15 maggio 2015

Il Gestore e i santoni scornacchiati

Fettine di coppa: ritorno delle semifinali (CL e EL)

Uno parla parla, e chissà se lo ascoltano davvero.
L'altro perde pixel e ha il sopracciglio abbassato
"Tutto mi sarei aspettato fuorché di vedere Niccolai in mondovisione”, disse un giorno Manlio Scopigno quando seppe che il suo leggendario stopper sarebbe volato in Messico con la nazionale italiana per giocarvi la Coppa del mondo. Tutto mi sarei aspettato fuorché di vedere Allegri arrivare a una finale di Champions League, pensavo l'altra sera, al triplice fischio di Real-Juventus. Già. Mentre Carletto chiude il suo biennio a Madrid tra i fischi e i fazzoletti del Bernabéu, Maximilano vede proiettata la propria carriera in una dimensione superiore (e di parecchio) a quella che si riteneva possibile per lui. "La Juve di Madrid ha incarnato diverse epoche del pallone italico. Resistente e chiusa come nei bunker trapattoniani degli anni Settanta, rapida e cinica come nei ruggenti Ottanta e insieme moderna nei cambi di modulo (difesa prima a 4, poi a 5, con trequartista e senza) secondo i dettami di Allegri, arrivato davvero oltre Conte e di parecchio. Mentre l'assatanato Antonio era tutto pancia e istinto, talvolta scomposto, il suo successore ha insegnato alla squadra a ragionare, a non avere fretta e a cambiarsi d'abito come Arturo Brachetti, mica per niente un torinese. E la Juve trasformista è davvero una grande maestra di arte varia" (Maurizio Crosetti, La Repubblica: vedi). Sarà. Qui a Milano lo abbiamo visto per anni al lavoro, e continuiamo ad essere scettici. Ora, saggiamente scelto dalla dirigenza juventina dopo l'addio di Conte, ha gestito, amministrato pragmaticamente un undici che non aveva certo bisogno di imparare a stare diversamente in campo; un gruppo bisognoso di relax agonistico, di 'conservazione' e non di 'rivoluzione'. Gente che domina la Serie A giocando la maggior parte delle partite in totale souplesse. Del resto, Allegri ha mostrato difficoltà palesi quando ha dovuto costruire (al Milan, nel secondo e nel terzo anno), meno quando ha potuto gestire (sempre al Milan, il primo anno). Sta applicando alla Juve più o meno lo stesso metodo che adoperò Fabio Capello subentrando a Sacchi sulla panca rossonera. Con intelligenza e furbizia mediatica, non c'è alcun dubbio. Tra gli allenatori, vi è chi ama seminare, chi preferisce specializzarsi nel raccogliere risultati, chi riesce a combinare le due fasi: Allegri sembra ben avviato a essere un campione del secondo tipo.

E comunque sia, va tributato un grande applauso alla Juventus e ai suoi campioni. Grandissimi e grandi e ai loro ultimi giri, come Buffon e Pirlo, Tevez ed Evra; quelli che grandissimi e grandi certamente saranno, come Pogba e Morata, destinati o meno a vivere in bianconero la loro crescita calcistica; e quelli di valore medio-alto (Marchisio, Vidal) e medio (Chiellini, Bonucci, Lichtsteiner). Ci hanno regalato la prospettiva di una serata impreventivabile; una finale, a Berlino, e contro il Barça, er mejo fico der bigonzo. Già sento i giornalisti-opinionisti-ultras antijuventini blaterare sull'esito tennistico della sfida. Mah. Se i catalani ci arriveranno dopo aver coltivato sicumera di vittoria e pensando di dover usare il pallottoliere, faranno la stessa fine del dream team di Cruijff, nel '94, ad Atene. Chi ha buona memoria, sa come andò.

La tenuta da gioco ricorda parecchio quella indossata dall'Italia
nella semifinale mondiale del 2006 [rivedi]

Dunque e in definitiva, le semifinali delle due coppe hanno assai ridimensionato il ruolo taumaturgico di certi allenatori, vincenti per definizione, visionari per vocazione, specialisti di coppa per tradizione. Si è visto il Pep - privo della classe di Robben e Ribery nonché della devastante potenza di Alaba - capace di fare solo un po' di solletico ai suoi ex allievi - sì, ha vinto all'Allianz, ma partendo da un complessivo uno a cinque, quando i catalani hanno iniziato a pensare ad altro attendendo il novantesimo. E Carletto - cui Perez ha sottratto Alonso e Di Maria per far cassa, spendendo i ricavi per James Rodriguez -, senza centrocampisti di ruolo, senza mediani e uno straccio di interditore, e soprattutto senza il signor Modric (un fuoriclasse) a dettare il ritmo, non ha estratto dal cilindro alcun coniglio a sorpresa. Nudo alla meta, Gareth Bale ha mostrato limiti tecnici inaccettabili per uno valutato cento milioni di euro nel folle mercato di questi tempi. E Benitez? Benitez è specializzato nel toppare i primi tempi, rattoppandoli nei secondi (esempio fulgido: la finale di Istanbul); ma nel pantano di Kiev i ronzinoni del Dnipro hanno praticato un calcio di totale ostruzione cui lui (Benitez) non ha trovato rimedi. Si è salvato, dunque, il solo Emery. Ma è stato molto aiutato dalla Viola, che in due partite ha buttato nella spazzatura una quantità impressionante di palloni da gol.

Così, alla fine, avremo le due finali meno pronosticate. Del resto, stiamo parlando di football, e  proprio questo è il suo bello.

Mans

11 maggio 2015

Milano s'è desta ...

Cartoline di stagione: terz'ultimo turno 2014-15

"Sono il Profeta, ma pur sempre un uomo, mosso dall'orgoglio 
e dalla passione. Mi sentivo ferito"
Si era mai visto in stagione Anderson Hernanes de Carvalho Viana Lima ('il Profeta') dannarsi l'anima in campo, scattare in profondità a dettare il passaggio, andare a contrasto, provare per un giorno (almeno uno) a dimostrare che i soldi spesi per ingaggiarlo non sono da considerare del tutto buttati via? No, non si era mai visto. E allora perché tutto questo accanirsi contro la sua ex-squadra? Ah beh, certo, c'erano tre punti importantissimi in palio per l'Inter, la rincorsa all'Europa non poteva certamente contemplare una fermata all'Olimpico. E invece no. Hernanes scattava in profondità, dettava passaggi, si dannava l'anima in campo, portava contrasti e - in definitiva - segnava una doppietta solo per fare un dispetto a Claudius Lotitus, che aveva parlato 'male' di lui. Queste sono le motivazioni di un calciatore professionista. Che le rende note nelle interviste del post-partita.

Ciò detto, va rilevata l'incredibile, controtendente, impronosticabile doppia vittoria delle milanesi sulle romane. Basti dire che i bookmakers quotavano l'evento simultaneo (mediamente) intorno al 16/1: chi ha provato la puntata, s'è trovato il portafoglio improvvisamente gonfio e felice.


All'Olimpico la partita è stata strana; le sole cose normali sono arrivate da Poldo, che s'è mangiato tre gol in pochi minuti (com'è noto, lui si divora i gol importanti, ma è spietato quando si tratta di mettere a referto palloni superflui). Una partita che la Lazio ha buttato nella spazzatura, senza nemmeno capire perché. Al Meazza, con una maglia finalmente riconoscibile e i calzoncini neri, privo sediovuole e per squalifica del suo peggior giocatore (Zizou Menez), il Milan ha reso evidenti le magagne strutturali della Roma, messa sotto con una prestazione appena al di sopra di una ideale linea di decenza calcistica. Quella linea che rarissimamente, in questi mesi, i rossoneri erano riusciti a varcare.

Troppo tardi, forse non per l'Inter se ha davvero voglia di iniziare la stagione a luglio con i preliminari di Europa League. Il futuro del Milan è tutto da scrivere, immerso com'è in quotidiani polveroni mediatici - entro i quali ciascun osservatore di professione presume di saper vedere chiaro (ieri mi è capitato persino di orecchiare che Mr. Taechaubol porterebbe Guardiola e Messi: mah!); quello dell'Inter in acrobazie di bilancio, tra debito consolidato e misure UEFA, con Mancini come unica certezza. 

Così, la Serie A imbandisce ormai partite per lo più 'pazze', imprevedibili. Saldi di fine stagione. Ben maggiori emozioni sarebbero state in cartellone nel prossimo week-end, con la sfida incrociata tra i club di Madrid e Barcellona, e il Barça atteso al Manzanarre. Poteva essere teoricamente l'ultimo ostacolo, ma il Real ha mal digerito la paella valenciana servita al Bernabéu, e così ora ai catalani basterà vincere l'ultima a Camp Nou con il derelitto Deportivo, in odore di Liga Adelante. Un odore di 'triplete', invece, si spande sempre più chiaro per le strade di Barcelona. Sarà solo un'allucinazione olfattiva?

Mans

7 maggio 2015

Magnificat

Fettine di coppa: semifinale di CL 2014-15

Partita magnifica. Poche altre volte credo di aver visto giocare due squadre ai ritmi e all'intensità mostrati dal Barcellona e dal Bayern ieri sera. Senza pause, ribattendo colpo su colpo, alla costante ricerca del pallone. Uno spettacolo straordinario. L'attenzione mediatica e dei nesci si concentra sui diamanti gettati loro in pasto dal fuoriclasse di questa epoca. Ma è stata l'intera partita uno spettacolo continuo.

Magnificat anima mea Dominum ...
Un dato statistico ne rivela la natura: 59 dribbling (47 Barça, 12 Bayern) - contro i 27 di Juve-Real (una partita gradevole ma come tante altre) - di cui 14 del solo Messi. Dribbling game non vs passing game, ma dribbling innestati sui passaggi: 556 il Bayern, 448 il Barça. Dati inferiori rispetto alla media stagionale in CL, rispettivamente di 676 e 669 (e ai 457 delle altre squadre comuni mortali), che mostrano l'intensità del pressing reciproco. Certe fasi di gioco sono state vertiginose, al limite delle possibilità tecniche di controllo della palla e dell'applicazione tattica nella intercettazione delle linee di passaggio. Pochissimi i falli che etichettiamo come "tattici", a testimonianza che le squadre erano sempre molto strette nelle linee.

La meraviglia tattica è stata quella mostrata inizialmente da Guardiola: giocare col vecchio "sistema", con tre difensori a uomo sui Tre Tenori. Una raffinatezza vintage, di cui si comprende l'intento, vale a dire provare a giocare sugli anticipi, ma anche il rischio enorme, come ha mostrato la prima occasione di Suarez estintasi sulla gamba in uscita di Neuer. Il prudenziale ritorno a 4 della linea di difesa dopo 15 minuti ha "normalizzato" il gioco, riportandolo all'assetto tattico a zona prevalente in questo secolo: 4-3-3 il Barça, 4-3-1-2, con Thiago Alcántara e Schweinsteiger (per la scarsa ispirazione del primo in questa serata) ad alternarsi dietro le due punte, per il Bayern.

Al Bayern sono certamente mancati Ribery, Robben e Alaba, come ha mostrato la difficoltà di sviluppare azioni veloci e fraseggio nella trequarti avversaria: solo 8 alla fine le occasioni da gol (e nessuna nello specchio di porta), contro una media stagionale di oltre 17. Il Barça ha invece potuto far valere la differenza del suo fuoriclasse epocale, mandando all'aria ogni tavolo tattico in tre minuti: un uno-due che rimarrà nella storia. Senza esagerazioni. Lampi accecanti di rivelazione divina. Ma innestati - ed è questo che rende memorabile il match - su una partita giocata costantemente all'attacco da entrambe le squadre. Con linee altissime, che in certi momenti hanno rievocato alla memoria i movimenti dell'Olanda 1970s o del Belgio di Guy Thys anni 1980s.

Guardiola ha cercato di giocarsela, nonostante le assenze e cercando di fronteggiare uno stato di forma non smagliante. Già lo scorso anno era uscito sconfitto in semifinale al Bernabeu (0:4). Lo 0:3 del Camp Nou è sicuramente eccessivo, ma è evidente che la maestria tattica, le conoscenze e l'esperienza del Pep non riescono a fare aggio sulla rosa e sull'ambiente bavarese a queste latitudini continentali. Luis Enrique esce invece trionfatore da questo ennesimo passaggio di stagione. La sua capacità di dare equilibrio a una squadra con tre bocche da fuoco che non hanno paragoni nella storia è confermata dalla solidità difensiva: è una squadra che subisce pochissimi gol, prima ancora che una squadra senza paragoni in fase offensiva.

La perla nascosta della partita: l'assist al volo di Iniesta che ha liberato Dani Alves davanti a Neuer alla fine del primo tempo. Da rivedere altrettante volte della serpentina di Messi tra Boateng e Neuer. Che serata indimenticabile! Sempre sia lodata Eupalla!

Azor

5 maggio 2015

Montagne russe

Oje vita mia

Edenlandia è stato il parco dei divertimenti di varie generazioni di napoletani, una delle primissime strutture del genere in Italia, adiacente alla Mostra d'Oltremare e a poca distanza dallo Stadio San Paolo. Tra le sue attrazioni, ve n'era una che i miei genitori mi hanno vietato per anni, sino a quando non ebbi un'età secondo loro adeguata per utilizzarla: le montagne russe, che effettivamente erano antiquate, con un circuito brevissimo e che davano un'impressione di scarsa sicurezza a differenza di tante altre che nel frattempo erano state costruite [vedi].

Le sensazioni che il Napoli ci sta regalando in quest'anno calcistico sono simili a quella giostra, tra partenza lenta, impennate vertiginose e discese spaventose, continuamente in bilico e a rischio; ritmo che si è confermato tale anche nell'ultimo, intenso periodo, quando si era giunti a pochi punti dal secondo posto occupato dalla Roma e si è inanellata una serie preoccupante di risultati insoddisfacenti che hanno addirittura, per un turno, catapultato la squadra al sesto posto mettendo a rischio persino la qualificazione all'Europa League del prossimo anno.

Insigne, contro la Sampdoria, torna titolare al San Paolo
dopo 4 mesi di infortunio indossando la fascia di capitano
e trova il gol col tiro a giro dopo svariati mesi: lacrime giustificate.

La sconfitta inflitta dalla Roma in campionato e la successiva eliminazione in Coppa Italia ad opera della Lazio sembravano il punto più basso di quest'ultimo periodo, pur avendo giocato contro i due sodalizi romani ottime partite. Successivamente si è passeggiato sulla Fiorentina, col povero Cagliari aggredito dai propri tifosi e con la Sampdoria in campionato, inframezzando uno spettacolare 4 a 1 alla Volkswagen-Arena e un successivo 2 a 2 al San Paolo contro il VfL Wolsburg in Europa League, squadra che sembrava predestinata a giocarsi la vittoria finale insieme con il Sevilla FC. Questa straordinaria serie di partite, giocate bene, ricche di goal, hanno anche mostrato uno stato di forma eccezionale di alcuni giocatori, a partire dal capitano Hamšík (nel frattempo arrivato a 13 reti stagionali, record personale eguagliato da quando è in Italia) e dal ritornato Lorenzo Insigne (dopo 4 mesi di sosta a causa di un infortunio); così i centrocampisti hanno iniziato nuovamente a distribuire palloni dalla mediana con maggiore attenzione e Maggio ha ripreso a correre come un tempo lungo la fascia destra, mentre Callejón ha ritrovato la via del goal e persino Britos sembra tornato ad essere un calciatore e non più lo chef rôtisseur della squadra [vedi].

A sinistra Walter Mazzarri; a destra Walter Mazzarren,
suo cugino emigrato in Germania (in realtà Dieter Hecking,
commissario tecnico del VfL Wolfsburg)

Nel frattempo Benitez non ha rinnovato ancora il contratto, con De Laurentiis che sta adottando un atteggiamento ambiguo: da una parte autoritario, come in occasione del ritiro forzato dopo l'eliminazione in Coppa Italia [vedi] (e bollato come anacronistico dal tecnico spagnolo [vedi]); d'altra parte ha poi offerto un assist al tecnico parlando apertamente di innesti (legati alla qualificazione in Champions League, però) e di un centro giovanile. Alla fine l'incontro c'è stato [vedi] tra due partite nuovamente agli opposti per emozioni: il 4 a 2 rifilato da un Empoli in versione smagliante e il 3 a 0 con cui si è chiusa, con troppe complicazioni, la pratica Milan al San Paolo.

Odi et amo.
Una carezza in un pugno.
Nemiciamici.

A questo punto della stagione, usciti dalla Coppa Italia in semifinale, resta una corsa affannosa in Campionato per raggiungere il terzo posto della Lazio distante 4 punti (e la Roma al secondo a 5) e si gioca la semifinale di Europa League; se nella competizione nazionale le poche possibilità sono offerte da un calendario leggermente favorevole rispetto alle due squadre romane e dall'ultima giornata che prevede lo scontro diretto al San Paolo con la Lazio, nella coppa europea il sorteggio ha messo di nuovo il Napoli di fronte al FK Dnipro. La squadra ucraina è già stata affrontata ai tempi di Mazzarri e, soprattutto, di Cavani [vedi]; avversario tutto sommato più abbordabile rispetto a Fiorentina e Siviglia, si tratta di un sorteggio che insieme alla maestria di Benitez nelle coppe parrebbe rendere il cammino europeo più agevole di quello nazionale. Pronti per un altro giro, ché la giostra è ancora in funzione.

Pope

4 maggio 2015

Expo Milan-Inter 2015


In una domenica di pioggia, il milanese aveva due alternative: dare prova di grande senso civico e unirsi alle migliaia di concives che si erano dati appuntamento per ripulire la metropoli dai segni della devastazione occorsa venerdì primo maggio, oppure starsene a casa e mettersi comodo comodo davanti al monitor per 'godersi' l'Inter (nel pomeriggio, al Meazza) e il Milan (la sera, al San Paolo). In fondo, è anche per merito di questi due club se Milano è famosa nel mondo.

Com'è noto, sono due squadre malate. Il medico dell'Inter, Roberto Mancini, ha inflitto cure pesanti al suo paziente, lo ha rivoltato come un calzino, ha cercato in tutti i modi di convincerlo che c'era qualcosa di molièriano nel suo disagio; qualcosa ha ottenuto, ma le ricadute sono frequenti. Il medico del Milan, Pippo Inzaghi, è in realtà un praticante, fa la scuola di specializzazione, è molto diligente e volonteroso; alla fine, tuttavia, anche lui è stato contagiato, è dimagrito, forse sta imbiancando, insomma sta male: è per questo che riscuote la comprensione di tutti.

Il praticante e il primario

Così, nel week-end in cui si inaugurava l'Esposizione Universale, insieme a tutte le cose accadute ci sono quelle che accadute non sono. Per esempio, nerazzurri e rossoneri, in 180 minuti di partita, non hanno segnato lo straccio di un gol. Una ha pareggiato in casa, l'altra ha perso in trasferta, come di regola fanno le squadre che lottano per non retrocedere in Serie B. Hanno offerto uno 'spettacolo' calcistico desolante, quello che di regola offrono. L'Inter ha ruminato calcio lento, senza inventiva, agonico e irritante a tratti, nevrotico in certe fasi e svogliato in altre; senza costrutto per lo più. Il Milan è rimasto in dieci uomini dopo pochi secondi dal fischio d'inizio, battendo così uno dei pochi record negativi che ancora gli mancavano quest'anno; se non altro, l'inferiorità numerica l'ha costretto a difendersi non potendo fare altro, limitando così la goleada cui sarebbe andato incontro offrendo più spazi al Napoli. In sostanza: l'Inter ha giocato malissimo, il Milan non ha giocato affatto.

Come possano migliorare le cose, è semplice indovinarlo. Ci vogliono quattrini, investimenti, giocatori forti. Nessun imprenditore milanese è ormai in grado di somministrare questa 'cura', e infatti i due club saranno presto e insieme giocattoli sportivo-finanziari in mani asiatiche (l'Inter, in parte, lo è già, come tutti sanno). Quando accadrà, sarà la fine di una storia durata un secolo e oltre, l'esaurirsi di una tradizione. Nonostante tutto quel che potrebbe arrivare: nuovi stadi, marketing, quotazioni in borsa, commercializzazione del brand sui mercati orientali eccetera eccetera. Ci sia consentito d'esprimere, di fronte a questa prospettiva, un po' di tristezza.

Mans

1 maggio 2015

Continuità

In ripa Arni

È una Fiorentina strana quella delle ultime settimane. La squadra di Montella, dopo 18 risultati utili consecutivi fra campionato e coppe, è naufragata contro la corazzata a strisce bianconere nella semifinale di Coppa Italia perdendo per 3-0 al Franchi. Da allora la Fiorentina pare aver perso ogni sicurezza. Unica eccezione l'Europa League dove i Viola non hanno sbagliato un colpo e sono arrivati, con pieno merito, a giocarsi la semifinale contro il Siviglia detentore del trofeo. Sarà una partita bellissima, difficile e decisiva. Strano davvero il calcio. Se la Fiorentina vincerà la doppia sfida guadagnandosi l'accesso alla finale di Varsavia, la stagione sarà trionfale e tutto il lavoro svolto da Montella e dal gruppo fin qui sarà fieno in cascina per la prossima stagione. Questo indipendentemente dalla vittoria del trofeo. Se invece la Viola dovesse uscire contro gli spagnoli, la stagione sarà stata assai negativa, quasi disastrosa. D'altra parte nel calcio i risultati sono tutto.

Contro la Juventus la Fiorentina non meritava di perdere, almeno per la qualità e l'intensità del gioco espresso nei novanta minuti. Ma le distrazioni difensive manifestate davanti a Tevez e compagni lasciano di stucco e sembrano un marchio di fabbrica di questa squadra quando non ha il pallino del gioco. L'impotenza offensiva dell'undici viola produce solo graffi senza mai penetrare le difese avversarie, senza mai essere pericolosa davvero.

Le distrazioni difensive sono preoccupanti perché sembrano il segno di un gruppo che non si muove più coeso e compatto in verticale. Basta un lancio per mandare in tilt i pur bravi centrali di Montella. Una fragilità disarmante che arriva dritta al tifoso trasmettendo un senso di panico ogni volta che l'avversario porta la palla nella metà campo viola.

L'attacco soffre del mal di Mario. Gomez è stato acquistato per finalizzare l'enorme mole di gioco espressa dalla Fiorentina di Montella. Non è mai stato un fenomeno, non fa reparto da sé. La sua stazza inganna. Gomez è sempre stato un rapace, ora sembra un un piccione. Ma il problema credo sia alla radice dell'oneroso acquisto. I tifosi si aspettavano un uomo capace di inventarsi i gol da solo, un po' come faceva Batistuta. Ma Gomez non è e non sarà mai quel tipo di attaccante. E lui soffre di questa impotenza. Certo vederlo vagare nell'area avversaria ingessato, goffo, è incomprensibile. Avrebbe bisogno della miglior Fiorentina e degli esterni più continui del campionato capaci di portare palla in area, ma la Fiorentina di adesso non è quella Fiorentina. Purtroppo, nel momento in cui il tedesco poteva incastonarsi nel sistema di gioco viola, si infortunò (15 settembre 2013, Fiorentina-Cagliari) e il talento di Giuseppe Rossi aveva mascherato la gravità della perdita fino allo sciagurato intervento di Rinaudo in Fiorentina-Livorno. Pazienza. La prossima stagione sarebbe forse il caso di puntare tutto su Babacar e affiancare al talento senegalese un vecchio mestierante (Pellissier? Dennis?).

La scelta di acquistare Diamanti e Gilardino ha poi confermato quello che scriviamo da sempre: esiste in Fiorentina un evidente scollamento fra il reparto tecnico e quello amministrativo. Non posso credere che Montella abbia chiesto alla società due calciatori che, indipendentemente dalle qualità, non potevano avere una condizione adeguata alla massima serie del campionato italiano.

I risultati negativi producono processi svelti. In particolare a Firenze, dove si vive il calcio così come si vive tutto, dividendoci e cercando un pretesto per dissentire anche laddove non ce n'è motivo. Ora si attacca Montella indicandolo come massimo responsabile dei risultati negativi di queste ultime settimane. Montella ha commesso degli errori e ci mancherebbe altro. Le sconfitte casalinghe contro Verona e Cagliari gridano ancora vendetta. Ma è e resta uno degli allenatori tecnicamente più preparati della serie A, forse d'Europa. È giovane e deve poter sbagliare. In due partite si è bruciato molta della stima che la piazza gli aveva riconosciuto. Ma, come abbiamo già scritto, può ripartire da Firenze e secondo chi scrive, deve ripartire da Firenze. La Fiorentina non è una squadra vincente, o meglio non è una società vincente, ma è solida. La Fiorentina dei Della Valle non fallirà mai e garantirà alla città dignità sportiva sempre. Ma trofei ne arriveranno pochi e a condizione che si faccia lo stadio (ma su questo punto siamo assai pessimisti e ci riserviamo di dedicare un'analisi dettagliata all'argomento in un futuro prossimo). D'altra parte se l'ultimo scudetto in riva all'Arno è datato 1969 un motivo ci sarà e indicare in questa proprietà il colpevole non ha alcun senso.

Questa è la dimensione della Fiorentina e Montella è il più bravo per ottenere il massimo da un gruppo il cui valore è buono, ma non eccelso. Se la società punterà ancora su Montella dimostrando di credere nel valore della continuità, allora sarà possibile fare un ulteriore passo in avanti. In caso contrario si dovrà ripartire da zero. I cicli sportivi sono una delle sciocchezze che si dicono intorno al calcio. Non esistono nella realtà. Non si può ripartire da zero ogni tre anni. Non si può osannare un allenatore per due anni e mezzo e accorgersi che è un incapace dopo trenta mesi. O si hanno molti soldi da investire o si punta su un gruppo, ci si crede e lo si difende sempre. Questo credo debba fare la società con Montella. Altrimenti sarà di nuovo una rincorsa per poi accorgersi fra tre anni, o forse prima, che si è di nuovo chiuso un ciclo. Intanto la polvere si accumula su una bacheca vuota da ormai tanti anni. Troppi.

Cibali