30 marzo 2016

Quanto costerà un coperto al ristorante dello Stade de France?

Viviamo una stagione calcistica di transizione, nonostante si concluda con l'europeo di Francia. Ammesso che si giochi, considerata l'emergenza oramai quotidiana e l'eventualità di attacchi terroristici - l'attentato di Bruxelles ha avuto luogo, come quello di Parigi, mentre nel vecchio continente tutte le nazionali avevano la loro partita da giocare: una banale coincidenza?

Pensieri fluttuanti del Pep
E' una stagione di transizione per alcune leghe nazionali (specie quella inglese; ma anche in Francia il dominio del PSG ha assunto proporzioni tali da metterne in discussione il contenuto agonistico), meno per le competizioni internazionali. Ma alcuni top-club hanno già scelto di voltare pagina dalla prossima stagione, cambiando la guida tecnica (City, Bayern, Chelsea), altri confidano in uno strabiliante finale di Champions onde evitare il naufragio (Real: il cambio al volante c'è stato già a metà stagione). Non sorprendente il ritorno a una conduzione più duttile e pragmatica deciso dal Bayern: troppo ardito, forse, il trapianto della mente di Guardiola nel corpo di un club di rilucente tradizione teutonica, tanto da non lasciarne particolarmente entusiasti i sacerdoti e lo stesso Pep. Guardiola ora porterà  la sua sartoria all'Etihad, dove viceversa un blasone universale dev'essere ancora forgiato. Ma, con le risorse di cui disporrà, il catalano potrà cucire il calcio che desidera, scegliendosi tutte le stoffe. Una sfida, sì: ma relativamente rischiosa.

Le nazionali sembrano in fase di ricostruzione. Olanda, Germania, Spagna, Inghilterra sono alle prese con un ricambio generazionale, e non è detto che (per una volta) quelli messi peggio siano proprio gli inglesi. L'ultima mezzora a Berlino di sabato scorso forse non è da prendere sul serio, ma credo che persino Hodgson non se la potesse aspettare. Poi, a ridimensionare l'exploit in terra germanica, è arrivata la 'solita' sconfitta a Wembley con l'imprevedibile undici olandese.

The Youngsters
Anche l'Italia è in mezzo al guado: ma Conte ha fatto un lavoro apprezzabile e ora proverà a raggiungere l'agognata sponda (che sembrava lontanissima, due anni fa) scommettendo su talento e gioventù (Insigne, Zaza, Bernardeschi e altri), abbinati alla solida vecchia guardia bianconera. Alti e bassi sono fisiologici, in questa fase; e farsi bastonare dalla Germania in amichevole non dico porti bene, ma certo male non fa - se non altro, perché ci consiglia di tenere in memoria il ranking e la nostra (intendo del sistema calcistico complessivo) storia recente. Le ambizioni italiane dipenderanno, sostanzialmente, dal costo di un coperto al ristorante dello Stade de France: più vicino ai 10 o ai 100 euro?

Sicché in Francia - se ci si andrà, se si giocherà - potremmo pronosticare il ruolo di principali favoriti all'undici ospitante e al Belgio. Sono le due rappresentative più rodate, più stabili. I Bleus hanno trionfato nelle ultime competizioni organizzate da loro (1984 e 1998), ma non hanno più Roi Michel in cabina di regia (sul campo e fuori); i belgi sono ancora alla ricerca di un souvenir non consolatorio da mettere in bacheca: avessero un Cruijff (un fuoriclasse più acclarato che acclamato: non credo troppo in Hazard, che mi sembra un bravo pedatore, ma abbastanza prevedibile nelle mosse - pur rapide - e nelle intenzioni) potrebbero sbancare. 

I giocatori di Belgio e Portogallo ricordano le vittime di Bruxelles


Ecco, è anche la prima volta senza Cruijff. Non ci sarà - in tribuna o davanti alla tv -, e non ci sarà nemmeno l'Olanda. Ma, è vero, forse per la prima volta tutte (nessuna esclusa) le nazionali di rango si presentano al via con l'intenzione di proporre un calcio poco votato alla speculazione e più all'anticipo dei tempi di gioco, al pressing alto, all'offesa. Tutte: nessuna esclusa. Il calcio praticato, predicato e insegnato da Cruijff è ormai patrimonio comune; ne varia l'interpretazione, e la varietà dipende soprattutto, più che dalle differenze di modulo, dalla qualità degli interpreti.  Chiamarlo total-voetball oggi, è vero, non ha più alcun significato, essendo divenuto luogo comune: nessuno ne ha più l'esclusiva, neppure il Barça, che da quella pianta continua a raccogliere e dispensare i frutti migliori. Perché il seme, in Europa, ha attecchito dappertutto. La rivoluzione è durata cinquant'anni, ma si è compiuta proprio nel tempo in cui il suo prodigioso simbolo ha abbandonato davvero e definitivamente la scena. 

Mans

6 marzo 2016

Calcio, Glam e Cristianite

El rincón del tertuliano

Ieri sera il Real Madrid  ha investito il Real Club Celta de Vigo. Il risultato è imbarazzante, e cela le difficoltà avute dai merengues nel primo tempo. I primi 45' lasciavano presagire possibili complicazioni per Zizou, già sotto esame dopo la sconfitta nel derby. Per essere confermato, il tecnico transalpino è obbligato a chiudere la stagione almeno con un secondo posto e una finale di Champions League. Al rientro, quando qualcuno annusava l'ennesima débâcle madridista, Cristiano (alias El bicho, 'L'animale') completa l'intervista post-Atlético.

Gareth Bale: solo 16 presenze (e 14 gol)
e diversi infortuni quest'anno in Liga
Sì, perché dopo il match dolorosamente e meritamente perso con i Colchoneros, il portoghese aveva dichiarato che se i suoi compagni di squadra fossero al suo livello, forse il Madrid sarebbe in testa alla Liga. Ovviamente quelle dichiarazioni hanno lasciato pesanti strascichi, e poco importa che il concetto sia stato astutamente manipolato dai media. Ronaldo lamentava i continui infortuni dei vari Bale, Benzema, Modric, Pepe, James, Kroos che costringono Zidane (e, prima di lui, Benítez) a schierare giovani virgulti e seconde linee. Difficile dissentire con Cristiano, che non nega i meriti degli ottimi canterani - Jesé (1993), Nacho (1990), Casemiro (1992), Lucas Vázquez (1991), Borja Mayoral (1997) - ma sostiene che al Madrid per vincere una competizione lunga servono i migliori.

In realtà le continue critiche al portoghese non stanno nei trofei, né nei numeri (che saranno comunque analizzati su questi schermi, a tempo debito). Se non segna, perché non segna; se segna, lo fa solo su rigore (da lì il soprannome Penaldo) o su facili tap-in (Empujonaldo, da empujar 'spingere, appoggiare'); se segna gol di pregevole fattura, come quello con la Roma, ci si appellerà alla deviazione, alla sorte, alla congiunzione astrale propizia e beffarda; e se ciò non è possibile, come nel caso di almeno due dei quattro gol messi a segno ieri, si dirà che segna solo con le piccole e mai gol decisivi.


CR7: poker al Celta con polemica
Il Celta, però, squadretta non è, forte di un formidabile tridente d'attacco (Nolito-Aspas-Orellana): al momento sesto in Liga, può vantare di aver rifilato un 4-1 in campionato al Barça (23 settembre 2015) e, soprattutto, di aver eliminato l'Atleti del Cholo dalla Copa del Rey, circa un mese fa. Non sono imprese da poco. Il problema è un altro: Cristiano nel Madrid è terribilmente solo. Senza le accelerazioni di Bale, il perno Benzema, il fosforo di Modric e le fiammate di James, i Blancos sono ben poca cosa. Una squadra discreta, nulla di più. Come un Barça a cui togliessero contemporaneamente tre o quattro tra i vari Messi, Neymar, Suarez, Iniesta e Busquets.

Quando si parla del portoghese, alla consueta Madriditis di sponda culé e colchonera si somma un astio non sempre razionale. Il ragazzo non vive male: milionario, circondato da modelle mozzafiato, adagiato sui bordi di maxi-piscine o su uno dei suoi yacht. Un po' di invidia è comprensibile. Ciò che si finge di non comprendere, nondimeno, è che Cristiano Ronaldo è un divo del calcio. Definirlo semplicemente "calciatore" è riduttivo. CR7 è modello, uomo immagine, animale da red carpet. Un marchio. E vendere un marchio significa dover prestare un'attenzione spropositata ad aspetti che col calcio degli anni Cinquanta hanno poco a che fare: una tableta di addominali sapientemente scolpita, un'acconciatura perfettamente dominata anche nelle azioni più concitate, un'abbronzatura omogenea (e quanto più simile al naturale), un'impeccabile curvatura delle finissime sopracciglia, e così via. E nel pacchetto va incluso anche quell'atteggiamento un po' strafottente, chulo, quell'affettato senso di superiorità, quella dichiarazione polemica, quella provocazione che farà vomitare parole su parole.

Moda culé
Il calcio è moda, immagine, glamour. Sempre più simile a un circo, a una sfilata, a un film d'azione con largo uso di effetti speciali. È un processo iniziato qualche tempo fa e che alcuni (Beckham docet) hanno saputo cavalcare meglio di altri. Messi, da questo punto di vista, non può essere un concorrente: non ha presenza, personalità, brillantezza. È totalmente inadeguato al colore e allo spettacolo; qualsiasi gesto compia in campo, anche il più difficile, non riesce a emozionare. Non ha ereditato un briciolo della magia di Ronaldinho. Fuori dal campo, poi, ha la verve di una sogliola: chi ha mai avuto l'occasione di ascoltare una sua intervista, lo saprà e del resto, il suo bagaglio culturale è circoscritto, per sua stessa ammissione, alla biografia di Maradona. Neymar, in questo senso, potrebbe essere il perfetto erede di CR7: giovane, con una forte personalità, talentuoso e un po' sbruffone. I nostalgici storceranno il naso, rievocheranno il calcio di Pozzo, Nordhal e Yashin con le pupille umide... e saremmo tentati di farlo anche noi, avvinghiati all'immagine dello scopone scientifico di Bearzot, Pertini, Zoff e Causio. Scolpita ormai nelle nostre menti, indelebile quanto quella del giovane rivoltoso di piazza Tienanmen di fronte al carrarmato. È una nostalgia piacevole e commovente: è malinconicamente gradevole ricordare o idealizzare quella semplice genuinità.

Duca