14 giugno 2016

Lezione di italiano per Wilmots e (oggi) derby danubiano

Ammettiamolo, un po' era nell'aria. La partenza col botto. La sorpresa che può sorprendere solo chi si è affacciato al pallone in questi anni di misero talento e sicuro declino pedatorio italico. Ma - come diceva ieri sera Arrigo nell'orrenda trasmissione post-match allestita dalla Rai, con le solite facce e i soliti sketch che offendono il buon gusto di molti spettatori - il calcio ha anche una storia e una tradizione, e quelle di Belgio e Italia sono imparagonabili. Vero: loro sono stati una nostra bestia nera, basti ricordare gli europei del '72 e dell'80. Ma, ai tempi, erano una nazionale tatticamente all'avanguardia. Oggi, certamente, no. Oggi hanno visto crescere una generazione di cosiddetti top-player, ce ne sono così tanti da non poterli nemmeno schierare tutti nella formazione di partenza. Peccato siano concentrati solo in alcuni ruoli - attaccanti, attaccanti esterni, trequartisti o come li si vuole chiamare; peccato non ci siano difensori - centrali ed esterni - all'altezza (soprattutto tattica) dei nostri; peccato non possano tenere in mezzo al campo un vero facitore di gioco, un regista, un playmaker, ma due interni di difficile definizione e piuttosto sopravvalutati, i gemelli Witsel e Fellaini. Poiché la raccolta delle figurine e la composizione di un album non presentano le stesse difficoltà che comporta l'allestimento di una squadra di calcio efficiente ed equilibrata (e poiché anche i valori di transfermarkt non scendono in campo), ecco che i nostri ronzini sono andati praticamente a nozze. Teleguidati (come giustamente osserva oggi Mario Sconcerti sul Corriere) da Conte, azzerati nell'ego da questa esperienza mistico-pedatoria. Così, quando Hazard ha cominciato a esercitarsi in solitari funambolismi, si è capito che Wilmots non aveva armi (e intelligenze) tattiche da contrapporre alla nostra strategia. E il match è scivolato, pur tra fasi alterne, verso la sua logica conclusione. Gli sprechi madornali e decisivi di Origi e Lukaku (anche i nostri sprecano, ma ciò è nella normalità), peraltro, dovrebbero far riflettere chi si produce in eccessi di entusiasmo per i centravanti altrui: sono giovani, e hanno ancora tanta strada da fare prima di arrivare al vertice del calcio europeo.

Si segna spesso nei minuti finali, a Euro 2016.
Anche l'Italia ci riesce, al termine di un'azione spettacolare

Certamente, non si è mai vista una nazionale italiana con queste sincronie di gioco e di movimenti. Una squadra perfetta, le cui beghe stanno nella modestia dei piedi di tutti - cosa non da sottovalutare, peraltro. Basterà per andare lontano? Difficile dire, ora per esempio avremo due partite complicate, poiché si va ad incontrare gente del nostro livello e che dovrà adoperare le nostre stesse armi. Per fortuna troviamo prima l'amico Ibra, leader di una squadra povera di talento - come la nostra. Per fortuna arriva prima la Svezia, perché gli irlandesi hanno un signor allenatore e appetiti atavici, e corrono come dannati, secondo tradizione. Saranno giornate difficili, e occorrerà - ora che la vittoria nella prima partita ci dà una ragionevole certezza di passare il turno - risparmiare fiato ed energie, e impiegare anche qualcuno rimasto ieri in panca. Vedremo.

Oggi torna un'antica classica del football europeo. Il derby danubiano: Austria-Ungheria. Si sono incontrate 136 volte; a parte i confronti della Coppa Internazionale, si sono sfidate in una sola occasione al mondiale, nel 1934, all'altezza dei quarti, a Bologna. Mai in una fase finale dell'europeo. Vanta più successi l'Austria, che anche oggi parte favorita. Nei cieli di Eupalla, tanti antichi campioni di due generazioni diverse, quelli che fecero parte del Wunderteam e dell'Aranycsapat, si accomoderanno oggi insieme sul divano per godersi questa partita davvero speciale, che ritorna a contare qualcosa dopo secoli di inerzia e declino. La ruota del football non smette mai di girare.