6 marzo 2016

Calcio, Glam e Cristianite

El rincón del tertuliano

Ieri sera il Real Madrid  ha investito il Real Club Celta de Vigo. Il risultato è imbarazzante, e cela le difficoltà avute dai merengues nel primo tempo. I primi 45' lasciavano presagire possibili complicazioni per Zizou, già sotto esame dopo la sconfitta nel derby. Per essere confermato, il tecnico transalpino è obbligato a chiudere la stagione almeno con un secondo posto e una finale di Champions League. Al rientro, quando qualcuno annusava l'ennesima débâcle madridista, Cristiano (alias El bicho, 'L'animale') completa l'intervista post-Atlético.

Gareth Bale: solo 16 presenze (e 14 gol)
e diversi infortuni quest'anno in Liga
Sì, perché dopo il match dolorosamente e meritamente perso con i Colchoneros, il portoghese aveva dichiarato che se i suoi compagni di squadra fossero al suo livello, forse il Madrid sarebbe in testa alla Liga. Ovviamente quelle dichiarazioni hanno lasciato pesanti strascichi, e poco importa che il concetto sia stato astutamente manipolato dai media. Ronaldo lamentava i continui infortuni dei vari Bale, Benzema, Modric, Pepe, James, Kroos che costringono Zidane (e, prima di lui, Benítez) a schierare giovani virgulti e seconde linee. Difficile dissentire con Cristiano, che non nega i meriti degli ottimi canterani - Jesé (1993), Nacho (1990), Casemiro (1992), Lucas Vázquez (1991), Borja Mayoral (1997) - ma sostiene che al Madrid per vincere una competizione lunga servono i migliori.

In realtà le continue critiche al portoghese non stanno nei trofei, né nei numeri (che saranno comunque analizzati su questi schermi, a tempo debito). Se non segna, perché non segna; se segna, lo fa solo su rigore (da lì il soprannome Penaldo) o su facili tap-in (Empujonaldo, da empujar 'spingere, appoggiare'); se segna gol di pregevole fattura, come quello con la Roma, ci si appellerà alla deviazione, alla sorte, alla congiunzione astrale propizia e beffarda; e se ciò non è possibile, come nel caso di almeno due dei quattro gol messi a segno ieri, si dirà che segna solo con le piccole e mai gol decisivi.


CR7: poker al Celta con polemica
Il Celta, però, squadretta non è, forte di un formidabile tridente d'attacco (Nolito-Aspas-Orellana): al momento sesto in Liga, può vantare di aver rifilato un 4-1 in campionato al Barça (23 settembre 2015) e, soprattutto, di aver eliminato l'Atleti del Cholo dalla Copa del Rey, circa un mese fa. Non sono imprese da poco. Il problema è un altro: Cristiano nel Madrid è terribilmente solo. Senza le accelerazioni di Bale, il perno Benzema, il fosforo di Modric e le fiammate di James, i Blancos sono ben poca cosa. Una squadra discreta, nulla di più. Come un Barça a cui togliessero contemporaneamente tre o quattro tra i vari Messi, Neymar, Suarez, Iniesta e Busquets.

Quando si parla del portoghese, alla consueta Madriditis di sponda culé e colchonera si somma un astio non sempre razionale. Il ragazzo non vive male: milionario, circondato da modelle mozzafiato, adagiato sui bordi di maxi-piscine o su uno dei suoi yacht. Un po' di invidia è comprensibile. Ciò che si finge di non comprendere, nondimeno, è che Cristiano Ronaldo è un divo del calcio. Definirlo semplicemente "calciatore" è riduttivo. CR7 è modello, uomo immagine, animale da red carpet. Un marchio. E vendere un marchio significa dover prestare un'attenzione spropositata ad aspetti che col calcio degli anni Cinquanta hanno poco a che fare: una tableta di addominali sapientemente scolpita, un'acconciatura perfettamente dominata anche nelle azioni più concitate, un'abbronzatura omogenea (e quanto più simile al naturale), un'impeccabile curvatura delle finissime sopracciglia, e così via. E nel pacchetto va incluso anche quell'atteggiamento un po' strafottente, chulo, quell'affettato senso di superiorità, quella dichiarazione polemica, quella provocazione che farà vomitare parole su parole.

Moda culé
Il calcio è moda, immagine, glamour. Sempre più simile a un circo, a una sfilata, a un film d'azione con largo uso di effetti speciali. È un processo iniziato qualche tempo fa e che alcuni (Beckham docet) hanno saputo cavalcare meglio di altri. Messi, da questo punto di vista, non può essere un concorrente: non ha presenza, personalità, brillantezza. È totalmente inadeguato al colore e allo spettacolo; qualsiasi gesto compia in campo, anche il più difficile, non riesce a emozionare. Non ha ereditato un briciolo della magia di Ronaldinho. Fuori dal campo, poi, ha la verve di una sogliola: chi ha mai avuto l'occasione di ascoltare una sua intervista, lo saprà e del resto, il suo bagaglio culturale è circoscritto, per sua stessa ammissione, alla biografia di Maradona. Neymar, in questo senso, potrebbe essere il perfetto erede di CR7: giovane, con una forte personalità, talentuoso e un po' sbruffone. I nostalgici storceranno il naso, rievocheranno il calcio di Pozzo, Nordhal e Yashin con le pupille umide... e saremmo tentati di farlo anche noi, avvinghiati all'immagine dello scopone scientifico di Bearzot, Pertini, Zoff e Causio. Scolpita ormai nelle nostre menti, indelebile quanto quella del giovane rivoltoso di piazza Tienanmen di fronte al carrarmato. È una nostalgia piacevole e commovente: è malinconicamente gradevole ricordare o idealizzare quella semplice genuinità.

Duca