24 marzo 2014

La misma historia de siempre

Cartoline di stagione: 33° turno 2013-14

L'orchestra blaugrana
La cartolina che arriva da Chamartín è in realtà un romanzo. Si può aggiungere: un capolavoro. E' mancato qualcosa? No. Come al solito, più del solito. Perché anche il risultato - in un match raramente avaro di emozioni - è inedito. In 258 sfide, non era mai capitato che il Barça vincesse 4:3 - due volte, invece, c'erano riusciti i Blancos, nel 1942 e nel 1959, siempre a Madrid.

Clásico indimenticabile. Settanta minuti - fino alla rottura dell'equilibrio, a causa di un calcio di rigore inesistente assegnato ai catalani - di apnea, all'alto grado di intensità agonistica che di questo confronto è ingrediente scontato. L'esegesi tattica è un azzardo, e può essere esercitata (ma è esercizio facile) solo per il ritaglio di partita disputato dal Barcellona in superiorità numerica. Quando, cioè, ha potuto impadronirsi del campo, costruire e gestire il risultato che cercava.
La sarabanda del primo tempo sfugge invece a qualsiasi tentativo di analisi. Si è giocato a ritmi infernali e (a memoria) senza precedenti; imposti soprattutto dal Real, al sempiterno scopo di impedire sgomitolamenti e narcotiche tessiture, ma questa volta provando a togliere immediatamente lo spartito dal leggìo. Così, dopo sei minuti di inesausto pressing a tutto campo, c'è la prima pausa di riflessione dei bianchi, e il Barça decide di ipnotizzarli. Cristiano si lamenta, è andato giù da solo in area invocando - come siempre - il penalty. Innervosisce i suoi, o semplicemente li distrae. Si riprende, c'è un contrasto sulla tre quarti ma il cuoio rimane tra i piedi di Busquets. E' qui che inizia la sinfonia, sono passati cinque minuti e sedici secondi dal fischio iniziale. Lezione di tiqui-taca (in un crescendo impressionante di fischi), i tocchi sono in totale ventiquattro, Messi è andato su e giù, è andato e tornato, il penultimo tocco è il suo, un taglio perfetto e profondo per Iniesta, che controlla di sinistro e di sinistro scaraventa all'incrocio. Come cicale spaventate, i madridisti sulle tribune tacciono, e da dietro il loro silenzio si alza l'urlo dei barcellonistas concentrati nell'apposito quadrante del Bernabéu. In poco meno di un interminabile minuto, l'universo del football ha potuto ripassare la forma e le ragioni di tutta una recente epopea blaugrana.

Benzema: spreca e poi vanamente rimedia
La furibonda reazione del Real si aggrappa alla propria maggiore possanza fisica e alla simmetrica leggerezza difensiva del Barça e alla sua discontinuità. Dopo venticinque minuti, Benzema ha disposto di sei palloni abbastanza comodi, e due li ha spediti in rete. Nel contempo, Messi ha ciabattato ingloriosamente il possibile raddoppio. Così il match è girato, e vorticosamente, ma rigira ancora quando Leo - intermittente e ispiratissimo - trova fessure nelle quali imbustare prima un assist per Neymar (che naturalmente cade appena ricevuto il pallone) e poi, sui rimpalli conseguenti, un rasoterra che imbocca l'unica traiettoria sgombra nell'area affollata. Segue una fase di scompiglio innescata dal solito Pepe: spintoni e quant'altro, ma l'arbitro ancora non è entrato nel vivo della rappresentazione. Come che sia: due a due, palla al centro, primo tempo in archivio.

La ripresa è meno scintillante, come ci si poteva attendere. La domina il ventitreesimo uomo in campo, Alberto Undiano Mallenco, male assistito dai suoi collaboratori. I suoi errori, catastrofici la loro parte, sono meno spettacolari di un'occasione gettata al vento, forse frutto di uno sfiancante andirivieni, anche lui ha corso e parecchio, sebbene nessuno lo tenga in conto o se ne accorga. Undiano Mallenco sarà considerato, alla fine della corrida, il bieco responsabile della sconfitta madridista. "La misma historia de sempre", sospira con un twit Arbeloa. Tutti sanno che Neymar decolla al minimo spostamento d'aria provocato dal movimento dei corpi, ma Undiano non se l'è ricordato; forse perché sapeva di avere appena donato un penalty a Cristiano, inciampato sui garretti di qualcuno fuori dall'area di rigore; e poco prima, il suo compare aveva tenuto bassa la bandierina quando Benzema è stato liberato da Bale - al termine di una progressione devastante - in posizione non problematica di off-side. Poteva essere il tre a due, ma il gatto era già sazio quanto basta. Quindi, come siempre, il 'fattore arbitrale' incide, ma non spiega. Ieri sera è parso incidere le sue sentenze in una bolgia di accadimenti casuali, senza fortuna. Bolgia che terremota o quasi la Liga, sicché il piano su cui pareva inclinata si è raddrizzato. Tre squadre in lizza, ma giocano su due tavoli. Il Real ha esaurito gli scontri diretti, senza vincerne uno solo. Alla 38ma c'è Barcelona-Atlético, a Camp Nou. Dio voglia che sia la sfida decisiva.

Mans
(Ri)vedi la partita in Cineteca

21 marzo 2014

Le solite note

Fettine di coppa: ultima tornata degli ottavi di finale 2013-14

19 marzo 2014, Old Trafford, Manchester
Lui sembra redivivo, la squadra non ancora, nonostante il risultato
Bilanci di coppa. Scontati, ahinoi. Alcuni germogli di novità che sembravano spuntare [vedi] hanno subìto una gelata nell'ultima tornata degli ottavi di finale. Dominati dai super-club favoriti. In Champions sono passate tutte le prime dei gironi, rendendo agonisticamente inutile il turno degli ottavi (ma così andando avanti i diritti televisivi, con partite talmente scontate, alla lunga si sviliranno). Accoppiamento ai quarti più interessante quello tra Chelsea e PSG. Ma ci torneremo sopra.

Il dato forse più significativo è invece osservare il percorso in Europa League delle otto squadre arrivate terze nei gironi autunnali della Champions. Due (Shakhtar e Viktoria Plzeň) si erano incontrate ai 16esimi, mentre tutte le altre a parte l'Ajax (sconfitto dal Salisburgo) erano approdate agli ottavi. Altre due (Napoli e Porto) si sono incrociate, e solo il Viktoria ha perso per piede del Lyon. Dunque ben quattro delle otto compagini che si disputeranno i quarti arrivano dalla Champions: Juventus, Benfica, Basilea e Porto. Il sorteggio odierno non le ha fatte incrociare ed è dunque possibile che approdino tutte in semifinale. Nella prima edizione (2010) erano giunte in finale una ex Champions (Atletico, poi vincitore) e una ex Europa (Fulham). Lo stesso nella seconda (2011), con l'ex Europa (il Porto) vincitrice sull'ex Champions (Braga). Nel 2012 finale tutta ex Europa (Atletico su Athletic Bilbao). L'anno scorso entrambe le finaliste provenivano dalla Champions (il Chelsea vincitore e il Benfica).

A ben guardare, arrivare secondi nei gironi di Champions significa fermarsi poi subito. Arrivare terzi consente di approdare a semifinali e finali di Europa. Campionati approdati ai quarti della Champions: Liga (3 squadre), Bundesliga e Premier (2 squadre), Ligue 1 (una squadra). Campionati approdati ai quarti della Europa League: Liga e Portuguese Liga (2 squadre), Ligue 1, Serie A, Eredivisie e Super League svizzera (una squadra). Domina, come da anni, il calcio spagnolo, che vive lo stato di grazia di un paio di generazioni di campioni: come era accaduto al calcio inglese tra fine anni 1970s e l'Heysel, e a quello italiano negli anni 1990s. La qualificazione sofferta del Manchester United sui greci evita il naufragio al football britannico. Il nostro calcio è invece ormai al livello di quello olandese e svizzero. Con la differenza che, almeno il primo, è più piacevole e spettacolare. La provincia mediatica non se ne è accorta: ma ormai sia il calcio portoghese sia quello francese ci hanno sorpassato. A cominciare dalla serietà con cui si battono da anni nelle competizioni europee.

20 marzo 2014, Stadio "Artemio Franchi", Firenze
Il 42° sigillo
Il Napoli paga infatti la nemesi di De Laurentiis: dopo aver snobbato per anni l'Europa League, raccattando figuracce, ha pagato il misero ranking così acquisito finendo in un girone di Champions di ferro, ed è stato "punito" da Eupalla che gli ha messo di fronte, in Europa, una squadra di maggiore blasone europeo come il Porto. Auguriamoci che abbia capito la lezione. L'unico dato confortante riguarda la Juventus: nonostante le mezze parole e i sussurri della vigilia, che sembravano voler preferire il terzo scudetto (dei poveri) alla coppa europea, la società ha spinto Conte e i giocatori a passare il turno. A questo punto la squadra è "costretta" ad arrivare in finale, visto anche lo stadio dove si disputerà. E' un'occasione unica. Che "deve" cogliere.

La storia recente dell'Europa League è infatti sconfortante per il nostro calcio. Italiane ai quarti nel 2010, 2011 e 2012? Nessuna. Solo la Lazio lo scorso anno. Ultima italiana in semifinale? La Fiorentina eliminata dai Rangers ai rigori nel 2008 in UEFA. Prima ancora solo il Parma nel 2005 (anch'essa eliminata, dal CSKA), la Lazio nel 2003 (eliminata dal Porto di José Mourinho), il Milan (eliminato dal Borussia) e l'Inter (dal Feyenoord) nel 2002. Ultima italiana finalista? Quindici anni fa: il Parma di Tanzi allenato da Malesani (sic!), poi vincitore sul Marsiglia: in campo Buffon, Thuram, Sensini, Cannavaro, Veron e Crespo, tra gli altri. Una caratura analoga alla Juventus attuale: Buffon, Pirlo, Tevez, Llorente, Vidal, Pogba. Vedremo.

Azor

18 marzo 2014

Quando il faro si spegne

Cartoline di stagione: 32° turno 2013-14

16 marzo 2014, Villa Park, Birmingham
Il tacco di Fabian Delph che uccella Petr Čech
La più parte dei campionati ha già emesso il verdetto sull'esito finale: la Bundesliga addirittura dall'autunno, la Serie A dalla Befana, la Ligue 1 poco dopo. Per restare ai maggiori: la Liga sta protraendo ancora per poco l'incertezza, che sarà probabilmente risolta domenica prossima col clásico al Bernabeu; solo la Premier appare apertissima a molte soluzioni. Why?

Se guardiamo il palmarès da quando è sorta (1993: l'attuale è la 22esima edizione), emerge un dato impressionante: il Manchester United, guidato da sir Alex, è sempre - ripeto: sempre - arrivato tra i primi tre: 13 volte primo, 5 volte secondo, 3 volte terzo, mai peggio. Quest'anno invece il faro del campionato si è spento. Improvvisamente liberato dalla sua forza dominante, impazza l'equilibrio tra squadre tutte gravate da limiti evidenti. Di personalità: sia l'Arsenal sia il City, zeppe entrambe di stelline e castroni, con qualche ottimo giocatore e rari campioni. Di esperienza: il Liverpool, trascinato dal furore dei suoi giovani e da un campione come Suarez. Di qualità: il Chelsea, privo ormai di attaccanti di valore (al di là dei nomi), ricco di trequartisti sopravvalutati (a parte Hazard) e solido solo dietro.

La cartolina del turno giunge infatti dal Villa Park, dove l'Aston Villa si è preso una rivincita sugli errori arbitrali che lo avevano affondato a Stamford Bridge a inizio stagione [vedi], e ha castigato con merito un Chelsea incapace di rendersi realmente pericoloso. E' la quarta sconfitta per i Blues: le altre tre contendenti hanno già perso 5 volte. Il Bayern non ha mai perso, la Juventus una volta sola, il Real e il PSG solo due volte.

Ora comincia l'ultimo chilometro: al Chelsea mancano solo 8 partite. Alla media attuale significano 17/18 punti. Il City caracolla allo stesso passo, le altre un po' sotto. Mi sbilancio: vincerà il Chelsea, perché alla fine potrebbe contare l'allenatore. E JM è un generale che sguazza nella bolgia e sa usare i gomiti larghi. Vedarèm.

Azor

17 marzo 2014

El Pibe de Oro, Vol. 2

24 agosto 2005, Camp Nou.
Messi al Gamper: "Show me the money"
Brusca interruzione nella trattativa per il rinnovamento del contratto di Leo Messi. La discussione verte soprattutto sullo stipendio fisso: l'insignificante differenza tra le parti è di un lordo di 45 milioni di euro, nove per ognuna delle prossime cinque stagioni. A ciò vanno sommate le resistenze della dirigenza su una serie di premi e variabili, sui diritti dʼimmagine – il calciatore esige conservarne la totalità – e gli sponsor: principale vulnus pare essere l'ovvia idiosincrasia tra uno degli sponsor personali del giocatore, Turkish Airlines, con Qatar Airways, massimo patrocinatore del Barça.

2 febbraio 2013: Sandro Rosell e Leo Messi, l'ultima firma
La richiesta di un nuovo upgrade non è una novità nel sodalizio tra la Pulga e il Fútbol Club Barcelona. Il contratto, dal debutto da professionista di Lionel Andrés Messi Cuccittini nel club, è stato rivisto già sei volte: la prima nel giugno 2005, dopo aver vinto il Mondiale Under 20 con l'Argentina, ma soli tre mesi più tardi, la scintillante esibizione nel Trofeo Gamper contro la Juve è una motivazione più che sufficiente per reclamare un primo aumento. A gennaio del 2007 firma fino al 2014 (per 8,5 milioni all'anno, con una clausola rescissoria di 150); l'anno dopo, la partenza di Ronaldinho è l'occasione ideale che gli consente di forzare ancora la mano e strappare un consistente ritocco ai quadri culé, intimoriti da una possibile fuga verso nuovi capitali. Altra firma nel settembre del 2009 (aggiornamento a 11 milioni all'anno e clausola di 250), con rinnovo fino al 2016, fino all'ultimo perfezionamento del febbraio 2013, con estensione dell'accordo sino a giugno 2018. 

L'estate scorsa qualcosa si è incrinato. Il ricco e torbido contratto di Neymar ha smosso le acque nel milionario spogliatoio blaugrana e – ça va sans dire – nel famelico appetito del '10'. In un primo momento, il procuratore era stato ammansito dalle promesse dell'allora presidente Rosell, le cui dimissioni (per il caso delle presunte irregolarità nell'acquisto del cartellino dell'astro nascente brasiliano) hanno posticipato la negoziazione. Non a lungo, però: pochi giorni dopo l'insediamento il nuovo presi Bartomeu (gennaio 2013), consapevole dell'impellente priorità della questione, comincia a trattare con l'entourage di Leo, che fa prontamente recapitare le proprie esose richieste affinché gli spettatori del Camp Nou possano continuare a godere dello spettacolo messian(ic)o. 

Neymar e Messi: equilibri complicati, in campo e fuori
In forcing sul Barça agisce il degno rappresentante del campione, il padre Jorge Horacio, recentemente reo confesso di una frode ai danni del fisco di 4,1 milioni, perpetrata attraverso la cessione dei diritti di immagine di Leo a imprese fantasma in paradisi fiscali. Un raggiro realizzato – a suo dire – all'insaputa del figlio (ventisettenne), che ha pagato unʼammenda e confermato la versione paterna davanti al giudice, asserendo candidamente: "De la plata (denaro, ndr) se ocupa mi papá".Sull'altro versante, il vicepresidente economico del Barça, Javier Faus, dichiara di non comprendere perché il suo club debba ritoccare il contratto di Messi ogni sei mesi. Dietro l'angolo delle trattative il PSG, sornione, vigila.

Duca

14 marzo 2014

Naufragi e germogli

Fettine di coppa: ottavi di finale 2013-14

Turno settimanale europeo con 12 partite, nessuna memorabile. Alcune belle prestazioni: del Barcellona, che a fiammate antiche incenerisce per la seconda volta il City, troppo rinunciatario, quasi impaurito; dell'Atletico, che schianta sul ritmo un Milan cui infligge una lezione di "applicazione" al gioco europeo (forse l'umiliazione più grande per chi ha dominato la scena per vent'anni); del Benfica, che espugna il White Hart Lane con una prestazione di grande autorevolezza; della Fiorentina, che gioca alla pari con la Juve e che giustamente impatta con il suo ritrovato goleador; del Betis, che vince a sorpresa al "Sánchez-Pizjuán" il derby sivigliano; e del Valencia, che a Sofia segna tre reti come Lazio, ma non ne subisce alcuna.

13 marzo 2014, Juventus Stadium, Torino
Il ritorno di un campione: Mario saccheggia la retroguardia bianconera
Nessuna sorpresa. La sconfitta del Napoli ci può stare contro una squadra dal palmarés incomparabile e da un passato europeo recente di livello superiore. Anche il pari dell'Arsenal a Monaco non giunge inaspettato. Sotto questa apparente "normalità" agonistica si profilano invece due possibili naufragi. Quello delle squadre della Premier e quello delle squadre della nostra Serie A.

La prima aveva già perso per strada due squadre (Swansea e Wigan), ne ha perse altre due in settimana (Arsenal e City), e rischia di perderne un'altra coppia la prossima (Tottenham e United): è possibile che approdi ai quarti solo il Chelsea. La seconda aveva già perso per strada l'Udinese e la Lazio, vi ha aggiunto il Milan, sicuramente perderà una tra Juventus e Fiorentina, e rischia di perdere anche il Napoli: al momento è qualificanda ai quarti solo la Fiorentina. Sommate, fanno una decimazione: della seconda e della quarta nazione, rispettivamente, nel ranking UEFA.

Va detto che le differenze sono significative: le inglesi sono state decimate in Champions, le italiane in Europa League. A mettere fuori Arsenal e City sono state Bayern e Barça; la Lazio è stata estromessa dal Ludogorets. Se la crisi del calcio italiano è ormai conclamata - non la vedono solo i suoi dirigenti e il provincialismo della stampa e della tifoseria - più complessa, ed interessante, è invece la crisi delle squadre britanniche. Se la Liga porta ai quarti di finale ben 5 squadre su 16, la Premier vi approda con un solo club. Divario su cui riflettere. Certo, la Spagna conosce il periodo più felice della sua storia calcistica, con un paio di generazioni di grandi giocatori, che hanno vinto tutto e che minacciano di continuare a vincere, magari anche in Brasile a luglio prossimo. E, altrettanto certo, l'Inghilterra attraversa un altro dei suoi modesti momenti quanto a qualità dei suoi giocatori. Ma è forse la Premier a non essere più così competitiva, nonostante il fascino e l'attrazione globale che continua a suscitare: l'Arsenal ne è l'emblema, con un modesto allenatore sopravvalutato, capace di un gioco gradevole ma incapace di vincere nelle occasioni decisive.

Sembra essere invece il momento di alcune "periferie", frammentate e disparate. Di un Olympiacos più spagnoleggiante che greco. Di un PSG in continua crescita, anche di autostima. Di un Salisburgo mina vagante dell'Europa League. Di un Portogallo che risponde sempre presente con le sue due squadre di vertice. Non è un'annata, come spesso si dice affrettatamente, di "transizione". E' un annata con qualche germoglio che speriamo non sfiorisca presto all'ombra dei Super Club.

Azor

10 marzo 2014

Le scene del football

Cartoline di stagione: 31° turno 2013-14

Opere d'arte, scuola italiana
Un week-end ricco di colpi di scena, in Serie A. Per esempio: il Milan sconfitto a Udine. Chi poteva immaginarlo? Del resto, il professor Seedorf ha lasciato a riposo i fuoriclasse, onde poterli schierare martedì sera al Calderon. Tenuti al guinzaglio, resi cattivi e affamati di gloria, sicuramente faranno saltare il banco. Un'altra, enorme sorpresa è costituita dalla Fiorentina. Senza nemmeno giocare a pallone, la Juventus è riuscita a batterla. Chi se lo poteva aspettare? E perché indugiare su quegli striscioni ("meno 39! Heysel!") esposti dai followers dei viola? Sono solo innocenti evasioni. Nel pomeriggio, tuttavia, molti sono rimasti a bocca aperta quando hanno saputo che l'Inter ce l'ha fatta a espugnare il Meazza. Trattar bene gli avversari porta sfortuna ai medesimi: purtroppo nessuno striscione inneggiante allo schianto di Superga ha rallegrato gli spettatori. Noia infinita, interrotta dal gol di uno spelacchiato argentino che gioca nell'Inter (e dove, se no?). In serata, infine, c'era il derby del Sud per antonomasia: Napoli-Roma. A un certo punto, Higuain è stato fermato: fuorigioco! Sembrava, ma è anche vero che ha ricevuto il pallone da rimessa laterale, e dunque (per regolamento) la sua posizione non era irregolare. Proteste e discussioni. Gioco fermo per cinque minuti. Spettacolo!

Smarrimenti
Parlando invece e finalmente di football, va detto che il Barça ha collezionato la seconda sconfitta esterna consecutiva. E' riuscito nell'impresa di sbracare a casa della terz'ultima in classifica. A Valladolid. Uno a zero, disponendo di un'ora di gioco per ribaltare situazione e avversari (come sarebbe accaduto due o tre anni fa). Irriconoscibile Messi, broccheggiante Neymar. Fuori Xavi, fuori anche Iniesta. Forse i catalani vogliono regalare la Liga a Carletto, cosa che lui accetterebbe di buon grado. La discontinuità della Pulce - perdurante - è comprensibile. E' ancora giovane, e ha già ottenuto dal pallone tutto o quasi ciò che gli si può chiedere. Mancherebbe solo un titolo mondiale con l'Argentina. Ma è difficile pensare che tocchi a lui riportare l'Albiceleste dove l'aveva lasciata il Diego. Troppo diverso il suo modo di 'sentirsi' argentino. Non sembra certo avere dentro di sé l'inferno di Maradona, capace di incendiare un'intera compagnia di mestieranti e trascinarli di rabbia in paradiso. Messi è cresciuto nell'ovattato ambiente blaugrana, curato e vezzeggiato. A vederlo apparire e scomparire sul prato, sembra assalito dalla noia di vivere. Il tempo chiarirà.

Parlando di storia del football, essa fa puntualmente capolino nei santuari inglesi. Quarti di finale di FA Cup. Come al solito imprevedibili. Degli squadroni, on the road to Wembley rimane solo l'Arsenal. Il Wigan detentore, dopo un avvio di stagione vissuto nei postumi della sbronza (vincere la coppa e - nel contempo - precipitare nella Championship significa vivere intensamente), pareva ed era in chiara ripresa. Ha nel mirino i play-off che potrebbero riportarlo nella Premier; il City gli dice bene, e ieri ha replicato lo scherzetto di maggio. Stavolta passando a Manchester. Sono cose che capitano non di rado, in quel torneo. E' il suo fascino. Così come di grande fascino è l'approdo alle semifinali dello Sheffield United, guidato da Nigel, figlio di Brian Clough. Lo stadio nel quale da più tempo si gioca a calcio nel mondo - Bramall Lane [card] -, e che normalmente ospita matches di League One (campionato nel quale i Blades non brillano, anzi), ieri è tornato a vibrare come non accadeva da secoli. Emozioni. Che il nostro calcio non regala più.

Mans

6 marzo 2014

L'imbarazzante divario

5 marzo 2014, Estadio Vicente Calderón, Madrid
Pedro ha appena segnato l'unico gol della serata.
Tutti gli azzurri lo ignorano:  disinteressati o depressi?
Pur senza posta in palio, e stretta fra gli impegni agonistici dei club nella fase quasi decisiva della stagione, Spagna-Italia si è giocata - nello stadio dell'Atletico, a Madrid -, ed è una sfida che merita sempre di essere commentata. D'altra parte, i risultati dicono che si tratta, al momento, delle due nazioni dominanti nel calcio continentale: Spagna-Italia fu la finale di Euro 2012, e Spagna-Italia è stata la finale dell'europeo under 21 nel 2013. Un complessivo otto a due dà la misura della distanza che c'era tra noi e loro, e che assolutamente non c'è tra noi e chi, a quelle due finali, non è arrivato. Ieri sera la nazionale italiana è stata sconfitta ancora una volta: di misura se si bada al tabellino, nettamente se si bada al gioco. Nettamente: cioè chiaramente, inequivocabilmente, e aggiungerei inevitabilmente.

Inevitabile, la sconfitta era temuta da Prandelli alla vigilia - probabile temesse uno score più evidente -, ma solo a match concluso si è capito quale fosse la sua principale preoccupazione. Nei due giorni in cui è potuto stare insieme ai giocatori, nelle due sedute di allenamento che ha potuto dirigere, Cesare ha registrato un palese deficit di condizione. La differente brillantezza atletica tra i nostri e gli spagnoli è risultata - ha detto davanti alle telecamere - "imbarazzante". I giornalisti della RAI, rinunciando a fare il proprio mestiere, hanno dissimulato il proprio stupore e non gli hanno domandato quali fossero i motivi di questo inatteso handicap. Sì: inatteso, perché le stagioni sono allineate e il numero di partite giocate dai nostri e dai loro è su per giù lo stesso.

Quel che forse Cesare non avrebbe detto, ciò che forse nessuno voleva ascoltare, è probabilmente questo: il campionato italiano si gioca a ritmi tali (cioè così bassi) che i giocatori (sottinteso: i giocatori migliori) non riescono a raggiungere una 'forma' e una capacità di corsa (intesa come velocità e resistenza) tali da metterli in grado di competere atleticamente con i colleghi dei campionati continentali più importanti. Non è colpa delle tabelle e delle modalità di training messe a punto da allenatori e preparatori dei club (anche pensandolo, converrebbe non dirlo: inizierebbe una guerra di cui non si avverte alcun bisogno); è 'colpa' della mediocrità del nostro movimento. La Juventus domina la Serie A da tre anni, ma fatica a dare un uguale senso di superiorità quando ha di fronte XI non certo di élite, come il Copenaghen e - in certa misura - il Galatasaray. Quindi, se è così, Prandelli vorrebbe dirci e farci sapere che, finora, lui ha fatto miracoli, ma non è detto che continuerà a farli.

Gabriel Paletta: per il Brasile, la sua valigia è già pronta
Giocando contro la Spagna, un certo divario tecnico va messo nel conto in partenza, e non sorprende
nessuno. Al Calderon, l'Italia ha contenuto a fatica, ha sprecato energie in un pressing mai davvero aggressivo, ha lavorato malissimo tre palloni su quattro in fase di costruzione. Ha tenuto al centro della difesa grazie alla presenza di un oriundo concentratissimo e voglioso, Gabriel Paletta, che - se ieri sera ha esibito le sue capacità 'normali' - dalla formazione di partenza non dovrebbe uscire mai più. Grazie alle sue chiusure, frutto di tempismo e senso della posizione, il temuto Diego Costa non ha visto palla o quasi, e non ha comunque mai concluso con pericolosità. Prandelli ha trovato l'uomo che gli consentirebbe di tenere Bonucci in panchina o (come sarebbe auspicabile, non fosse per l'assoluta penuria di gente affidabile in quel ruolo) addirittura a casa. E' questa l'unica notizia positiva di una serata altrimenti nerissima, che alimenta ben poche speranze e nessun entusiasmo. Senza la regia di Andrea Pirlo, il nostro gioco si arena immediatamente, vive di sprazzi individuali, di improvvisazione: ma non c'è nei singoli la qualità che un tempo consentiva di subire e contrattacare velenosamente. Cesare, poi, dev'essere ancora in alto mare per quel che riguarda la scelta dei due esterni d'attacco, che lui vorrebbe disposti al sacrificio della difesa oltre che alle scorribande offensive. Cerci è potenzialmente devastante in contropiede, ma non può sfiancarsi su tutta la fascia; Candreva sta tornando ai livelli di mediocrità che ben si conoscevano prima della Confederations Cup. Non è facile individuare alternative migliori. Tra i difensori esterni, l'unico che sembra di possibile levatura internazionale è De Sciglio; il che significa che abbiamo almeno due 'maglie' scoperte o quasi, cui vanno aggiunte l'imprevedibilità (nel bene e nel male) del centravanti (ormai pare chiaro che sarà Balotelli, con Osvaldo primo rimpiazzo), l'incompiutezza (ormai definitiva) di Montolivo e quella (involutiva) di Marchisio, e la lentezza complessiva dei centrocampisti. Un quadro forse non desolante, ma molto - molto - preoccupante.

Turbamenti
Prandelli dovrà avere la fortuna di indovinare la rosa - cioè di non portare in Brasile gente alla canna del gas; dovrà azzeccare la preparazione, tenendo conto dei climi e degli avversari che troveremo (già alla prima partita ...) da quelle parti; dovrà (e dovremo con lui) sperare che (come spesso è accaduto) vi sia la fioritura estemporanea e irresistibile di un Paolo Rossi o di un Salvatore Schillaci; dovrà probabilmente accantonare - in nome del risultato - le linee-guida del suo progetto originario, basato su gioco, palleggio, padronanza della partita. L'impressione è che la 'sua' nazionale abbia dato il meglio due anni fa, raggiungendo una più che insperata finale, e che da allora (nonostante la facile qualificazione al mondiale) non vi siano più stati progressi. Né, d'altra parte, i giovani migliori sembrano già (ammesso siano destinati a diventarlo) della caratura necessaria per incantare gli scettici e sorprendere gli avversari. Insomma, possiamo soprattutto confidare nella tradizione: in fondo, non 'toppiamo' due mondiali di seguito dalla lontanissima Coppa Rimet del 1966. Con una (forse solo apparente) aggravante: oggi, a differenza di allora, i nostri club non dominano la scena europea ...

Mans