30 dicembre 2013

La maratona di Natale

Cartoline di stagione: 21° turno 2013-14

29 dicembre 2013, Stamford Bridge, Londra
Petr Čech ammira l'utilità della traversa.
Irriferibile ma immaginabile l'opinione di Mamadou Sakho
La cartolina di quest'ultimo turno calcistico del 2013 non può non venire che dall'Inghilterra, e da Stamford Bridge in particolare [card]. Per più di un motivo. Ci siamo giustamente entusiasmati per il Boxing day pedatorio, che ci ha regalato un gran bella giornata di calcio. Ma giocare dopo 48 ore non è forse la cosa migliore. Molte squadre - soprattutto quelle costrette alle trasferte - sono stanche, alcuni giocatori si fermano con i muscoli logorati, il gioco perde di intensità e spettacolo, e anche i risultati ne risultano condizionati. Chelsea - Liverpool di ieri ne è stato l'emblema. Annunciata come la partita del week end, è durata di fatto solo un tempo: i Reds hanno cominciato arrembanti ma poi si sono progressivamente estinti, scomparendo nella seconda parte del match. Ai più o meno lungo degenti José Enrique, Gerrard, Sturridge e Flanagan, Rodgers dovrà ora aggiungere anche Sakho e Allen, stiratisi allo Stamford Bridge. La panchina del Liverpool è più corta di quella del Chelsea: mentre Mourinho ha potuto ruotare 5 giocatori in 48 ore, Rodgers ha dovuto confermare per 10/11 la formazione che si era battuta in modo leonino (e sfortunato) a Manchester il 26 dicembre.

Aggiungiamo un'evidente disparità di calendario. Il Chelsea non si è mosso da Londra dal 7 dicembre: da allora ha giocato in casa con il Crystal Palace il 14, è andato a far visita qualche miglia più a est all'Arsenal il 23, poi ha ospitato lo Swansea il 26 e il Liverpool il 29; non meraviglia che abbia incamerato 10 punti su 12. Il Liverpool, invece, nello stesso periodo ha giocato solo una volta in casa (il 21 dicembre col Cardiff) ed è andato dapprima a Londra (il 15 nella tana del Tottenham), poi a Manchester (il 26 col City) e di nuovo a Londra (il 29 col Chelsea); non meraviglia che i punti fatti siano stati solo 6 su 12, con due sconfitte nelle ultime due trasferte dal fiato corto e dal corredo arbitrale avverso. Se guardiamo alle altre in testa alla classifica, delle 4 partite "natalizie" l'Arsenal ne ha giocato e giocherà due in casa (il 21 col Chelsea e il 1° col Cardiff) e due fuori (il 26 a Londra col West Ham e ieri a Newcastle); mentre il City ne ha giocato due consecutive in 48 ore in casa (Liverpool e Crystal Palace, con la quale non ha, nemmen esso, brillato) mentre le due trasferte sono state il 21 (a Londra col Fulham) e il 1° gennaio a Swansea. In breve, il calendario migliore era quello del Chelsea, che lo ha sfruttato appieno. Chi non ama José tira in gioco il suo famoso deretano posato sul latte sin dalla nascita. Ma lui, oltre che nel latte, sguazza nel fragore.

Dopo i due pareggi interni con Everton e Chelsea e la scoppola di Manchester, l'Arsenal (anch'esso alle prese con vari infortunati: Vermaelen, Özil, Oxlade-Chamberlain, Ramsey, Monreal, Diaby e Gibbs) ha sfoderato un inaspettato "carattere", andando a vincere in trasferta due volte consecutive, mostrando determinazione e forza (rimonta col West Ham, uppercut al Newcastle). E' meritato campione d'inverno. Ma non è stato capace di fare il vuoto quando doveva e poteva. Rinvengono alla spalle, clamorosamente, il City e, sornionamente, il Chelsea. Se la mattina del Boxing day la classifica si presentava schiacciata con 5 squadre in 2 punti, la sera del Capodanno la graduatoria potrebbe essere ancora più sfrangiata di quanto non lo sia oggi (le cinque sono ora stirate su 6 punti). Il Liverpool ha perso la testa, l'Arsenal no. Ma tutto deve ancora cominciare. E' il bello della Premier di questa stagione.

Azor

27 dicembre 2013

Lo Pseudobomber dei Gunners e l'Hombre Orquesta dei Reds

Cartoline di stagione: Boxing Day 2013

Lucas 'Poldo' Podolski festeggia il rientro e l'ennesimo gol
superfluo della sua carriera
Grande Boxing Day, è d'uopo scappellarsi. Iniziato con la faticosa rimonta dello United al Kingston di Hull (campo problematico da espugnare), due gol al passivo in pochi minuti e una difesa disperata negli assalti finali dei Tigers; proseguito con l'ordinariamente fortunosa (nella dinamica dell'unica rete messa a tabellino) sgambatura casalinga del Chelsea (ma lo Swansea, va detto, ha fatto ben poco per sottrarsi all'inerziale logica della partita) e con la gloriosa riapparizione, ad Upton Park [card del 1962: footing di Bobby Moore], di Poldo Podolski, Pseudobomber dei Gunners che (nonostante il rendimento costante ed elevato di Giroud) hanno proprio nel segmento terminale della compagine il loro punto forse più debole. Poldo ha confermato la sua fama di ammazzasette. Segna sempre quando il pubblico è già incanalato verso le porte d'uscita, quando la partita è in ghiaccio, archiviata nella sostanza se non nella forma del risultato, ed è proprio sul risultato che lui sa accanirsi come pochi, trasformando un 4:0 in un 5:0, un 5:0 in uno 6:0 e così via. Gli avversari non lo temono, quando le cose sono in bilico (o imponente la sfida) lui è solito esibire il repertorio tipico del mestissimo brocco, fatto di errori madornali e indimenticabili (per chi ha memoria corta, basterà andare a rivedere come partì l'azione del secondo gol italiano nella semifinale di Dortmund del 2006, o come il de cuius si divorò il gol che avrebbe riaperto quella di Varsavia nel 2012). C'è però chi lo apprezza: per esempio Wenger. Povero Arsenal: dove spera di arrivare con Poldo?

L'uruguagio del Liverpool invoca volando
una compensativa giustizia arbitrale
La giornata è finita in gloria al City of Manchester: big-match in tutti i sensi, quello tra Sky Blues e Reds. Importantissimo per la classifica, straordinario per emozioni, qualità, intensità. A mio modestissimo parere, la migliore partita dell'anno - addirittura strabiliante il primo tempo. I rossi, nella loro versione più scintillante degli ultimi trent'anni, avrebbero potuto far saltare il fattore campo e mettere una seria ipoteca sulla seconda parte della stagione domestica; non ci sono riusciti, pagando la vocazione a sprecare ignobilmente sotto porta, strapagando alla lunga una grossolana interpretazione arbitrale su azione di contropiede fermata appunto per una posizione di off-side dell'uomo lanciato a rete, e scontando (infine) la superiore capacità ed esperienza degli avversari nel leggere la partita, nel variare l'atteggiamento, accelerando o rallentando, pressando o aspettando, assecondando meglio convenienze e situazioni di gioco. Di questo match immagino si parlerà a lungo. La maturazione della rosa gestita da Pellegrini è evidente, la stagione potrebbe essere trionfale o quasi. Il Liverpool può diventare qualcosa di simile al Borussia di Klopp, ma per ora sembra destinato a subire troppo le carenze qualitative di parecchi singoli, compensate però dalla debordante presenza (tecnica e atletica) di Luis Suarez, pedatore che, allo stato, si configura come unico hombre-orquesta del calcio mondiale, dominatore assoluto delle partite come solo pochi grandi del passato ho visto capaci di essere. Potrebbe essere una fase di grazia, la grande stagione che segue e precede altre non prive (anzi) di lampi ma rovinate dal cattivo carattere (eufemisticamente parlando) dell'individuo, dalla discontinuità tipica dei campioni incompiuti; potrebbe invece essere la stagione del vero salto di qualità, l'anno che svela la dimensione definitiva di un fuoriclasse. Il Liverpool ieri ha perso, ma Luis Suarez ha sfornato non meno di mezza dozzina di assist nei quali si condensava tutta la sapienza calcistica e la morbidezza di tocco di Pelé. Senza esagerare.

Mans

24 dicembre 2013

Fromages vs champagne

Cartoline di stagione: 19° turno 2013-14

22 dicembre 2013, Parc des Princes, Parigi
Marco Verratti inseguito da Les Dogues
Parigi è meta natalizia d'eccellenza, e la cartolina di questo turno non può non giungere dal Parc des Princes [card]. Anche perché il LOSC Lille - c'est à dire, Lille Olympique Sporting Club - vi ha bloccato i quatarioti della rive droite, andando in vantaggio e subendo il pari a venti dalla fine solo per uno sfortunato rimpallo: soprattutto, giocando in modo semplice e impavido una partita di contenimento e contrattacco. E mostrando tutti i limiti irrisolti - di investimenti, di rosa e di gioco - del Paris Saint-Germain.

Il Lille ha vinto la Ligue 1 nel 2011 con Rudi Garcia in panca. Adesso vi appoggia i glutei un altro apprezzato entraîneur transalpino René Girard, capace di vincere il titolo nel 2012 con il Montpellier, che è un po' come dire l'Ascoli 1898 (a proposito: una prece per il fallimento di questi giorni nella speranza che presto rinasca dalle ceneri) guidato da Carletto Mazzone. In breve: personaggi che vengono dalla gavetta e vivono di pane e calcio. Girard adesso è lì, a quattro punti dal PSG e ad uno solo dal Monaco. Da entrambi i quali lo distanziano solo le oscene e siderali disparità finanziarie.

Non è un caso che il soprannome dei lilloises sia Les Dogues, i Mastini: pane e formaggio contrapposti al caviale e allo champagne dei parigini. Come molte della Ligue sono una squadra di impianto africano con il titolare della nazionale della Nigeria in porta, Vincent Enyeama, e un attaccante di qualità come Salomon Kalou, con un passato al Chelsea e un presente anche nella nazionale ivoriana. E poco più, se non il capitano Antonio Mavuba che, nientepopodimeno, ha pure messo le mani in faccia a Sua Maestà Zlatan mandandolo KO. Tanto per far capire il clima.

Laurent Blanc ha disposto nuovamente l'argenteria in campo, ma il risultato è sempre lo stesso: se non risolvono Ibra o Cavani la squadra fatica a imporsi su avversarie compatte e ben organizzate. Manca qualità sulla trequarti, davanti a Thiago Motta e Verratti. La rosa è invece farcita di mezzo sangue capaci solo di lanciarsi in avanti ma non di lanciare in avanti la palla in modo filtrante: tra Lucas, Menez, Pastore e Lavezzi, tutti sopravvalutati castroni, almeno due sono di troppo. Basterebbe uno come Mata, Silva o Isco, per indicare pezzi da Champs-Élysées. Basterebbe prezzolare un po' meno i mega procuratori del circo e affidarsi a qualcuno che di calcio ne capisce. O magari, più semplicemente, dare ascolto a Blanc.

Azor

16 dicembre 2013

Se nove gol vi sembran tanti ...

Cartoline di stagione: 18° turno 2013-14

14 novembre 2013, City of Manchester Stadium, Manchester
Arriva dal City of Manchester Stadium [card], e non poteva non essere così, la cartolina di questo turno stagionale dicembrino. Chi ha avuto la fortuna di guardarla ha assistito a una delle più belle partite della stagione: il City ha vinto meritatamente con largo margine su un Arsenal che ripropone anche in questa annata le fragilità di tenuta che aveva mostrato in quelle più recenti (e sulle quali avevamo già avanzato i nostri dubbi: vedi). Il risultato - 6:3 - è l'esito di una partita giocata dal primo all'ultimo minuto all'attacco da entrambe le compagini. Gianni Brera avrebbe inseguito con l'ombrello i difensori, perché è evidente che nove reti sono uno sproposito e in molte di esse è indubbio che hanno pesato errori grossolani nella fase difensiva e nei terminali davanti al portiere. Inadeguato, in particolare, si è rivelato lo spagnolo Nacho Monreal (sostituto forzato di Kieran Gibbs): sulla sua fascia i Citizens si sono infilati innumerevoli volte, scardinando l'assetto centrale della linea difensiva dei Gunners.

Reso omaggio al realismo paduo di Mastro Gioann, possono essere fatte anche un paio di considerazioni che attengono all'evoluzione delle idee di gioco e alla cultura calcistica del campionato britannico. La prima constata come nel calcio di vertice a livello internazionale stia prevalendo da qualche anno un orientamento a favore del calcio offensivo: "lo spettro del gol che si aggira per l'Europa", come lo ha chiamato Jonathan Wilson [leggi], ascrivendone a padre tutelare Marcelo Bielsa, col suo stile di gioco votato al possesso, "more passing, less tackling", e crescentemente diffuso in giro per il mondo (da Pochettino a Guardiola, da Rodgers a Montella, da Mancini a Pellegrini, agli stessi Prandelli o Benitez, per ricordare solo qualche santone). Stiamo attraversando una fase culturale che, pur senza esprimere estremismi ideologici, ritiene più virtuoso segnare un gol in più piuttosto che subirne uno in meno.

Per le tradizioni del calcio all'italiana è qualcosa, a un tempo, di riprovevole e di difficile acculturazione. Ben altro è il clima, come sappiamo, nella Terra Madre. Dopo le tragedie e le violenze degli anni 1980s, la Premier League si è affermata come il maggiore campionato planetario - quello che guardano tutti - non solo per la cultura ambientale (stadi, tifosi, merchandising etc.) ma anche per la piacevolezza di fondo del gioco espresso, con punte alte di spettacolarità, cui contribuiscono protagonisti provenienti da tutto il mondo, in quella vocazione sincretistica (apertura alla tradizione) di cui è magnificamente capace solo l'eredità imperiale britannica.

Azor

12 dicembre 2013

Una cupa giornata italiana

Fettine di coppa: sesto turno 2013-14

La disperazione di Gonzalo Gerardo Higuaín al termine
di Napoli-Arsenal
Finalmente – possiamo ben dirlo – la fase a gironi della CL si è conclusa. L’ultima giornata ha visto il nostro calcio protagonista assoluto, in tutte le sue componenti. Gli ultras del Milan che cercano di accoppare qualche omologo olandese (c’era chissà quale vendetta da consumare) tendendo agguati col favore della nebbia a oltre un chilometro di distanza da San Siro; i giocatori della Juventus che riescono nell’impresa di perdere a Istanbul (dove, da qualche anno, si gioca spesso in condizioni estreme); la terna arbitrale italiana (guidata da Tagliavento) che a Gelsenkirchen non azzecca una decisione, favorendo palesemente la vittoria dello Schalke sul Basilea (nel gioco dei cartellini rossi mostrati e risparmiati, e di un gol in fuorigioco ridicolo convalidato) e la sua qualificazione agli ottavi; il Napoli che batte al San Paolo anche l’Arsenal dopo il Dortmund, ed è nonostante ciò costretto ad abbandonare la competizione, pur avendo messo assieme la non immodica cifra di dodici punti in quattro partite. Una giornata cupa, di calcio povero – al Meazza, una delle superclassiche d’Europa è stata davvero un pianto; e povero il nostro calcio, si dice nei bar, se ad avanzare è solo il Milan. Il Peggior Milan di Tutti i Tempi, si aggiunge. La Peggior Squadra Italiana del Momento, si chiosa. Eppure è – appunto – l’unica che rimane a galla. Dov’è la novità? La Juve invece ha fallito. Clamorosamente e senza attenuanti. Anche in questo caso: dov’è la novità? Il Napoli, invece, ha entusiasmato, avrebbe strameritato di passare, ora tuttavia deve guadagnare posizioni nel ranking senza snobbare l’Europa League, e possiamo già tranquillamente affermare che l’anno prossimo, nella medesima situazione del Napoli, ci sarà la Roma, o qualunque altro club dovesse acciuffare il biglietto d’ingresso per il Group Stage. Se sei indietro nel ranking, ti capita il girone de le muerte e, per malasorte o per dabbenaggine, succede di frequente che sia la meno quotata a lasciarci le penne.

Dopo sei partite, si potrebbe redigere anche una classifica complessiva delle trentadue partecipanti. Per gioco, è ovvio. Ecco le sedici che si sarebbero qualificate:
16 punti – Real Madrid, Atletico Madrid
15 punti – Bayern, Manchester City
14 punti – Manchester United
13 punti – PSG, Barcelona
12 punti – Chelsea, Dortmund, Arsenal, Napoli
10 punti – Leverkusen, Olympiakos, Benfica, Schalke
9 punti – Milan
Il Milan, dunque, pur classificandosi all’ultimo posto, sarebbe passato. Al posto di Napoli e Benfica ci sono Galatasaray (7 punti) e Zenit San Pietroburgo (6 punti, come la Juventus). A proposito di Benfica (e Porto): nessuna portoghese agli ottavi, non è una novità ma, certamente, sorprende.

In cima, le due madrilene. Non pare un caso. Il Real, dopo tanti anni, ha finalmente ingaggiato un allenatore, e già si vedono parecchi miglioramenti. L’Atletico potrebbe recitare in commedia la parte che l’anno scorso fu del Borussia. Saranno – credo – le principali avversarie del Bayern, che si è finora solo allenato, rodando il nuovo motore e riverniciando la carrozzeria. Ora attendiamo i sorteggi, per sapere chi passeggerà sulle ombre del Milan e chi invece pescherà l’Arsenal, possibile (ma non probabile)  mina vagante del torneo.

Mans

10 dicembre 2013

¡viva el Sevilla!

José María del Nido Benavente, 
ex-presidente del Sevilla Futból Club (2002-2013)
Qualcuno si stava ormai abituando all'idea di un presidente operativo dietro le sbarre, ma finalmente si è chiusa la lunga era delnidista del Sevilla FC: 26 anni con mansioni nell'organigramma del Gran Club de Andalucía – undici e mezzo dei quali al vertice della società – sono stati ruvidamente interrotti da una breve conferenza stampa nello stadio Sánchez-Pizjuán, circondato per l'occasione dallo scomposto "affetto" di un meeting di ultras inferociti. Viene da chiedersi per quale motivo il tronfio e battagliero presidente della migliore squadra del mondo degli anni 2006 e 2007 – se tributiamo un senso ai premi assegnati dall'International Federation of Football History & Statistics – abbandona, citando lo stesso protagonista, "un ventricolo del suo cuore malconcio".

Le ombre sull'avvocato José María del Nido Benavente si addensano già in tempi remoti, molti anni prima della sua nomina a presidente dei Nervionenses biancorossi: una delle cause è la militanza (goffamente occultata in tempi più recenti) nel partito di estrema destra Fuerza Nueva. Nella famiglia del Nido, la fede calcistica e i raffinati ideali politici si sono tramandati con rigore e fedeltà: il padre José María del Nido Borrego fu vicepresidente della società nel 1971, nonché alla guida della sezione sivigliana del suddetto partito e, nel 1977, candidato senatore per il partito neofranchista Alianza Nacional 18 de julio (inquietante coalizione risultante dalla fusione di Falange española de las Jons e Fuerza Nueva). Pertanto, nel 1978 il ventunenne pargolo decideva di rendere orgoglioso il genitore partecipando al pestaggio di Jesús Damas Hurtado, un militante del Partido de los Trabajadores de Andalucía, fatto per cui sarà poi processato.

16 maggio 2007, Glasgow: Sevilla-Español, finale Uefa. 
La premiazione con del Nido
D'altro canto, indiscutibili sono i successi in ambito sportivo e amministrativo. Nell'agosto del 1995, in qualità di vicepresidente affronta la torrida estate in cui il club viene escluso dalla massima serie per non aver presentato in tempo utile le garanzie finanziarie necessarie all'iscrizione al campionato; ciononostante, l'abile e intrallazzante del Nido riesce a ovviare alla sanzione e ottiene addirittura l'ampliamento del numero delle squadre ammesse alla Primera División: da 20 a 22.Nominato presidente il 27 maggio 2002, inaugura il suo mandato impugnando la rovinosa situazione finanziaria del club: sana 40 milioni di debiti del club attraverso la vendita degli assi più quotati (Reyes all'Arsenal nel 2004, Julio Baptista e Sergio Ramos al Real Madrid nel 2005) e allestisce una rosa carica di talento, allenata da Juande Ramos (in seguito sostituito da Manolo Jiménez) e composta negli anni da ottimi elementi come il portiere Palop, gli emergenti e spensierati Dani Alves, Keita, Darío Silva, Jesús Navas e i più esperti Poulsen, Maresca, Diego Capel, Renato, Kanouté, Luis Fabiano, Adriano, Chevantón, oltre allo sventurato canterano Antonio Puerta. Dopo 58 anni di digiuno, del Nido traghetta la squadra al raggiungimento di alcuni storici trionfi. In campo internazionale, il club conquista per due anni consecutivi la coppa Uefa: il 10 maggio 2006 archivia la finale del Philips Stadion di Eindhoven con un roboante 4-0 sul malcapitato Middlesbrough di Massimo Maccarone, e l'anno dopo si conferma campione nello scontro finale, tutto spagnolo, di Hampden Park (16 maggio 2007), battendo ai rigori l'Español. Dentro i confini nazionali, il Sevilla sfida e sbaraglia più volte l'iniqua concorrenza delle superpotenze della Liga: il 25 agosto 2006 soffia  la Supercoppa Europea al Barça, con un indigesto 3-0; nel 2007 vince la Copa del Rey nella finale giocata al Santiago Bernabeu, liquidando il Getafe, e la Supercoppa Spagnola  contro il Real Madrid; nel 2010 ostenta la conquista della seconda Copa del Rey al Camp Nou, superando l'Atlético Madrid. 



Il temerario presidente, entusiasta della propria creatura e inebriato dall'inimmaginabile successo, a fine 2010 lancia una nuova sfida – destinata a fallire fragorosamente – ai colossi del calcio spagnolo, capeggiando la cosiddetta Revolución Delnidista, una egualitaria dichiarazione di guerra a Madrid e Barça per una più equa suddivisione dei diritti tv; il fallimento del robinhoodiano Delnidismo e della strategia politica del club contribuisce al calo degli investimenti del club dal 2011, e con essi al crollo del rendimento della squadra, sino a quel momento in pianta stabile nell'Europa che conta.  Ma il congedo del presidente è vincolato a questioni extrasocietarie: infatti, l'annuncio segue di quattro giorni una sentenza definitiva di condanna, emessa dal Tribunale Supremo a carico di del Nido, a sette anni di detenzione per il coinvolgimento in una torbida trama di corruzione del Municipio di Marbella. Il presidente del Sevilla FC, nonché azionista e consigliere delegato del gruppo che detiene il 35% della proprietà del club, è stato, nel recente passato, intimo amico e avvocato degli ex-sindaci di Marbella Jesús Gil (celeberrimo e discusso presidente dell'Atlético Madrid tra il 1987 e il 2003) e Julián Muñoz, con i quali si immerge per anni in un variopinto intrigo criminale movimentato da corruzione, falsificazione di fatture, peculato e irregolarità varie nella gestione di appalti municipali.

Così ieri è andato in scena un dissonante concerto sivigliano: lo straziante discorso di commiato del presidente dimissionario terminava con un vigoroso, ricinato e triplice ¡viva el Sevilla!, armoniosamente impastato con la linea melodica in contrappunto all'esterno del Sánchez-Pizjuán, dove la turba ringhiava Del Nido, ratero, dónde está el dinero?

Duca 

9 dicembre 2013

Razzie bavaresi e splendori romani

Cartoline di stagione: 17° turno 2013-14

7 dicembre 2013, Weserstadion, Brema
Le razzie bavaresi non si interrompono;
le maglie del Werder sono state  un facile bottino
Dal Weserstadium di Brema arriva una cartolina con i saluti di van Buyten, Ribery, Mandzukic, Thomas Müller, Götze e anche di Lukyima, difensore del Werder. Autori - volenti o nolenti - dei sette gol (compreso l'autogol, appunto, di Lukyima) con cui il Bayern ha passeggiato sui ricordi dello squadrone anseatico. Imbarazzante la superiorità dei bavaresi: il Pep sta mettendo a punto il suo nuovo prototipo, e dopo nemmeno mezza stagione di rodaggio ha già accantonato la Bundesliga per continua e ripetuta rottura del motore patita da tutti i (presunti) competitori, compreso il Borussia. Sistemata la pratica, si dedicherà a tempo pieno per il Gran Premio d'Europa, e li si potrà già misurare l'autentica dimensione storica di questo XI.

Così, mentre quest'anno la Bundesliga è puro one-team-show, altrove si giocano partite di alto livello agonistico. Splendida la prova dell'Everton nella tana dei Gunners, che hanno sofferto e parecchio per arginare l'euforico atletismo dei Toffees, che stanno mettendo in mostra giocatori di cui sentiremo parlare - Ross Barkley per esempio, oltre al già ben noto Lukaku. I frillini di Wenger hanno pur ricamato alcune trame a palla bassa di alto tasso tecnico, sono pur andati in vantaggio a poco dalla fine, ma la reazione dell'Everton è stata ruggente, e il pareggio sacrosanto. Dopo il Southampton, l'Everton: in Premier si rinnova la vetrina a cadenze regolari, offrendo presunte succose novità. Nessuna, finora, è riuscita a fare davvero tendenza.

Tuttavia, il week-end è stato certamente dominato - sul versante del divertimento e della spettacolarità - dalla nostra bistrattata Serie A. Molti matches incerti, altalene di risultati, grande intensità, sostanziale equilibrio. Inutile negarlo: televisivamente parlando, il calcio italiano paga soprattutto (più che la modestia tecnica degli attori, comparativamente però relativa) la sua triste cornice: stadi semi-deserti o devastati (vedi il Sant'Elia), in gran parte ostaggio del 'clima' creato dagli ultras. Ma vi sono eccezioni alla regola, così ieri all'Olimpico si è visto football di ottimo livello, a ritmi molto alti, fasi dense di incertezza e di emozioni. Roma contro Fiorentina è un buon ensemble in partenza, una jam session in cui già sai che spiccheranno gli assoli di Gervinho e Cuadrado, le finezze di Pjanić e Borja Valero, o le improvvise folgorazioni di Pepito. E' stata una partita di estrema bellezza e notevole spessore tecnico, meritatamente vinta dalla Lupa, ancora priva del suo totem ma che ha ritrovato meccanismi e velocità che l'avevano resa irresistibile nella prima parte del torneo. E' davvero l'unica alternativa alla Juventus, non ha ancora subito sconfitte, vanta una difesa difficilmente superabile (a differenza di quella napoletana, ripetutamente perforata negli ultimi turni), e in più (come si suol dire) non gioca le coppe. Può travolgerla solo la pressione ambientale, un entusiasmo sopra le righe che è solito evolvere rapidamente in depressione. Per ora, godiamoci l'esistenza di una competizione vera.


Mans

6 dicembre 2013

Il girone della notte dei tempi

Cinque titoli mondiali (Brasile) nel girone A. Un mondiale e tre europei (Spagna e Olanda) nel girone B. Un europeo nel C (Grecia). Sette titoli mondiali e uno europeo (Uruguay, Italia, Inghilterra) nel girone D. Un mondiale e un europeo nel girone E (Francia). Due mondiali (Argentina) nel girone F. Tre mondiali e tre europei (tutti tedeschi) nel girone G. Nulla nel girone H. A occhio, il girone della morte - in senso metaforico e in senso medico, poiché si giocherà nel nord del paese, a temperature e soprattutto tassi di umidità bestiali - è quello con italiani, inglesi, uruguagi. La storia antica del football, la tradizione più risalente. Il girone della notte dei tempi.

Commentare un sorteggio è sempre arduo, e rischioso azzardare pronostici. Tentazioni politico-dietrologiche difficili da tenere a bada. Limitiamoci a minime considerazioni di pura logica pedatoria. Certamente, la prima fase offrirà alcune sfide di livello e prestigio: Spagna-Olanda, il trittico delle antiche madri, Germania-Portogallo, forse Belgio-Russia, sarà da vedere quante decisive per la qualificazione. Ma ci dovremo sorbire una quantità micidiale di partite inutili (in una classifica degli orrori, metterei al primo posto Grecia-Giappone; ma anche Algeria-Corea non scherza, e in fondo nemmeno Honduras-Messico). Guarderemo con curiosità le espressioni di Blatter e Roi Michel in Francia-Svizzera (ben gli sta: certo, la Svizzera testa di serie a un mundial è cosa che non verrà dimenticata). Per ora, nulla ci solleva dal rimpianto per i mondiali a sedici squadre, e poi subito eliminazione diretta, come a Mexico '70, il torneo che rimane insuperabile (per fascino ed emozioni) nella memoria di tutti coloro che vi poterono assistere. E non è solo nostalgia.

Mans

4 dicembre 2013

La Cattedrale alla periferia del villaggio

Cartoline di stagione: 16° turno 2013/2014

1° dicembre 2013, Estadio de San Mamés, Bilbao
I baldi 
Lehoiak hanno appena azzannato la preda amazzonica
La cartolina di questo turno pedatorio europeo giunge dall'Estadio de San Mamés di Bilbao [card]. Per due motivi, uno contingente (si constata la prima sconfitta stagionale del Barça in Liga) l'altro di lungo periodo (l'abbandono de La Catedral per uno stadio nuovo e anonimo).

Domenica sera la capolista ha perso meritatamente in terra basca di fronte a una squadra che del Loco Bielsa ancora conserva memoria nell'idea di un gioco giocato, con pressing alto, nell'organizzazione che le ha dato ora Ernesto Valverde. L'Athletic ha giocato bene le sue carte nonostante in rosa annoveri veramente un finto centravanti, l'improbabile Gaizka Toquero, un generoso quadrupede incapace di inquadrare la porta sia con le corna sia con i ferri da stiro. A risolvere il match ci hanno pensato i giovani gioielli di casa Ibai Gómez, Markel Susaeta, Andoni Iraola, Ander Iturraspe, e il "bambino" Iker Muniain, che seguiamo con simpatia dalla bella cavalcata in Europa League del 2012 [vedi]. Quanto ai catalani non c'è molto da aggiungere al già detto: la squadra non è più quella dei tempi gloriosi del Pep, attraversa un inevitabile ricambio generazionale tra i vecchi campioni e i nuovi che ancora devono dimostrare di esserlo, con le alee del mercato (l'infelice Song per tutti), ed è soprattutto discontinua, alternando momenti altissimi (ce lo siamo tutti dimenticati il secondo tempo del clasíco di appena un mese fa?) a fasi disordinate, soprattutto quando cala di ritmo. Aggiungiamo poi l'inevitabile flessione in corso di stagione e l'assenza di Messi e i conti tornano. Il tiki-taka, il Tata e Neymar li lasciamo agli argomenti della critica beota.

Invece, parliamo dello stadio. Se Rudi García pretendeva di aver rimesso la chiesa al centro del villaggio i baschi hanno spostato la Cattedrale dal centro della propria storia. Con un investimento da Spagna finanziariamente ed edilizialmente ruggente, da anni 2000s, l'Athletic Club ha deciso di distruggere il vecchio, suggestivo, unico, San Mamés, centenario teatro di tante battaglie (1913-2013 [vedi Panenka]), dove si venerava in tribuna centrale la statua del Pichichi (Rafael Moreno Aranzadi, capocannoniere eponimo della Liga [vedi]), per trasferirsi lì accanto in un nuovo, comodo, anonimo stadio. Sembra di essere a Leopoli o a Salisburgo ... Totale perdita di fascino e di tradizione. Lo chiamano calcio moderno, polifunzionale, vettore di fatturato. Nel secolo scorso gli stadi costituivano dei "luoghi unici" nella trama urbanistica delle vecchie città europee, dei santuari che vivevano solo il giorno della partita e dormivano immoti e monumentali negli altri giorni. Nel nuovo secolo gli stadi sono l'ennesimo non-luogo dei tanti che imbruttiscono e avviliscono il disordine urbanistico della nostra era, tra strade mercato, svincoli autostradali, sottopassi alluvionali, cementificazioni laviche, ipermercati e mega parcheggi. Anche i Paesi Baschi si sono omologati alla vulgata della modernità, nonostante la retorica rivendicazione della propria alterità.

Azor

28 novembre 2013

Partite estenuanti nel gelo

Fettine di coppa: quinto turno 2013-14

Barbuto e agile, l'egiziano Mohamed Salah
fa esplodere il St. Jakob
In queste due serate che anticipano la chiusura del Group stage pochi erano i match con punti davvero pesanti in palio per entrambe le contendenti, e svariati gli XI ridotti a lottare nel gelo per proseguire l'avventura europea nel torneo meno nobile. Sono loro a regalare le partite migliori, quelle più incerte e spettacolari: il Viktoria Plzen al City of Manchester, l'Anderlecht soccombente in casa col disperato Benfica. Viceversa, prive di emozioni e presto consegnate alla storia (ma non alla memoria) le goleade di United e Real; soffre ma vince di largo punteggio anche Lucescu, più che altro a testimoniare il momento non brillante della pedata basca. Dopo cinque turni, solo sei posti nel tabellone degli ottavi sono già matematicamente assegnati, e qualche salvacondotto sarà distribuito nell'ultimo (10-11 dicembre) in sfide che si preannunciano tese e drammatiche: Milan-Ajax, Galatasaray-Juventus, Schalke-Basilea (a proposito: gli elvetici sono l'attuale bestia nera di Mou, avendo bissato con un gollettino in zona Cesarini il successo già ottenuto a Stamford Bridge, platonicamente vendicando le due sconfitte subite in primavera nelle semifinali di EL). Allo stato, unici (e non per caso) a punteggio pieno quelli del Bayern, a ulteriore illustrazione di un'egemonia recente ma costruita per durare, e che attinge ora il record di vittorie consecutive (dieci) nella competizione.

Paradossale, ma non imprevista, la situazione di Napoli e Juventus, comparativamente considerata. I bianconeri, in un girone di difficoltà medio-bassa, sono riusciti finalmente a raggranellare tre punti al termine di 90 minuti di noia estenuante, faticando a piegare la resistenza del Football Club Copenaghen, terzo nella Superliga danese; basterà ora non perdere a Istanbul ma, come da risalente tradizione, le difficoltà juventine in Europa compensano un comodo signoreggiare domestico. Il Ciuccio, invece, è riuscito a vincere tre partite vere nel girone della morte, ma ora dovrà probabilmente schiantare i Gunners sotto una montagna di reti per evitare il precipizio nel purgatorio dell'Europa League. Obiettivamente, l'impresa pare ardua. E' il destino delle neofite; lo stesso che, sino all'anno scorso, caratterizzava le campagne continentali del City, club irroratissimo di stelle ma penalizzato dalla propria storia e quindi dal ranking. Dal canto suo, il malinconico autunno del Milan ritrova blasone e sprazzi di classe sull'ampio rettangolo di Celtic Park. E' bastato mantenere saldi i nervi e costante la concentrazione mentale per neutralizzare le velleità degli scozzesi, il cui modo di stare in campo è invariato da decenni; Mario e Riccardino insieme (se uno si 'tranquillizza', e se l'altro mantiene voglia e brillantezza), e preferibilmente in azioni di contropiede, possono fare molto male a difese anche più attrezzate di quella celtica. Vedremo.

Di questo quinto turno restano negli occhi soprattutto alcune pennellate d'autore: ieri sera il balletto di Drogba a preparare un assist di esterno destro per Bulut, giocata degna di Pelé; la meravigliosa e fortunata (quanto sostanzialmente inutile) serpentina di Isco; le ormai consuete rifiniture di Rooney, vero hombre-orchestra del rigalleggiante United, imbattuto da un po'; martedì, una sgroppata old style di Kakà, accelerazione bruciante e shoot a girare fuori di un nulla; e naturalmente i rovesciamenti di gioco a velocità pazzesche del Borussia, capaci di mandare in apnea (e alla lunga in asfissia) qualsiasi avversario. Aubameyang e Mkhitaryan sono i nomi - non ignoti, e più difficili da scrivere che da pronunciare - dei nuovi astronauti mandati in orbita da Kloppo.

Mans

26 novembre 2013

San Siro, esterno notte

Cartoline di stagione: 15° turno 2013/2014

La cartolina di questo lungo weekend arriva da San Siro. Interno ed esterno. Sul verde prato si è visto (sabato sera) calcio monotono e per niente ispirato da parte milanista (nella norma, peraltro), sicché il vero 'spettacolo' è stato prodotto dalla curva sud. Dagli ultras. Durante e dopo il match. Nei novanta minuti si sono esibiti in un progressivo srotolamento di striscioni su cui era iscritta la loro arrabbiatura. Il crescendo testuale fu notevole, e la chiusura annunciava appunto la continuazione del discorso fuori dallo stadio (vedi foto). Da notare che, a inizio di serata, era stato esposto un messaggio di saluto equivocato: "Grande uomo, amico vero, bentornato Luca, nostro condottiero". Si pensava fosse rivolto a Luca Antonini, onesto pedatore oggi militante nel Grifone ma con recente passato in rossonero. Si sa, le curve adoperano criteri speciali nella scelta dei propri beniamini: ma nessuno si era mai accorto di quanto apprezzate fossero lassù le doti e il carisma del terzino. Infatti, non di lui si trattava ma di un leader della curva medesima, tornato in trincea dopo cinque anni di DASPO. Gli ultras onoravano verseggiando un proprio eroe: tutto qui.

Esterno di San Siro. Alcune centinaia di curvaioli fanno ciò che avevano promesso di fare, e si spostano davanti all'uscita dei garage.Cori truculenti ("Vergogna!", l'unico riferibile). Minacce (la meno preoccupante rivelava l'intenzione di tenere la squadra ferma nei sotterranei fino a mezzanotte). Poi c'è stato il noto rendez-vous tra i capi e la coppia di senatori milanisti, Kakà e Abbiati. La scena non è inedita in assoluto; lo è, però, a queste latitudini. E illustrerebbe, meglio di qualsiasi analisi, i guai di una società allo sbando e l'annunciata fine di un'epoca. Vedremo. Per ora, rumorisissimo pare il silenzio di Berlusconi, preso da altre e per lui più urgenti faccende; a quel silenzio si sovrappongono voci su futuri assetti, sul giubilamento di Galliani, sulla sostituzione di Allegri - che rimane l'unica cosa certa, sebbene sia difficile scommettere sui tempi in cui avverrà. Ma occorre anche tenere conto di come, e probabilmente a breve, inizi una nuova, caldissima campagna elettorale. Che l'ex-premier affronterà in condizioni di difficoltà estreme. E il Milan, come si sa, è da sempre uno dei suoi principali strumenti di comunicazione politica. Nuovi colpi di scena sono forse dietro l'angolo; non è detto che da quest'inferno il diavolo non esca ringalluzzito e ferocemente sghignazzante, per la gioia degli ultras.

Mans

25 novembre 2013

Match of the Year

Esattamente 60 anni fa, il 25 novembre 1953, l'Empire Stadium di Wembley ospitava quello che, per i presuntuosi sudditi della regina, andava così etichettato. In realtà, l'anno divenne presto 'secolo', prima che un altro match (Italia-Germania 4:3) meritasse uguale etichettatura. In campo a Londra, dunque, i campioni olimpici, campioni di un'Olimpiade cui non avevano partecipato nazionali 'vere' dell'occidente europeo e del continente sudamericano, contro i campioni di nulla (tutt'al più, questo sì, della British Home Championship e solo di quella) ma detentori di un primato che non cesseranno mai di rivendicare: l'invenzione del gioco. Ed eternamente imbattuti tra le mura amiche da compagini davvero 'straniere': quelle della Home Championship facevano parte della stessa grande 'famiglia' calcistica, nonché del medesimo Regno; il dominio dei Tre Leoni (seppure non incontrastato) era qui sancito dalle statistiche, ma i tabellini dicono che la Scozia aveva espugnato Wembley nella primavera del '51, bissando l'impresa del '49.
Tant'è.

Inghilterra contro Ungheria, dunque. Fu davvero una sfida memorabile, cui nessuna storia del football mancherebbe di dedicare un capitolo centrale. Un match che, col passare dei decenni, ha mantenuto intatto il suo fascino, arricchito dalla dimensione leggendaria dell'XI ungherese e dall'incessante 'outing' della critica albionica, che (a differenza dell'ultra-conservatrice Football Association) immediatamente comprese il senso e le conseguenze della cocente umiliazione inflitta dall'Aranycsapat agli uomini di Walter Winterbottom. Basterà, al riguardo, leggere le densissime pagine che al match dedica Jonathan Wilson [Inverting the pyramid, pp. 129-139 della traduzione italiana], così chiudendo il discorso:

"Certamente, quella serata di novembre, con le bandiere ammosciate nella nebbia sopra le Twin Towers, destinate queste ultime a riverberare il lavoro di Luytens a Nuova Delhi, non ci volle un grande sforzo d'immaginazione per riconoscervi la sconfitta simbolica dell'Impero".

Vai allo Speciale di Eupallog

Mans

16 novembre 2013

Monet e il falso nueve tedesco

Agonismo e concentrazione negli occhi dei giocatori ucraini;
smarrimento in quelli di Benzema
In fondo, non dispiace: proprio nel giorno in cui Raiola dichiara che Pogba - il giocatore più forte del mondo tra quelli che hanno solo vent'anni - vale un Monet, il gioiello naufraga insieme ai compagni all'Olimpiyskiy di Kiev. Varrà un Monet, ma non è che tutti si fermino incantati a guardarlo. A quelle latitudini, peraltro, di capolavori ne hanno sfornati, e di calcio ne hanno pure saputo insegnare. Certamente oggi non dispongono più (o non ancora) di fuoriclasse acclarati e acclamati, ma hanno un XI volitivo e veloce, che ieri sera ha gravemente illustrato i limiti della Francia allestita da Deschamps: manovra lenta e spuntata, nervosismo, broccaggine di ritorno nel reparto difensivo (dai fasti di Thuram all'assoluta mediocrità di Koscielny il passo è davvero lungo). Dunque non è che Raiola porti sfortuna; farebbe meglio tuttavia a cianciare dopo le partite importanti, non prima. Anche il crestato juventino, che male non aveva giocato, è infatti spazzato via dalla marea in maglia gialla nell'ultima mezzora di partita, quando il ritmo è salito vertiginosamente e lo stadio si è definitivamente incendiato. Così, ora, è possibile che alla grande esposizione di talenti del calcio mondiale prevista per la prossima estate Pogba-Monet non abbia né vetrina né ammiratori. E' capitato ad altri, in passato, anche più bravi di lui, ce ne faremo eventualmente una ragione.

Giornate istruttive, queste ultime, consacrate ai play-off per il mondiale e a una sequela di interessanti test-match. Per esempio, non deve sfuggire che due sudamericane radunatesi in Europa - Colombia e Cile, già qualificate per il Brazil - hanno inflitto altrettante batoste a Belgio e Inghilterra, cioè alla nuova e all'eterna (ma mai d'avanguardia) aristocrazia del vecchio continente.

Rivalità e inimicizia sportiva generano risse anche
quando il risultato non conta
Istruttive anche per altri versi. I colori delle divise, per esempio. Decisione FIFA: maglietta e calzoncini devono essere cromaticamente uniformi [vedi GS]. Ieri sera, al Meazza (semi-deserto), c'era Italia-Germania. Classica delle classiche, per quel che riguarda la nostra cara vecchia Europa. Azzurri tutti azzurri, teutonici tutti bianchi. I panzer, senza calzoncini neri, non sembrano più loro. Un restyling - questo non dettato però da Blatter e dall'Adidas - che coinvolge anche la forma del gioco. La Germania è folta di abatini, oggidì. Ieri sera ha giocato - chissà, forse per la prima volta nella sua storia antica e recente - senza un centravanti di fatto. Il conformista Gioacchino ha adottato il falso nueve (ieri sera l'omonimo di un centravanti tra i più archetipici della storia: Thomas Müller), e guardiolizzato la giostra. No, non sembrava Italia-Germania. Dal canto loro gli azzurri sono ora vagamente propensi al ricamo insistito, lavorìo nel quale Pirlo non ha eguali ma che risulta penalizzato dalla lentezza dei centrocampisti - Motta e Montolivo, gente di fosforo e tocco discreto, ma ci vorrebbe anche qualche fulmine di guerra. Abbiamo poi patito cialtronescamente nei disimpegni, quelli che Cesare vuole partano sempre dai difensori, regalando palloni che incredibilmente i tedeschi non hanno sfruttato.

Le amichevoli di preparazione al mundial contro la Germania sono una specie di tradizione. Gli azzurri non le vincono quasi mai. Accadde per esempio nel '65 (ad Amburgo), nel '74 (a Roma), nell'86 (ad Avellino), nel '94 (a Stoccarda). Rilevante eccezione è costituita da quella giocata a Firenze nella primavera del 2006. L'XI guidato da Lippi schiantò i rivali con un sonante quattro a uno, offrendo una dimostrazione di superiorità che di lì a qualche mese sarebbe stata ribadita in una grande serata al Westfalenstadion. A occhio, sembrerebbe che le premesse siano oggi più vicine a quelle degli anni in cui questa amichevole i nostri l'hanno persa o - come ieri sera - pareggiata. Speriamo sia solo una falsa impressione.

Le partite:
Ucraina - Francia 2:0 - tabellinoHL
Belgio - Colombia 0:2 - HL
Inghilterra - Cile 0:2 - tabellino e HL
Italia - Germania 1:1 - tabellino | HL

Mans

11 novembre 2013

Un campione che viene dal passato

Cartoline di stagione: 14° turno 2013/2014

10 novembre 2013, Old Trafford, Manchester
Wayne Rooney in pressing sul portatore di palla avversario
Wayne Mark Rooney è l'oggetto della cartolina che arriva dall'Old Trafford [card] in questo turno di campionati europei. Non tanto la classica tra United e Arsenal, che la corsa, l'agonismo e la praticità dei Red Devils hanno risolto senza patemi di contro alla leggerezza, alla tecnica e all'eleganza dei Gunners. Quanto la magnificenza della partita giocata da Rooney: il corner perfetto per l'inzuccata solitaria di Van Persie, l'occasionissima messa a lato, e soprattutto l'esempio agonistico per tutti i suoi compagni, da vero capitano di fatto. Una prestazione a tutto campo, dal pressing continuo su difensori e attaccanti, ai falli tattici a metà campo, alle coperture difensive nella propria area, alle aperture nelle ripartenze. Il nostro non è nuovo a queste prestazioni "totali", ma certo quella di domenica 10 novembre ne ha costituito una sorta di summa.

E allora non può non sovvenire una sovrapposizione memoriale. Wayne viene da lontano, infatti. Da un passato ancestrale del calcio della prima età moderna. Non è solo un giocatore "eclettico" - nella accezione sacchiana - cioè capace di giocare in ogni ruolo (e, in porta, sarebbe magari capace di parare anche i rigori, con quella reattività muscolare che ne corrobora la complessione compatta, taurina). E' anche un giocatore "totale", capace cioè di giocare più ruoli nella stessa partita, scardinando con la sua mobilità il rigore tattico che affligge il calcio di oggi, vittima di schemi e orfano di fantasia. Immaginiamocelo nell'Ungheria del 1954 o nell'Olanda 1974. Non solo non vi avrebbe sfigurato, ma probabilmente ne sarebbe stato uno dei grandi protagonisti. Più di quanto non lo sia nella modesta Inghilterra di questi anni. Rooney è un giocatore totale per squadre che giocano il calcio totale: e oggi ce ne sono davvero pochissime. Più che il Chelsea dove lo voleva Mourinho è nel Bayern di Guardiola che farebbe sfracelli, là in mezzo tra Robben e Ribery ...

Azor

7 novembre 2013

Dure salite e cupi orizzonti

Fettine di coppa: quarto mercoledì 2013-2014

6 novembre 2013, Dortmund
Aaron Ramsey, gallese, giocatore-chiave dell'XI di Wenger
in questo avvio di stagione, fredda i bollori del Westfalenstadion
inzuccando l'unico pallone della serata destinato a scuotere la rete
Tutto il mondo è paese, quando lo strapaese affiora o riaffiora, e quindi non c'è da stupirsi se al Westfalenstadion il pallidissimo Mesut Özil è stato trattato quasi (quasi) come un CR qualsiasi a Torino l'altra sera. La sua colpa specifica? Non certo d'essere turco; ma giocava, tempo fa, nello Schalke. Come l'altra sera, fischi e contumelie hanno portato male, e così i Gunners tornano dalla Ruhr con tre punti in saccoccia che hanno l'effetto di danneggiare anche il Napoli, costretto a trascorrere a sua volta indenne una serata in quell'inferno o a goleare i londinesi al San Paolo tra un mese. Il girone è complicato, perché il Borussia è comunque davanti all'Arsenal in caso di arrivo alla pari, e dunque nessuno potrà fare conti, né sconti a nessuno.

Un'onorevole (di questi tempi) sconfitta del Milan a Camp Nou ha consentito di 'misurare' la temperatura del rapporto tra BB e Galliani, fianco a fianco in tribuna e sistematicamente inquadrati dalle telecamere. Di solito il ragioniere guarda le partite insieme a suo figlio; stavolta (probabilmente per ragioni comunicativo-iconografiche, cioè aziendali) l'ha vista da solo, senza scambiare mai una parola con la figlia del padrone. Le telecamere avevano indugiato, nel pre-partita, anche su un lungo e fitto colloquio tra BB, Pippo Inzaghi e Filippo Galli (purtroppo, BB era ripresa di spalle e nessuno ha potuto leggerne il labiale), sollecitando la fantasia di tutti i guardoni che hanno a cuore (per svariati motivi) le vicende milaniste. Di questi tempi, la partita è un optional; in effetti partita non c'è stata, i rossoneri hanno speso tonnellate di energie fisiche e mentali, il Barça si è allenato nella sua bella cornice e i gol potevano anche essere il doppio o il triplo, ma tant'è. Il Milan resta in corsa, ma deve fare almeno quattro punti contro Ajax e Celtic per sbarcare agli ottavi, e nulla lascia presagire che ci riesca facilmente. Dovrà sputare l'anima. Come la Juve. Come il Napoli. Sarà, ma vedo nere nuvolastre addensarsi sull'orizzonte delle nostre, là dove si esaurisce la fase a gruppi della Champions League.

Nel tardo pomeriggio (per questioni di fuso orario) una bella partita si è giocata a San Pietroburgo. Il Porto ha cercato di asfissiare gli uomini di Spalletti nella prima mezzora, andando anche e meritatamente in vantaggio; un immediato cortocircuito difensivo ha consentito ai russi di pareggiare il conto e poi attestarsi in difesa del risultato, puntando su rapide azioni di contropiede. L'incredibile Hulk, rapinoso in occasione del pari, spreca un rigore; Arshavin entra troppo tardi ma rade al suolo in più occasioni la metà campo del Porto; fosse subentrato prima, chissà. Ora la salita, per i portoghesi, diventa durissima; per passare, dovranno espugnare la tana del Cholo, che non è tipo abituato a regalare cioccolatini. Amen.

Mans

5 novembre 2013

Il dodicesimo uomo

Fettine di coppa - quarto martedì 2013-2014

5 novembre 2013, Juventus Stadium, Torino.
Juventus-Real Madrid 2:2 (1:0)
L'incultura del pubblico che frequenta gli stadi italiani è nota ed è emersa, in tutto il suo fulgido autolesionismo, nel corso di Juventus-Real Madrid. E' stato il dodicesimo uomo, ma ha giocato per gli spagnoli. In nessuna arena europea, in partite di questo livello, un giocatore avversario è programmaticamente fischiato per novanta minuti ogni volta che è in possesso di palla - altrove è un atteggiamento riservato alle faide locali. Al Bernabéu salutarono l'uscita dal campo di Pirlo con una standing ovation; allo Juventus Stadium hanno ricambiato la cortesia accogliendo Cristiano Ronaldo come fosse il male assoluto, credendo di esorcizzarlo o (perlomeno) di innervosirlo. Impressionante la portata sonora delle bordate che scendevano dagli spalti, specie nei primi minuti, quando la sfera passava dai suoi piedi. Ma l'effetto è stato di stimolarlo - il match era di quelli da cui lui, storicamente, si astrae - e di tenerlo sempre in partita, molto più concentrato del solito, molto più 'cattivo' del solito, e in fin dei conti letale. Letale come normalmente è solo quando ha di fronte il Rayo Vallecano o il Real Saragozza.

E' un XI del quale non conosciamo ancora la vera dimensione, quello che Carletto sta faticosamente cercando di trasformare in una squadra. Viceversa, la Juve sta lentamente declinando, per usura agonistica; può ancora mettere intensità nella pressione e tenere alti i ritmi di gioco, ma in fasi sempre più frequenti e sempre più lunghe della partita intensità e ritmo calano fino a spegnersi del tutto o quasi, e diventa palese la modestia tecnica di alcuni interpreti - il disimpegno che è costato il pari all'inizio del secondo tempo è al riguardo illuminante. La differenza tra questa Juve e - per dire - quella che schiantò il Chelsea un anno fa di questi tempi è molta. Può ancora qualificarsi per gli ottavi, ma è difficile immaginare possa far meglio della stagione scorsa. Dagli altri campi, poco di rilevante. Rimane in stand-by il girone A, grazie ai pareggi esterni (a reti bianche) di United e Leverkusen; va invece segnalata la sconfitta del Benfica in terra greca, proprio il giorno in cui CR scavalca Eusebio nella fasulla classifica all times dei marcatori di coppa. Per il Portugal, il rischio di non portare almeno una squadra agli ottavi è ora altissimo.

Mans

4 novembre 2013

Un mistero agonistico

Cartoline di stagione: 13° turno 2013/2014

2 novembre 2013, Emirates Stadium, Londra
Daniel Sturridge spaventa l'incerta difesa dei Gunners
Cartolina dall'Emirates Stadium [card], per la partita di cartello del week end non solo inglese, che ci invita a contemplare uno dei "misteri agonistici" di questi anni, per dirla con Gianni Brera. Vale a dire la mirabolante penuria di trofei di una squadra capace di vincere partite anche importanti mostrando spesso un bellissimo calcio: si parla ovviamente dell'Arsenal di Arsène Wenger. Un bravo allenatore di giovani talenti ma dal palmarès non comparabile non solo con quelli dei Ferguson e dei Capello ma nemmeno con quelli dei Benitez o dei Simeone [vedi la VQA]. Anche sabato pomeriggio l'Arsenal si è prodotto in una gran partita, svelando il passo che ancora separa il Liverpool di Rodgers, che pure è cultore del gioco giocato, dal livello su cui veleggiano da anni i Gunners.

Riavvolgiamo un attimo il nastro. Da quando Wenger è il manager (cioè fa il mercato), e sono 18 stagioni, l'Arsenal ha vinto 3 Premier, 4 FA Cup e 4 Charity Shields (tutti concentrati tra 1998 e 2005) e giocato solo una finale europea (persa col Barcellona nel 2006). Tutti abbiamo però nella memoria alcune bellissime partite, non solo di campionato, ma anche in Europa: tra le tante, quelle contro il Real, il Barça, e l'anno scorso col Bayern. In quelle occasioni, come anche quest'anno col Napoli e in alcune partite Premier, come la stessa del week end contro il Liverpool, la squadra ha mostrato un gioco di "flusso" di alto livello estetico. Eppure, permane una sensazione di fondo di incompiutezza: belli ma non vincenti. Vedremo se quest'anno l'innesto di Mesut Özil e la fioritura di Aaron Ramsey saranno in grado di dare quel tocco in più di continuità nell'estro e nella forza a un organico giovane e di qualità ma senza veri campioni. Che intanto si gode la testa con 5 punti sulle inseguitrici, ma che deve ancora incontrare le favorite ai nastri: le mancuniane e il Chelsea.

Azor

2 novembre 2013

Gli intrusi

I giocatori del Wolfsburg alzano il Meisterschale nel maggio di quattro anni fa
I campionati continentali maggiori hanno passato il primo quarto di stagione ed è possibile cominciare a tirare qualche considerazione non fondata sull'estemporaneità. Le linee di tendenza sono tracciate, e non sono piacevoli. Commentando gli esiti delle supercoppe agostane avevo preso atto del preoccupante dominio dei super club - che dal 2009 appare drammaticamente irreversibile [vedi] - e che purtroppo l'avvio dei tornei nazionali ha confermato nelle sue linee di fondo. Monsieur de Lapalisse constaterebbe a sua volta l'ovvietà di tale osservazione. C'è però un problema: se la accettiamo possiamo allora anche disinteressarci degli esiti agonistici dei campionati, tanto essi appaiono scontati, ridotti come sono a questione riservata a un paio, massimo tre, club di élite finanziaria. Il modello scozzese si è ormai imposto alle leghe maggiori.

Intendo dire, potremo assistere nei prossimi anni a vittorie come quelle del Valencia (2004 e 2002) o del Deportivo (2000)? Del Wolfsbrug (2009), Stoccarda (2007) o del Werder Brema (2004)? Della Roma (2001) o della Lazio (2000)? Del Montpellier (2012), Lilla (2011), Marsiglia (2010) o Bordeaux (2009)? Dello stesso Arsenal (2002)? Si noti: non sto parlando del Novecento, ma del calcio che abbiamo vissuto nel primo decennio di questo secolo. Il dramma degli anni dieci è che questi scenari sembrano ormai preclusi, tramontati. E, con essi, il fascino delle competizioni nazionali, al di là di quello offerto potenzialmente dalle singole partite. Non è un caso che l'unica competizione seduttiva sia rimasta la Champions League, grazie soprattutto alle eliminazioni dirette da febbraio a maggio.

Il presidente del Montpellier Hérault Sport Club, Louis Nicollin,
festeggia il titolo della Ligue 1 lo scorso anno
Detta in altri termini: è la "classe media" che è entrata in crisi, economica e, conseguentemente, di aspettative. Guardiamo alle classifiche attuali. In Spagna sembrano ormai poter lottare per il titolo solo il Barcellona, l'Atletico e il Real Madrid; in Germania Bayern, Borussia Dortmund e Bayer Leverkusen; in Italia Roma, Napoli e Juventus; in Francia PSG, Monaco e Lille; in Inghilterra Arsenal, Chelsea e Liverpool. Solo per la Premier, la più equilibrata al momento, si possono ipotizzare inserimenti di due altri club, quelli di Manchester, ancora impegnati in laboriosi ricambi manageriali. Si tratta di una quindicina di squadre, che comprendono tutti i superclub per fatturato.

Non resta dunque che sperare negli "intrusi": l'Atletico del Cholo, il Bayer di Sami Hyypiä, la Roma di Garcia, il Lille di René Girard. Se vogliamo concedere qualcosa, anche il Napoli di Rafa Benitez o il Liverpool riportato in alto da Brendan Rodgers. E' questa l'attuale classe media, pur affluente, del calcio europeo, cui appartengono, in altri paesi, club come il Porto, il Benfica, lo Zenith, il Galatasary. I magnati sono invece gli altri, ormai. A un gradino sotto stanno altri club agiati ma non facoltosi: il Tottenham e il Southampton, oppure la Fiorentina, l'Inter e lo stesso Milan. E anche, in altri paesi, realtà come Ajax, Standard Liegi, Anderlecht, CSKA, etc.

Le gerarchie sono sempre più cristallizzate, con margini sempre più esigui per quella "mobilità sociale" che aveva fatto grande il calcio europeo del secondo dopoguerra. La tendenza viene da lontano, dall'affermazione del formato Premier e Champions League, dall'invasione dell'Ultracalcio come la ha bene analizzata, tra gli altri, Pippo Russo [vedi]. Ma dal 2009 - da quando l'allora sconosciuto sceicco Khaldoon Al Mubarak offrì più di 100 milioni a Silvio Berlusconi per l'acquisto di Kakà - si assiste a un'accelerazione drammatica, per molti aspetti, sui quali magari torneremo in un altro momento.

Azor

1 novembre 2013

Vedi Napule ...

Cartoline di stagione: 12° turno 2013/2014

30 ottobre 2013, Stadio comunale "Artemio Franchi", Firenze
José María Callejón Bueno schiaccia in rete un assist volante del Pipita
E' quasi un telegramma quello che arriva dall'"Artemio Franchi" di Firenze [card] in questo turno infrasettimanale. Ci segnala semplicemente - mentre la cacofonia mediatica e dei tifosi si sofferma al solito sui rigori dati e negati - la grande partita del Napoli di don Rafael, forse la migliore finora in campionato. E' così che si vincono i titoli alla fine, con partite essenziali, tre tiri, due gol, impermeabilità difensiva: la Fiorentina ha tirato solo tre volte in porta (un palo, un rimpallo per Borja, ipnotizzato da Reina, e un bellissimo sinistro di Pepito su cui il portiere del Napoli ha marcato la differenza). Per il resto, rigore tattico, concentrazione continua, doppia fase (come ormai si suol dire) di tutti, a cominciare da Higuain e dai piccoletti che sfrecciano ai suoi lati.

A Firenze Benitez ha trovato quella compattezza di assetto, quella solidità difensiva, che finora si erano viste solo a tratti. Davanti poi ci pensa Higuain, nell'occasione in versione assistman: meravigliosa la trivellata di prima per Callejon in occasione del gol. La mano di Rafa si comincia a vedere nella disposizione in campo, nell'ordinata occupazione degli spazi, nella rotazione dei giocatori (con nonchalance ha fatto entrare negli ultimi 20 minuti un Hamsik e un Insigne per Higuain e Mertens ...). I pericoli a questo punto possono venire solo dai cali di concentrazione e dagli infortuni. E da avversari più forti.

Azor

29 ottobre 2013

Il triangolo delle Bermuda

Daniele De Rossi  - saldissimo  sul piede d'appoggio -
ostacola i progetti di Muriel, velocissimo puntero dell'Udinese
E' lì, tra Castan, Benatia e De Rossi, che si sono finora smarrite tutte le avventure di chi cercava la rotta per arrivare alle spalle di De Sanctis, portiere delle Roma. Il trio ha disinnescato con ogni mezzo - trappola del fuorigioco, concentrazione feroce, tempismo negli anticipi e nei recuperi, talora acrobatici e sull'orlo del precipizio - tutti gli arrembaggi, e Daniele De Rossi (l'elastico portentoso, l'uomo che interpreta due ruoli e svariate fasi nel corso della medesima partita) ha poi solo l'imbarazzo della scelta: a quali buoni piedi distribuirà il pallone, per avviare la manovra di offesa? Passare a Udine non è facile, e non per caso il Friuli era inviolato da un bel po'. Soffrendo e giocando, giocando (anche in dieci uomini) e soffrendo, la Roma ben disciplinata da maestro Garcia vi ha colto tre punti nel modo tipico delle grandi squadre: quelle che alla fine vincono il campionato perché riescono a vincere partite che le altre normalmente perdono. Difficile dire cosa possa succedere perché il destino non si compia: il clima (non solo meteo - e qui occorrerebbe ripassare qualche capitolo di Brera) di Roma? Gli infortuni (sempre possibili e mai relativamente prevedibili)? Un ritorno della Juve a ritmi e convinzioni e intensità di gioco che ormai solo raramente produce? La fragorosa (possibile, certo: ma a Roma ha già pagato dazio) esplosione del Napule?

Avere il pallone tra i piedi e non saper bene
cosa fare: lo stile di gioco di Nigel de Jong
Una cosa è certa: tra le protagoniste della Serie A quest'anno non ci sarà il Milan. Più volte, qui, mi sono soffermato a discuterne pregi (pochi) e difetti (molti, anzi parecchi). La limitatezza di Allegri è ben leggibile ora nell'insistenza di una scelta che non sembra prevedere eccezioni: la presenza fissa nell'XI di Nigel de Jong. L'olandese gioca grosso modo nel Milan alla De Rossi; rientra meno di frequente sulla linea dei centrali (anche perché nel gioco aereo - a differenza di Capitan Futuro - è un mezzo brocco), raramente varca la linea di centrocampo. Interdice sulla trequarti, spesso rischiando parecchio, ma poi - quando recupera la sfera - non ha qualità di tocco, rapidità e intelligenza di visione tali da considerarlo un (seppure solo onesto) regista arretrato. Allegri lo tiene lì allargando Montolivo, e la manovra del Milan non ha fluidità, non ha efficacia, non ha fantasia, non produce nulla di imbarazzante per gli avversari; ai quali è sufficiente che il pallone non transiti dalle parti di Balotelli in zone pericolose. Per farla breve: l'anno scorso la risalita dei rossoneri coincise con il grave infortunio subito dall'olandese. Coincise: ma coincidenza non fu.

Mans

28 ottobre 2013

Le ambasce di Carlo

Cartoline di stagione: 11° turno 2013/2014

26 ottobre 2012, Camp Nou, Barcellona
Il Cavaliere pallido ha giocato la sua ennesima partita siderale
Cartolina insolitamente lunga, questo week end, dal Camp Nou [card] per segnalare una delle più belle partite della stagione. Avevamo ammirato un grandissimo Bayern annichilire a inizio mese il City in trasferta [vedi], qualche bella partita dell'Arsenal, soprattutto quella con il Napoli. E poco più. Soprattutto il secondo tempo del clásico, intensissimo, ha tenuto fede alle attese, mostrando il meglio che possano offrire attualmente il Barça e anche il Real: un Iniesta a livelli siderali, un Neymar che si è annunciato con un gol e un assist, alcuni bei giovani del Real (Carvajal, Illarramendi, Jesé), varie occasioni blancas sventate da un eccellente Víctor Valdés. La scelta del Tata Martino sembra rivelarsi azzeccata: la squadra viaggia in testa sia alla Liga sia al girone di Champions senza particolari patemi (2 soli pareggi in 13 partite); la qualità del gioco è migliore, più brillante, rispetto all'opacità della seconda stagione; certo, non è più quello guardiolano del biennio hapax 2009-2011; ma la memoria di quegli automatismi vertiginosi (triangolazioni in area, continuum tra pressing e possesso) riemerge a sprazzi, come nel secondo tempo del clásico. La ricerca di Martino è quella di nuove soluzioni (in primo luogo i lanci lunghi); soprattutto appare voler coniugare le qualità ormai assodate con un maggiore pragmatismo, che si risolve in un atteggiamento più attendista della squadra, con baricentro più basso, e nell'innesco di ripartenze veloci negli spazi, lanciate da Iniesta in modo superbo e finalizzate non solo da Messi (sabato sera apparso un po' in tono minore) ma anche da un umilissimo Neymar. Non si vede al momento, in Europa, a parte il Bayern, un'altra squadra così equilibrata e così bella.

Più complesso, ovviamente, il discorso che riguarda il Real. Le macerie lasciate da Mourinho sono ancora fumanti e la storia dice che le squadre che il portoghese abbandona dopo averle prosciugate di ogni risorsa nervosa (Porto, Inter, Chelsea e ora Real) faticano a lungo prima di rimettersi in piedi. Carletto nostro sembra avere le qualità (saggezza, esperienza, bonomia, oltre che sapienza tattica e gestionale) per poterci riuscire. Il problema è che, oltre alle macerie lusitane, la rosa è stata indebolita da un mercato di immagine più che di sostanza: la vendita, senza sostituzioni adeguate, di uno dei tre migliori assistman di questi anni (Ozil, al pari di Iniesta e Totti), di un grande centravanti capace come pochi di fare reparto da solo e di creare spazi per chi arriva da dietro (Higuain), oltre che di alcune riserve di qualità come Callejon, Albiol e lo stesso Kakà, non ha trovato compenso tattico alcuno. Né Bale, né Isco né Illarramendi hanno le caratteristiche per colmare le partenze di Ozil e Higuain. E le difficoltà di creare gioco e pericolosità lo confermano.

Altro che sopracciglio ...
Come da copione, la stampa spagnola ha scatenato un uragano su Ancelotti dopo la sconfitta (di misura): l'epiteto più garbato che ha ricevuto è stato quello di "miedoso" (fifone, pavido) per aver schierato Sergio Ramos centromediano e Gareth Bale centravanti. Ora, tutto possiamo dire di Carletto, tranne che sia un fesso e che non sappia il fatto suo. A differenza di chi si limita a guardarla, gli allenatori sanno che una partita dura 95 minuti e che si schierano 14 giocatori lungo quell'arco di tempo. Il nostro ha ritenuto che il Barça si sarebbe lanciato all'attacco nel primo tempo (come poi è stato) e ha schierato tre attaccanti capaci di involarsi negli spazi (Cristiano, Bale e Di Maria): indisponibile Xavi Alonso, ha messo al suo posto Ramos, col risultato che il Tata ha subito dovuto esiliare Messi sulla destra. Passata un'ora e placatasi la furia blaugrana, ha operato i cambi: prima il più giovane e fresco Illarramendi, per cominciare a tessere il gioco nella metà campo altrui, poi Benzema quando gli spazi si sono ristretti e il gattone poteva provare a dare il suo meglio (e infatti: terrificante traversa che meritava il tripudio dell'incrocio), e infine il promettentissimo Jesé, che ha pure segnato. Con questo assetto il Real ha fatto tremare più volte Valdés e avrebbe meritato il pari. Questo dice l'analisi tattica: il resto è mancia mediatica.

Semmai ci sarebbe da alzare il velo su uno dei molti luoghi comuni: checché si strombazzi, il Real ha pochi campioni in rosa, ed è semmai zeppo di giocatori sopravvalutati. Campione era Casillas, ma si è appannato, e lo sono solo Ramos, Xavi Alonso, Ronaldo e, in potenza, il giovane Isco. Ma ci fermiamo qui. Sopravvalutati a vario titolo sono Diego López, Modric, Bale, Khedira, Di Maria e Benzema: ottimi giocatori, ma non dei campioni che sappiano fare la differenza. La linea di difesa, poi, è composta da ronzini, da Pepe e Arbeloa a Coentrao e Marcelo. Ci sono invece dei promettentissimi giovani oltre a Isco: Varane e Carvajal, Illarramendi, Morata e Jesé. Carletto nostro si sta misurando con questi limiti, oltre che con le macerie e il contesto ambientale. A naso ne saprà uscire vincitore alla lunga. Ha vinto ovunque e vincerà anche a Madrid: magari a cominciare proprio dalla Décima.

Azor