggio. Il paragone si può discutere; certamente, Tevez sembra uno che, invecchiando, migliora. Migliora in tutto.

Coloro che non hanno in simpatia Nostra Signora naturalmente minimizzano. Il Dortmund? Pur sempre i decimi della Bundesliga, ed erano gli ultimi sino a poche settimane fa. Depauperati di anno in anno dei giocatori migliori. Una squadra-fantasma. Molto più forte l'Atletico di Bilbao. Nemmeno l'ombra dello squadrone che fu. Sarà anche vero, ma pare inutile sottovalutare l'esito della doppia sfida (che numericamente poteva e doveva assumere proporzioni anche più larghe), abbiamo la Juve ai quarti ed è un'ottima notizia, ed è una notizia che arriva al termine di una prestazione di assoluto rilievo. A prescindere dagli avversari. L'avvio della gara, in pressing forsennato all'immediata ricerca del gol, è stato da grande squadra. In Europa si deve giocare così.

Ora, naturalmente, per i quarti si cambierà trattoria. Vedremo dove ad Allegri toccherà presentare i suoi. Potrebbe anche capitare un ristorante di lusso. Lo sapremo domani. Intanto lui (Allegri) non lo dice, ma certamente la possibilità di giocare senza Pirlo in mezzo al campo non gli è dispiaciuta. Non dice nemmeno che - per esempio - il secondo gol nasce da movimenti degli attaccanti e da una verticalizzazione del tipo (esattamente del tipo) di quelle che proponeva la squadra ai tempi di Gonde.

La cacciata dal torneo di tutte le inglesi già nel primo turno a eliminazione diretta è un dato sorprendente, ma forse e semplicemente riflette la difficoltà e l'intensità agonistica delle loro tre competizioni domestiche. Il Chelsea, per esempio, non si permette di schierare le seconde linee nemmeno contro il Southampton in casa propria: ne verrebbe travolto (domenica scorsa, il match è stato memorabile). Col PSG, è andato in apnea ed è annegato. L'Arsenal può prendersela solo con se stesso; vale il triplo del Monaco e ha buttato i quarti nella spazzatura. Il City, di fronte al Barça di queste settimane, ha fatto quel che poteva. Naturalmente, tutto ciò è di consolazione per Mourinho, che potrà ripetere ai giornalisti l'ultima sua trovata ("se volete parlare di CL, rivolgetevi a Wenger e a Pellegrini"). Delle tre spagnole, i blaugrana sono al momento i più in palla. Sarebbe bello vederli contro il Bayern del Pep, prima o poi, per una sfida memorabile.

Quotazioni. In rialzo sensibile Bayern e Barça. In rialzo discreto: PSG, Juventus e Porto. Stabile: Atlético Madrid. In ribasso: Real Madrid. Non quotato: Monaco.

Mans

Toni foschi

Oje vita mia

Perdendo 2 a 0 domenica sera con l'Hellas Verona il Napoli ha subito la terza sconfitta nelle ultime cinque partite (in cui ha raccolto solo 4 punti sui 15 a disposizione). Le tre sconfitte sono arrivate tutte fuori casa (con Palermo, Torino e Verona), mentre in casa si sono viste una vittoria col Sassuolo e un pareggio con l'Inter; questo cammino incerto ha rallentato la corsa degli azzurri che fino a poco fa erano proiettati verso il secondo posto, facendoli addirittura indietreggiare al quarto a favore della Lazio la quale ha lentamente ma costantemente eroso il divario che la separava da Roma e Napoli, così come hanno fatto anche la Fiorentina e la Sampdoria. A undici giornate dalla fine la lotta per i due posti che garantiscono l'accesso alla Champions League si riapre inaspettatamente a nuove contendenti, principalmente per demerito dei giallorossi e degli azzurri: la Roma ha inanellato una sequenza impressionante di pareggi mentre gli uomini di Benítez, dopo una serie notevole di risultati utili, sembrano ripiombati nella crisi di risultati di inizio anno.
Se contro l'Inter i partenopei hanno giocato 70' di buon calcio facendosi poi rimontare 2 goal nel finale, contro il Verona il Napoli è stato irriconoscibile sin dal primo minuto. Il professore spagnolo attua un sostanzioso ricambio dell'XI in campo, con Mesto terzino destro, Inler (ritornato in forma mentale e fisica ai suoi massimi livelli) accanto a Lopez, in panca Higuain, Callejón e lo spumeggiante Gabbiadini per schierare De Guzman alto a destra, Mertens a sinistra e Zapata al centro. Il Napoli non riesce a imporre il proprio gioco e incassa due reti, una per tempo, dal solito Toni.

Sì, Rafa, hai visto bene: Toni si è girato in area in mezzo a 5 dei tuoi
e con l'anca ha fatto capitombolare Mesto su Andujar per tirare a porta vuota...

Nel complesso ci sono stati segnali positivi solo, come già anticipato, da Inler e pure dal piccolo belga; il resto della squadra è apparso molle, distratto e sempre in ritardo, cumulando numerose imprecisioni anche per passaggi apparentemente semplici, come nel caso del secondo goal, dove il contropiede veronese è innescato da un'incertezza di Lopez.
Un Benítez evidentemente intossicato dalla prestazione dei suoi (ma forse anche dai continui cori ingiuriosi sul suo aspetto fisico da parte del pubblico di casa) decide di mandare in campo il terzetto fino ad allora lasciato in panchina: Callejón per De Guzman è il primo cambio naturale, rigorosamente effettuato intorno al 60'. Il secondo cambio, pochi minuti dopo, dichiara la necessità di recuperare il doppio svantaggio: Higuain entra per Mesto e l'assetto della squadra cambia, con l'esterno spagnolo arretrato a sacrificarsi come terzino e l'argentino a navigare, come si usa dire, tra le linee avversarie, con Hamšík spostato sulla fascia destra. L'ultimo cambio è all'82' e vede Gabbiadini entrare per Hamšík (e ancora una volta il capitano deve cedere la fascia a partita in corso...): il giovane attaccante pare essere in uno stato di grazia sebbene Benítez lo usi col contagocce: impressionante il suo tiro da 40 mentri, praticamente da fermo, potentissimo e preciso tanto quanto inefficace.
Il risultato non cambia e si ha la conferma che il percorso di questo Napoli abbia ripreso l'andamento sinuoso fatto di picchi altissimi e di altrettanti profondi inabissamenti. Molti, in città, suppongono che il mister spagnolo, da asso di coppe quale è, stia puntando all'Europa League più che al secondo (o terzo) posto in Campionato, che garantirebbe l'accesso diretto alla Champions League il prossimo anno. Molti sono convinti che andrà via a fine stagione (al Real Madrid, che si appresta a esonerare Ancelotti per decisione della curva?). La verità, per ora, la conoscono solo Benítez e De Laurentiis e a noi fideles napoletani non resta che sperare.

Pope

16 marzo 2015

Il Meazza e il Vélodrome

Cartoline di stagione: 28° turno 2014-15

Il grande Peppino segnò al Vélodrome di Marsiglia (quando ancora sembrava un velodromo) uno dei suoi gol più leggendari, al Brasile. Il Vélodrome, nel frattempo, è diventato uno stadio dal cui interno non so se si veda ancora il cielo; Peppino invece purtroppo se n'è andato e da un bel po', e solo qualche romanziere immagina che ancora frequenti San Siro quando gioca l'Inter. Oltretutto, San Siro è da qualche anno intitolato a lui - stranezze del destino: uno stadio costruito dal Milan, intitolato a un simbolo dell'Inter.

A ogni modo, ieri sera al Velodrome c'era OM-OL, Marsiglia-Lione, sfida che si presupponeva ad alta velocità e cruciale per i destini della Ligue 1. Al Meazza c'era (in contemporanea) Inter-Cesena, che si presupponeva soporifera e certamente non decisiva. Dove avrà scelto di andare il Peppin?

Istantanea scattata forse dal Peppin al Vélodrome, prima di OM-OL
Sulle partite sorvoliamo, nessuna delle due è poi stata memorabile, nemmeno quella di Marsiglia che prometteva molto e poco mantenne. Se non altro, si è notato che al Vélodrome c'era parecchia gente, certo la rivalità tra i due club è grande, ma lo stadio ribolliva di passione. E il campo di cattiveria agonistica. Al Meazza c'erano quattro gatti: i giocatori, i panchinari, i dirigenti, la comitiva arbitrale, gli steward, e pochi altri. Succede lo stesso (e anche peggio) quando scende in campo il Milan. Perché, allora, non spostare le partite dei due squadroni necropolitani in campi periferici? Che so, al Leone XIII, dove una bella tribunetta potrebbe ospitare gli abbonati incalliti. O nell'hinterland, per esempio a Gaggiano o ad Abbiategrasso (qui c'è anche un bel parcheggio). Ci sarebbe folla festante, a prescindere.

I problemi tecnici delle due squadre sono giganteschi. Sono due rose così malridotte e scarse da immaginare che - in assenza di investimenti massicci in pedatori di vaglia - ci vorranno anni per rivederle competitive a livello continentale. Quest'anno, poi, c'è il rischio concreto che nessuna delle due colga il pass per disputare nella prossima stagione almeno l'Europa League: il sesto posto è un obiettivo difficile da centrare, per entrambe. Bisogna abituarsi all'idea. Ma ci si chiede: è mai accaduto, dal 1955 - l'anno in cui si organizzarono la prima Coppa dei campioni e la prima Coppa delle fiere?

Dal 1955 al 1962, per quattro edizioni consecutive, l'Inter partecipò alla competizione fieristica. Fece una sosta ai box nel 1962-63, ma poi, fino al 1967, fu sempre protagonista in Coppa dei campioni. Nei medesimi anni anche il Milan giostrava in Europa, tra una coppa e l'altra, assentandosi un paio di volte. La presenza delle milanesi (o almeno d'una delle due, ma più di frequente entrambe) nelle coppe (a vario titolo) è sistematica tra il 1968 e la stagione corrente. Ne consegue che mai, nella loro storia, sulla mappa delle competizioni continentali per club non apparisse il nome di Milano. Potrà accadere nella stagione 2015-16.

E allora, caro Peppino, mettiti il cuore in pace, e prenota un abbonamento per il Vélodrome.

Mans

12 marzo 2015

Più di così non si poteva fare

In ripa Arni

Pareggia la Fiorentina di Coppa contro una Roma affetta da pareggite acuta, ma in crescita. Verdetto rinviato alla prossima settimana, allo stadio Olimpico. L'1-1 impone alla Viola una grande partita nella capitale e l'obbliga a segnare senza subire gol, un'impresa ardua vista la genetica su cui si fonda l'esistenza stessa di questa rosa. Tuttavia, dopo la gara del Franchi è difficile addossare colpe al gruppo e tanto meno all'allenatore. Questa sera i giocatori hanno dato tutto e Montella ha messo in campo la formazione migliore a disposizione, ma forse è questo il punto. L'elefantiaca rosa viola è imperfetta e inzeppata di centrocampisti mentre le punte di ruolo sono pochine: Gomez, Babacar e Gilardino, quest'ultimo non inserito nella lista UEFA. Gli esterni bassi non sono all'altezza e se s'infortuna Pizarro la squadra si accartoccia su se stessa e la palla non gira più con la fluidità necessaria a mettere in difficoltà gli avversari. Gli infortuni a ripetizione sono un'autentica maledizione, ma forse non sono del tutto casuali: troppi e troppo poco provocati per appellarsi solo alla malasorte. Forse qualcosa in fase di preparazione è stato sbagliato. Di fatto la Fiorentina ha fatto una partita quasi perfetta fino alla mezz'ora, poi è calata vistosamente e ha concesso campo alla Roma. Proprio la forma fisica sembra l'incognita più inquietante di questa parte finale della stagione, ma forse è cresciuta la Roma e i meriti dell'avversario sono stati maggiori dei demeriti viola.

Josip Ilicic esulta dopo aver portato la Fiorentina in vantaggio
Di questa partita ci restano poche ulteriori considerazioni: Alonso e Tomovic, così come Kurtic, non possono giocare titolari in una squadra come la Fiorentina. Salah non trova spazi se davanti non c'è una prima punta che fa i movimenti giusti al momento giusto e questo dice chiaramente quanto sia importante Gomez, perché il tedesco, segni o non segni, sa fare il centravanti. Ilicic, se lasciato libero di partire dalla trequarti e spaziare accanto alle punte, può essere molto efficace. 

Gli arbitri sono scarsi anche in Europa. Nel primo tempo Florenzi ha quasi segnato partendo da posizione evidentemente di fuorigioco. L'episodio del rigore sfiora il grottesco dato che è Iturbe a calpestare Neto. Sul gol della Roma Keita spinge vistosamente Alonso prima di colpire il pallone. Il recupero di tre minuti, dopo che la Roma aveva sistematicamente spezzettato il gioco negli ultimi quindici, è sembrato una provocazione.

La Roma è un'ottima squadra. Attraversa un momento difficile, ma è ben costruita e se ritroverà una forma migliore insieme a un po' di fiducia potrà finire il campionato in crescendo.

La Fiorentina è la Fiorentina. Ma ora occorre raccogliere le forze, stringere i denti e portare a casa la qualificazione altrimenti si rischia, dopo una volata esaltante, di rimanere con un pugno di mosche in mano.


Cibali

L'Europa perduta di José

Fettine di coppa: ottavi di CL 2014-15 (ritorno - primo mercoledì)

Mai, nell'infinita storia del football, un club parigino era stato capace di una così memorabile impresa. In terra albionica, oltretutto. Ai supplementari, per di più. E in inferiorità numerica: rien ne va plus. Titoloni trionfali sui quotidiani francesi, e soddisfatte occhiate al sarcasmo con cui la stampa britannica saluta la disfatta del Chelsea (vedi sotto).

Chi ha visto la partita - anzi le due partite, prima al Parc e poi a Stamford - difficilmente dimenticherà l'esibizione di non-calcio, di anticalcio totale proposta dai Blues. Duecentodieci minuti di spettacolo orrendo, nonostante qualche sprazzo solipsistico di Hazard. Ci si domanda: com'è possibile che uno degli allenatori più celebrati dell'era contemporanea reiteri di anno in anno il proprio cliché, ingaggiando stelle su stelle per mettere in scena un football sempre più indecente, speculativo, aggressivo, antispettacolare, e in fin dei conti regressivo? Non si capisce. Davvero non si capisce come uno dei top-club europei, al vertice nel continente da un decennio e oltre, possa tollerare questa strategia. In questo senso, il match di ieri sera segna probabilmente una discontinuità: il non-calcio di José Mourinho è, ormai e a questi livelli, perdente. Anche la fortuna - il rosso spropositato per Ibra, la svirgolata da ronzino di Costa che si tramuta in assist per Cahill - non sempre ha voglia di fare proprie le cause perse.

La 'rassegna stampa' di L'Équipe.fr

Nel post-partita, Arrigo Sacchi ridacchiava, mentre scorrevano le immagini di nove giocatori del Chelsea con espressioni stravolte  addosso all'arbitro per chiedere l'espulsione di Ibra. "Non è certo casuale", diceva Arrigo, facendo capire che i comportamenti degli uomini, in simili circostanze, non sono casuali, ma frutto di didattica specifica. Sono comportamenti che, negli anni di Mou all'Inter e al Real Madrid, abbiamo visto decine di volte. Ci siamo abituati. La didattica di Mourinho è questa. E per questo salutiamo con soddisfazione la sua uscita agli ottavi di finale: un'eliminazione sulla quale nemmeno lui ha potuto recriminare. Senza il Chelsea, questo è sicuro, vedremo partite migliori. In fondo, quella di Stamford ci ha tenuti incollati al monitor per solo ed esclusivo merito del PSG.

Mans

11 marzo 2015

Terrore al Bernabéu

Fettine di coppa: ottavi di CL 2014-15 (ritorno - primo martedì)

"Oddio, e cos'è quello? Un pallone?"
I suoi riflessi si sono spenti, e lo sguardo è appannato dall'incredulità di quel che gli accade. Lo sguardo è tipico di chi vorrebbe poter credere d'essere solo precipitato in un incubo. Ma è una notte che non finisce mai. Aveva ragione Mou, possibile? Iker Casillas è (o sembra essere) un ex-atleta, forse un ex-portiere, uno che sbriga a fatica l'ordinaria amministrazione, quando la sbriga, grazie all'esperienza. Sicuramente è un guardameta ormai inaffidabile, perché non sempre s'accorge del pericolo che incombe, e ogni oggetto rotondo che transita dalle sue parti è potenzialmente un assassino. Catturerebbe ancora e con relativa agilità qualche pallone sgonfiato da spiaggia, di quelli grossi che volano lenti; quelli normali, da competizione, quelli peraltro studiati apposta per disegnare traiettorie indecifrabili ai radar dei portieri, sembra abbiano per lui le dimensioni di una pallina da tennis, e gli passano veloci vicino a un braccio o a una gamba, rimbalzano o sgusciano. Solo di rado riesce a toccarli, ma senza convincerli a finire altrove la corsa. Diretti in porta, in porta arrivano. Martedì sera, al Bernabéu, i minatori (Die Knappen) di Gelsenkirchen hanno rischiato di far saltare per aria la storia della Champions League, riducendo il Bernabéu a sospirare perché la sconfitta rimanesse entro proporzioni aritmeticamente accettabili. Ma per il Grande Real e per l'Impero di Carlo Magno sono stati minuti di puro terrore. Ogni assalto dello Schalke era come una scossa di terremoto. E non basta l'irreversibile declino di Casillas a spiegare l'accaduto.

"E' andata. Adesso rimbocchiamoci le maniche"
Le difficoltà dei Blancos dipendono, in parte, dall'assenza di Ramos, grande ed esperto difensore-cannoniere, sempre (sempre) decisivo nella stagione della 'decima'; in parte, dal necessario rimpiazzo di due pedine nel reparto centrale, mastro Alonso e Angel Di Maria. Xabi, è vero, ha gli anni che ha, ma il suo peso specifico in un grande equipo è ancora tutt'altro che trascurabile. Senso della posizione, senso della partita. Palleggio e lanci lunghi, capacità di rallentare l'azione o di alzare il ritmo, durezza e cattiveria nei contrasti. Kroos è un futuro campione - questo è certo -, ma non ancora pronto a mettere sul banco tutta la merce che serviva Xabi. Di Maria, dal canto suo, garantiva velocità supersoniche ai ribaltamenti di fronte, assoluta imprevedibilità all'azione; Isco, che sicuramente è un futuro campione, possiede caratteristiche diverse, e non assortisce bene il trio dei centrocampisti, se gli altri sono Kroos e Kedhira. Lo stesso va detto di James Rodriguez. Senza quei due, il quattro-tre-tre nell'ultima release ancelottiana convince poco: è instabile, squilibrato, vulnerabile.

Certo, al momento è fuori anche Modric, e si tratta (come per Ramos) di un'assenza pesante. Tuttavia, per le ultime battaglie d'Europa, Carletto dovrà sperare che proprio Ramos e Modric tornino in squadra e in piena efficienza; e dovrà soprattutto trovare un sistema per convincere l'ambiente a calmarsi. Madrid ha osannato e divorato decine di allenatori, nell'ultimo mezzo secolo. A tutti è toccata la ghigliottina della critica, e poi il 'disonore' della cacciata. Se non sta più che attento, potrà capitare anche a lui. Prima del sorteggio dei quarti, oltretutto, dovrà arrangiare lo spartito, riaccordare gli strumenti e portare la banda a Camp Nou. Dove, peraltro, nessuno ha intenzione di lasciarla suonare.

Mans

10 marzo 2015

Una sconfitta salutare

In ripa Arni

La brutta sconfitta di ieri sera non deve essere un dramma. È maturata male, quasi senza che i viola opponessero resistenza alla straripante forma fisica e all'organizzazione dei laziali, ma forse era inevitabile pagare dazio contro un avversario forte, che non ha altri impegni oltre al campionato e ha potuto preparare al meglio la gara e forse era inevitabile perdere dopo un filotto trionfale e un mese in cui i ragazzi di Montella non hanno praticamente potuto mai rifiatare. Commentando la bella vittoria di Torino contro la Juventus auspicavo che la piazza si stringesse attorno alla squadra soprattutto nei momenti di difficoltà. Questo non lo è ancora, ma può diventarlo. A maggior ragione sarà opportuno stare tranquilli e sostenere questi ragazzi per quanto hanno fatto fin qui e, soprattutto, per quanto devono ancora fare visto che la Fiorentina è in corsa in tutte le competizioni avviate a inizio stagione.
Detto questo un'analisi della sconfitta di ieri mi pare doverosa e credo debba partire dall'allenatore, responsabile del gruppo e quindi del suo rendimento. Ieri Montella ha commesso due errori per come la vediamo in ripa Arni. Il primo è aver opposto ai migliori predatori biancocelesti i peggiori viola disponibili. La Lazio schierava sulle fasce Candreva e Felipe Anderson, i suoi giocatori più in forma, insieme a Mauri.
Vincenzino Montella. Secondo Cibali uno dei più bravi e
coraggiosi allenatori al mondo. Sicuramente il più moderno  d'Italia
(sempre secondo Cibali, naturalmente).

Montella gli ha opposto uno che non sa difendere (Pasqual) e uno che non sa fare il terzino, né quando deve attaccare né quando deve difendere (Tomovic). Primo suicidio tattico. Il secondo errore è stato il turn over. Ora, si capisce che quando giochi così spesso devi per forza alternare gli uomini, ma ieri sera la rosa viola sembrava l'organigramma dei vigili urbani di Roma la notte di san Silvestro. Lo diciamo da sempre e non ci stancheremo mai di dirlo: Kurtic non è un calciatore. Non può giocare in una squadra che ha ambizioni di alta classifica e secondo chi scrive semplicemente non può giocare a calcio (poteva giocare Borja Valero? E Aquilani?). Ilicic non può fare il falso nove, perché il falso nove è la più grande bufala mai inventata sul calcio. Nessuno ha mai giocato senza centravanti e chi crede l'abbia fatto il Barcelona dovrebbe darsi al badminton. Il Barcelona di Guardiola giocava senza una torre, senza un gigante in area di rigore, ma tutti, da Messi (deo gratias) a Iniesta, da Pedrito a Xavi, sapevano entrare centralmente o fare la diagonale sul primo o sul secondo palo a seconda dello sviluppo dell'azione. In altre parole, giocare senza un nove classico non ha mai significato giocare senza un attaccante che sappia muoversi come tale. Ieri la Fiorentina ci ha provato, perché nessuno di quelli in campo sa muoversi da primo attaccante. Salah è un trequartista atipico, Ilicic non si sa cosa sia, ma non è un attaccante puro così come non lo è Diamanti (che forse ci aveva illuso nelle prime partite in maglia viola). Se giochi con la difesa a 4, che - non ci stancheremo mai di ripetere -, è un azzardo eccessivo vista la rosa a disposizione, perché non metti Richards a destra e Vargas a sinistra? Infine, perché Pizarro e Gilardino non hanno iniziato la partita? Era forse meglio che rifiatassero dopo e non all'inizio, dando alla Lazio tutto il tempo per strapazzarci. Ma queste sono considerazioni comode e fatte col senno di poi. Quindi guardiamo avanti.

Giovedì si riscende in campo e stavolta per l'Europa League. Ci sarà la Roma da affrontare, un'altra nobile in difficoltà. La Viola arriva anche a questo impegno cruciale senza l'ombra di una punta di ruolo. Che si inventerà stavolta Montella? L'importante è che lo stadio sia pieno. Perché la Fiorentina può eliminare la Roma, ma stavolta servirà davvero il dodicesimo uomo, servirà il Franchi delle grandi occasioni e servirà l'anima della Firenze calcistica.

Cibali

8 marzo 2015

Paura, eh?

In ripa Arni

Raramente la Fiorentina desta simpatie al di fuori dei viali di circonvallazione, ma la ridda di interventi cui stiamo assistendo in questi giorni, all'indomani dallo strepitoso filotto messo a segno da Montella e company dà il segno del rispetto (chiamiamolo così) che le cosiddette grandi iniziano ad avere per la Viola.

La Fiorentina ha iniziato a macinare punti pesanti da quando ha ceduto Cuadrado. Una coincidenza? Forse, o forse no. In ripa Arni optiamo per il forse no. Il valore del ragazzo colombiano non c'entra. È un giocatore forte e saprà imporsi anche a Londra, ma nella Fiorentina era diventato un oggetto misterioso. Abbiamo già detto altre volte che non è una seconda punta e in quel ruolo il suo talento è mortificato. Montella non aveva molte alternative. Il suo modulo preferito, quello per cui questa rosa è stata costruita, prevede due punte, di cui una di movimento orizzontale e una di movimento verticale. Cuadrado doveva essere la prima opzione, ma come detto ha fallito. Nell'operazione che ha portato il giocatore colombiano alla corte di Mourinho la Fiorentina si è presa il talento egiziano Mohamed Salah. A Firenze in pochi lo conoscevano, ma la partenza di Cuadrado aveva dato l'impressione di un ridimensionamento tecnico e della mancanza di programmazione, visto che all'inizio della stagione Cuadrado sembrava, parola del patron Andrea Della Valle, incedibile.

Ancora una volta pare si sia manifestata la dicotomia societaria di cui abbiamo più volte scritto: Cuadrado andava ceduto per rientrare dell'esborso con cui la proprietà aveva ripianato il passivo di bilancio a chiusura 2014 e così è stato. Il settore tecnico, direttori sportivi e allenatore, dovevano però sopperire a tale perdita e hanno chiesto al Chelsea l'egiziano finito ai margini del progetto Mou. Per fortuna Pradè e Macia conoscono il calcio e i suoi interpreti, anche quelli meno chiacchierati dalla stampa specialistica. Salah si è rivelato un crack, Cuadrado per ora langue sulla panchina dei Blues.

Mohamed Salah scaglia il sinistro in corsa col quale trafigge Storari
Le sei reti messe a segno dal nuovo attaccante viola sono un biglietto da visita eccezionale e inatteso. Il gol con cui ha portato avanti la Viola giovedì sera a Torino è semplicemente magnifico. Un mix fra Baggio e Usain Bolt, una corsa folle verso la porta avversaria e il pallone scaraventato con potenza sotto l'incrocio dei pali opposto alla traiettoria di corsa. Un capolavoro e nello stadio più odiato.

Questa perla ha scatenato il più classico e stucchevole dei "l'avevamo quasi preso noi, poi...".  Prima la Roma, poi Mancini e l'Inter. Pare che tutto il mondo pallonaro fosse sulle tracce del giovane ragazzo di Basyoun. Alla fine l'ha preso la Fiorentina. L'ha preso la Fiorentina per una ragione assai semplice: nella società Viola lavorano persone che conoscono il calcio e sanno fare il loro mestiere. Resto convinto che quella in ripa Arni sia una società bicefala e per questo lenta nel decidere e spesso contrastata al suo interno da linee diverse quando non addirittura contrapposte (il caso Neto ne è un esempio), ma il settore tecnico è composto da gente preparata e la rosa costruita lo dimostra.

La Fiorentina sta volando e lunedì è attesa dalla partita più difficile. Adesso tutti sanno che Salah è forte e gli riserveranno un trattamento speciale. I difensori della Lazio studieranno attentamente i movimenti dell'egiziano, anche se non sarà facile visto che nei novanta minuti copre tutto il campo. Gomez, che stava entrando in forma, si è infortunato di nuovo e sembra debba star fuori almeno due settimane. Babacar ne avrà ancora per qualche turno. Fin qui Montella, autentico valore aggiunto di questa squadra, ha saputo colmare le lacune tecniche con alchimie tattiche degne del miglior Nicolas Flamel.

L'importante è che Firenze stia vicina a questo gruppo e sappia sostenerlo anche quando Salah correrà di meno e Montella sbaglierà, inevitabilmente, qualche cambio. La Fiorentina ha imboccato la strada giusta per l'ultimo salto di qualità. La domanda è se Firenze saprà accompagnarla.

Cibali

4 marzo 2015

Brutta incornata

Oje vita mia

La sconfitta del Napoli in casa del Torino è arrivata proprio quando gli azzurri erano ad un passo dall'agguantare la Roma al secondo posto. Benítez, dopo il ritorno di Europa League contro il Trabzonspor (poco più di un allenamento, forti del 4 a 0 ottenuto all'andata) ha affrontato la partita schierando praticamente la formazione migliore, unica eccezione per il ruolo di esterno offensivo sinistro, affidato a De Guzman, lasciando in panchina Gabbiadini (Insigne infortunato e Mertens squalificato). Mariano Andujar è oramai il titolare tra i pali partenopei.

Nel primo tempo il Napoli non pressa alto, attende i granata nella propria metà campo; atteggiamento che pare incomprensibile e che non porta a nulla di fatto. La squadra allenata da Ventura viene da una striscia di oltre 10 risultati utili consecutivi ed è carica psicologicamente per aver espugnato, prima italiana in assoluto, il San Mamés di Bilbao in Europa League; compatta, densa e attenta, desta qualche preoccupazione col solito amato/odiato (dai tifosi partenopei) Quagliarella e, sulla fascia destra, con Peres ostico ospite di Strinić. Il primo tempo si chiude con poche emozioni e la sensazione di un Napoli incomprensibilmente attendista, quando in molti si auspicavano un assalto alla porta torinese.

Al rientro finalmente il Napoli si scuote e attacca con maggior convinzione pur senza trovare la via del goal né riuscendo a trovare in Hamšík il capitano di cui si ha bisogno in queste situazioni; lo slovacco viene sostituito per l'ennesima volta intorno al 60', costretto a cedere nuovamente la fascia di capitano; un gesto che, ripetuto così di frequente, inizia a destare più di un dubbio sulla effettiva leadership riconosciuta al giocatore da parte di Benítez. Comunque sia, Hamšík esce ed entra Gabbiadini, che occuperà la fascia alta sinistra mentre De Guzman si sposta in posizione di trequartista.

Sbuffi di fatica: sei reti in stagione pesano molto sulle spalle di un difensore.

Pochi minuti e Koulibaly, da centrocampo, effettua un grottesco passaggio all'indietro letteralmente regalando il primo calcio d'angolo al Torino. Il Napoli ne aveva battuti diversi sino ad allora senza un briciolo di idea, applicando sempre lo stesso schema di appoggio corto ad un compagno stazionante nei pressi della lunetta per poi tentare il cross. Il Torino invece è micidiale, grazie ad Albiol che si lascia sfuggire Glik che di testa insacca (ed è la sesta volta quest'anno, cifra quasi irragionevole per un difensore). Siamo al 68' e ci sarebbe tempo per recuperare; il Napoli ci prova, rendendosi pericoloso soprattutto con Gabbiadini, che colpisce anche un palo da tiro libero, lasciando più di qualcuno perplesso sul suo utilizzo parziale, essendo in piena forma e rientrando in molte delle azioni da rete del Napoli nelle ultime uscite, a differenza di Callejón che ha realizzato una sola rete nelle ultime 15 partite (che pure ne aveva fatte 8 nelle prime 10). Gli ingressi di Inler (molti errori) e di Zapata nel finale (rinunciando ad un difensore) non smuovono il risultato: ennesima sconfitta esterna per il Napoli contro una squadra alla sua portata.

Ciò che poi accade nel dopo partita è imbarazzante: Benítez è nervoso e si presenta, come da contratto, ai microfoni delle emittenti sportive ma non offre alcuna dichiarazione, lasciando ai commentatori il dubbio se la sua rabbia sia dovuta più ad un mancato rigore per fallo di mano o ad una mancata espulsione di Quagliarella per un intervento scomposto su Callejón, arrivando ad affermazioni fuori luogo con strascichi fino alla vigilia della delicata semifinale di Coppa Italia [vedi].

Visto il pari rimediato dalla Roma impegnata contro la Juventus, si tratta dell'ennesima occasione sprecata: la Roma allunga, seppur di poco, e si porta a +4, mentre dietro la Lazio (prossima avversaria per la Coppa Italia) si trova a 2 punti e la Fiorentina a 3. E domenica arriva l'Internazionale al San Paolo mentre le due inseguitrici si incroceranno all'Olimpico lunedì.

Pope