4 giugno 2017

Picnic madridista sul prato di Cardiff

Fettine di coppa: la finale di Cardiff

Le finali della Champions League o della Coppa che dir si voglia sin dalle origini sono state normalmente equilibrate. Lo dicono i numeri: in 62 edizioni dell torneo, 17 finali si sono concluse ai supplementari e oltre, mentre 25 hanno scritto sull'albo d'oro il nome di una squadra uscita vittoriosa con un solo gol di scarto. Grosso modo, dunque, solo una volta su tre si registra un dominio numerico che non lascia spazio a qualsiasi tipo di recriminazione. Però, solo nove volte è successo che la squadra campione abbia seppellito la squadra sconfitta con almeno tre gol di differenza: ne sono stati capaci il Real (1960, 2000, 2014 ma ai supplementari, 2017), Manchester United (1968, ma ai supplementari), il Milan (1969, 1989, 1994) e il Bayern (1974, ma era una finale ripetuta).

Immagine ormai consueta

Quattro a uno nei novanta minuti, e un parziale di tre a zero nel secondo tempo. Per la Juventus, la finale di Cardiff è una ferita sportiva profonda; è la settima finale bucata (Benfica e Bayern sono staccate: il parziale è ora di sette a cinque); è stata, soprattutto, una sconfitta senza attenuanti, una resa progressiva e ineluttabile di fronte alla superiorità (tecnica, tattica, atletica) del Real, una superiorità di dimensioni non pronosticabili (e da nessuno pronosticate) alla vigilia. Tant'è vero che, all'inizio, si è vista soprattutto la Juve; baricentro alto, aggressività, l'idea era di replicare il primo tempo dello Stadium col Barça; si è avuta la sensazione di una grande pericolosità, ma occasioni vere non sono arrivate. Un primo tempo dispendioso per la Juve, sornione per il Real - che incassa il meritato pari di Mandzukic senza battere ciglio. La metamorfosi della partita è nitidissima dopo l'intervallo, quando le Merengues stroncano gli uomini di Allegri sul ritmo e col possesso palla, inibendone ogni tentativo di ripartenza e ripartendo veloci a ogni pallone recuperato (il terzo gol, con l'anticipo di Modrić e la sua corsa in profondità a crossare per il solito Cristiano - abile nell'approfittare della paralisi di Chiellini -, fotografa e riassume alla perfezione una lunga fase di partita).

Certamente, il Real ha goduto di una certa fortuna - ingrediente che difficilmente gli viene a mancare, da quando è partito José Mourinho. Due gol che, sino a qualche anno fa, sarebbero stati chiaramente classificati come autoreti, due tiri 'viziati' da deviazioni decisive. Quello di Casemiro ha fatto saltare per aria la santabarbara. L'assetto difensivo (considerato dai più leggendario) della Juventus è collassato, e il match si è trasformato in un monologo madridista difficile da commentare. 

Luka Modrić
Naturalmente i media esaltano Cristiano Ronaldo e i suoi numeri, i suoi record in una carriera definita quasi implausibile (Daniel Taylor, The Guardian: vedi). Se però si volesse rinunciare ogni tanto al culto delle personalità e all'adorazione dei palloni d'oro, occorrerebbe ammettere che gli uomini decisivi, coloro che si sono impossessati del pallone e della partita, portano il nome di Modrić, Kroos, Isco, assecondati sulle corsie larghe da Marcelo e Carvajal. Il reparto di mezzo del Real ha schiacciato, soffocato, ridotto all'impotenza quello della Juve. Allegri non ha saputo opporre, a questo dominio, mosse efficaci e soprattutto tempestive. Le sostituzioni (una delle quali incomprensibile) sono arrivate a partita già virtualmente chiusa, appena incassato il terzo gol. E nulla hanno sortito, anzi. 

Difficile valutare ora quale sarà il peso della sconfitta sulla Juventus e sulle sue strategie immediate. La rosa ha un'età media altissima, la più alta tra i top-club europei. Fra l'altro, ieri sera in campo (al fischio d'inizio) c'erano otto giocatori assenti due anni fa a Berlino, cinque dei quali trentenni e ultra-trentenni. Non è bastato innestare esperienza e abitudine alla vittoria per sfatare il tabù. Prima o poi, è ovvio, la Juventus ce la farà ad alzare l'ambito trofeo. Accadrà, forse, nella più sorprendente delle stagioni e nella più strana delle partite. Quando nessuno ci scommetterà e i più avranno smesso di crederci.

Mans