15 maggio 2017

La travagliata stagione rossonera

Addio Milan!

Non è poi passato così tanto tempo da quella sera a Madrid in cui ho provato a spiegare all'amico Sven cosa fosse successo al Milan. La stessa sera in cui ho realizzato che non è semplice raccontare una storia che risulta incomprensibile anche per chi ne ha vissuto ogni singolo atto. Eppure la scomparsa dei colori rossoneri dai radar degli spettatori europei è un qualcosa di certificato. Una condizione acclarata che non dovrebbe stupire più di tanto alla luce di una mera verifica sul campo. 

La sfida con l’Atalanta di sabato scorso, al netto delle sviste arbitrali, ha certificato la sconcertante mediocrità in cui si dibatte il club. Una condizione che in realtà era ben chiara sin dal principio di questa stagione. Era sicuramente evidente a Montella, che si è ben guardato dal fare pronostici oltremodo ottimistici, anche quando la classifica non era chiara espressione dei valori tecnici e i tifosi potevano augurarsi una stagione al di sopra delle aspettative iniziali. Ma a cosa poteva ambire questo Milan? 

Predicatore nel deserto: 
Jesús Joaquín Fernández Sáez de la Torre, detto Suso
Probabilmente nel sesto posto provvisorio dei rossoneri ci sono tanti demeriti altrui (l’annata fallimentare dell’Inter e la profonda discontinuità della Fiorentina), ma la squadra ha avuto il merito di riprendere partite sostanzialmente compromesse da primi tempi fatiscenti e di rimanere, nonostante tutto, sul pezzo. Andando ad analizzare i valori del gruppo, l’ultima compagine costruita da Adriano Galliani è un mix di lacune tecniche e defezioni tattiche. Una équipe messa in piedi con prestiti secchi (obbligati da una situazione societaria protrattasi ben oltre il comprensibile con contorni farseschi) e che non è riuscita a trovare alcuna certezza dagli acquisti dell’estate 2016. Lapadula e Gustavo Gomez (quasi 20 milioni in due) sono apparsi spesso inadeguati alla categoria, mentre Sosa e Mati Fernandez non sono più in grado di reggere a livello fisico il nostro campionato (eppure sul primo è stato fatto un investimento importante). Paletta, arcigno e solido nelle prime fasi del campionato, ora insegue con tenacia il record di espulsioni di Apolloni mentre Kucka, sempre amato dalla curva per impegno e dedizione, pare ben avviato sul viale del tramonto. L’infortunio terribile di Bonaventura ha poi lasciato sguarnita un’intera zona di campo, coperta con discontinuità dall’indecifrabile Deulofeu che, sotto la guida di Montella, ha saputo mostrare una dedizione tattica mai offerta prima. A tutto questo si sommano le assenze alterne di Suso, predicatore solitario nell’arido deserto milanista, e Romagnoli, bravo ma ancora incompiuto.

Una stagione travagliata e arida dal punto di vista del gioco in cui però Montella è stato capace di dare al gruppo valori caratteriali non comuni. Il demerito principale dell’allenatore campano è probabilmente quello di aver abbandonato un certo tipo di calcio speculativo per sposare una filosofia di gioco più spregiudicata che ha esposto la squadra ad ingiustificabili figuracce contro Napoli e Roma a San Siro, solo per citarne alcune. Eppure non dovrebbe tanto stupire il girone di ritorno - che si attesterà presumibilmente intorno ai 25 punti, perfettamente in linea col valore tecnico della rosa -, quanto il girone di andata, chiuso alla surreale quota di 37 punti. A questo risultato va aggiunta la conquista insperata della supercoppa, un vero e proprio miracolo sportivo raggiunto attraverso un atteggiamento coraggioso con cui il Milan ha saputo mettere alle corde lo squadrone che nelle prossime settimane si giocherà il triplete. Pensare che questa rosa avrebbe potuto fare di più ha un retrogusto acre che profuma di malafede. Al contrario: sarebbe stato lecito aspettarsi molto meno. 

Vincenzo e la supercoppa

Le ultime settimane hanno messo in discussione la permanenza di Montella, che si vorrebbe condizionata al raggiungimento del sesto posto, l’ultimo disponibile per l’accesso ai preliminari di Europa League. È inevitabile che il destino di ogni allenatore dipenda dai risultati, ma la situazione della società negli ultimi 9 mesi (e non solo) costituisce sicuramente una di quelle eccezioni da evidenziare con un grosso asterisco. Probabilmente non c’è un solo allenatore di prima fascia che oggi accetterebbe il rischio di allenare e rifondare il Milan, in un clima ancora ambiguo e poco decifrabile. Ci saranno altre occasioni per mandare (eventualmente) Montella al patibolo. Ora dovrebbe prevalere un certo pragmatismo.

Oslo