29 ottobre 2014

Fisarmoniche

Cartoline di stagione: 9° e 10° turno 2014-15

Ridendo e scherzando i campionati europei sono arrivati quasi a un quarto del cammino. In Ligue 1 si sono già disputate 11 giornate, nei tre tornei maggiori 9 turni, mentre solo noi siamo placidamente ancora a 8, tanto che ci tocca un'altra sciroppata infrasettimanale (in modo da facilitare i tecnici nella gestione degli allenamenti). Vale la pena cominciare a tirare qualche somma.

25 ottobre 2014, Estadio Santiago Bernabéu, Madrid
Il migliore in campo: Francisco Román Alarcón Suárez, detto Isco
La Liga offre la situazione agonistica più appassionante: classifica a fisarmonica, prima allungata e ora accorciata. Battendo senza equivoci il Barça, in un rutilante spettacolo di grande calcio, il Real ha rimesso in gioco tutti: nello spazio di due punti adesso sono in cinque a giocarsela perlomeno fino a Natale. Carletto nostro, con la sua bella mediana di trequartisti, è davvero "l'uomo che sussurra ai fuoriclasse", come lo ha definito Paolo Condò: in un paio di mesi ha rimesso in asse un telaio sconvolto dalla cessione di un califfo come Xavi Alonso e di un satanasso come Di Maria, e dal roboante arrivo di una stella come James Rodriguez, e l'esito finale è che ora rifulgono anche i Marcelo, gli Isco, i Benzema. Semplicemente magistrale. Luis Enrique, invece, suderà le sue camicie per gestire il lusso di un tridente d'attacco che non appare portato a pressare nella trequarti altrui, come vuole ormai il calcio postbielsista: finché affronti l'Elche, il Levante o il Granada, puoi fare calcio play-station; ma le sconfitte al Parc des Princes e al Bernabeu sono più che campanelli d'allarme, e i Blaugrana devono ancora incontrare le altre tre del gruppo di testa. Il Siviglia festeggia in cima alla classifica, e molti scordano che solo 150 giorni fa aveva battuto il Benfica in finale di Europa League (là dove la Juventus di Conte non è stata nemmeno capace di arrivare). Il Cholo ha avuto il suo bel daffare a ridare forma a un organico saccheggiato dal Chelsea, e sta piano piano risalendo la china: nel frattempo ha espugnato il Bernabeu e stracciato il Siviglia, incappando però in una giornata nera a Valencia, ma ormai i Colchoneros sono lì anche a loro a difendere coi denti il titolo. La sopresa è il Valencia ora in mano a Nuno Herlander Simões Espírito Santo, breviter Nuno, che ha vinto tutto con il Porto di Mourinho, ma da secondo portiere, e ora appartiene alla mega (e non limpidissima) scuderia di Jorge Mendes, grazie al quale ha fatto il salto dal Rio Ave al Mestalla: per il momento è ingrassato, forse anche grazie ai risultati positivi, ma deve ancora misurarsi con Barça e Real. E lì si parrà la sua nobilitate.

Accordéons aussi en terre de France. L'Olympique Lyonnais interrompe allo Stade de Gerland la cavalcata felice della banda del Loco e accorcia la classifica anche della Ligue 1: dopo 8 vittorie consecutive l'OM perde con qualche rimpianto - di occasioni sprecate e un pizzico di sfortuna - e con il dubbio che comincia a insinuarsi, perlomeno negli osservatori, che l'assetto tattico sbilanciato sulla pressione in avanti (3-3-4) possa non funzionare di fronte ad attacchi ricchi di giocatori di qualità. Tra un paio di turni il PSG misurerà lo spessore della stoffa marsigliese al Parc des Princes, e potrebbe uscirne fuori una partita memorabile. Intanto, chi voglia godersi lo spettacolo di un rovesciamento di fronte a 7 tocchi di prima con cigliegina del gol vada al minuto 1'20" degli HL della partita al Vélodrome contro il Toulouse del 19 ottobre 2014 - che è la cartolina del turno precedente (recapitata solo oggi: qui sotto). Insieme al Cagliari di Zeman non c'è squadra in Europa, al momento, che giochi un calcio rapido, essenziale e verticale - un "thrilling soccer" come lo chiama Jonathan Wilson - come quello insegnato da Marcelo Bielsa ai suoi ragazzi, che poi sono un XI normale, senza fuoriclasse, con qualche ronzino, qualche bel giocatore, come Gignac o Payet, e giovani di sicuro avvenire come Nicolas N'Koulou, che ha i numeri per avvicinarsi a quanto è stato Marcel Desailly, e Giannelli Imbula, il probabile Vieira dei prossimi anni.


Hanno solo sfiorato un accorciamento delle classifiche lo United in Premier e il Gladbach in Bundesliga. Gran bella partita all'Old Trafford, dove il Chelsea ha sfoderato una prestazione maiuscola di gioco, di personalità e di esperienza: quest'anno è un XI completo, equilibrato, fortissimo. Mancava Diego Costa ma Didier Yves Drogba Tébily, da Abidjan, è stato commovente per come ha guidato la ciurma e inzuccato in modalità vintage, tal quale come uccellò il Bayern all'Allianz Arena un paio d'anni fa [vedi]. Re Aloysius sta ancora cercando la quadra per sistemare i Red Devils tra svariati infortuni e una rosa, che lui stesso ha contribuito ad allestire, che difetta di difensori di qualità: i terzini, oltretutto, tendono a salire e a interscambiarsi con Januzai e Di Maria sulle fasce, creando voragini alle spalle, dove i lupi in Blues si sono infilati che era un piacere vederli. Davanti, la coppia Mata e Van Persie non è, al momento, la meglio assortita: non a caso hanno acciuffatto il pari solo su calcio d'angolo all'ultimo secondo, in una tipica situazione adrenalinica. Per il bel gioco speriamo di poter ripassare più avanti. Ma la sensazione è che il Chelsea non abbia rivali quest'anno e che José punti a fondare, con il titolo, una lunga permanenza a Stamford Bridge, ispirandosi al modello di sir Alex: una sfida inedita, ed affascinante per uno, come lui, che ha sempre sofferto la crisi del terzo anno. Staremo a vedere.

Non ho visto invece, se non gli HL, di Borussia M'Gladbach vs Bayern. Dal sacco di Roma a un pomeriggio in bianco per i Roten, a quanto pare. Ma là dove Garcia aveva creduto di poter affrontare la "Máquina" del Pep a viso aperto e finendone asfaltato in meno di mezzora (cotto, cucinato e servito), Lucien Favre ha lucidato il verrou: al diavolo l'estetica e si strappi un punto in casa (e stava per scapparci pure lo scalpo). Che il Bayern rivinca il campionato è comunque ovvio, e non occorrerà attendere marzo per scoprirlo (il "Guardian" lo sostiene addirittura dal 25 agosto [vedi]).

La fisarmonica ha suonato anche in Serie A dove la Juventus ha riallungato sulla Roma. La Vecchia Signora quest'anno si è affidata ai ritmi lenti, al titic titoc, che sono nelle corde di Max Allegri, con l'effetto che i centrocampisti non hanno più tempi e spazi per quegli inserimenti che avevano fatto di Vidal, Pogba e Marchisio il marchio di fabbrica del "made in Conte": restano solo i guizzi di Tevez e le corna degli arieti difensivi per gonfiare le reti altrui. Soprattutto, a questa velocità, in Europa continuerà ad essere notte fonda. La Roma, invece, in ottobre ha vinto solo con il Chievo. La sensazione è che il gioco abbia perso fluidità, ancor prima dell'1:7 contro i campioni del mondo. Il mercato è stato più appariscente che sostanziale: Yanga-Mbiwa, Astori e Manolas non valgono, in tre, uno come Benatia; Cole e Keita sono pezzi d'antiquariato; Holebas ed Emanuelson vanno bene per la panchina; soprattutto, Iturbe senbra confermare che non vale neanche la metà di quanto è stato pagato. Se poi aggiungiamo che De Sanctis mostra le rughe, che Maicon non ha più continuità, che Nainggolan è bravo ma non bravissimo, è ovvio che si torni a De Rossi e a Totti per tenere il campo. Garcia avrà il suo bel daffare per confermare la bella impressione destata nel girone d'andata dello scorso anno. Potrebbe anche vernine fuori un campionato con allunghi e riprese. Ma l'appeal, a parte per gli ultras delle rispettive brigate, resta basso al confronto spietato del telecomando.

Azor

27 ottobre 2014

L'insostenibile leggerezza dell'Ilicic

Dopo aver visto Real Madrid-Barcellona sapevo che avrei dovuto lasciar perdere il campionato italiano, almeno per una domenica. Ma si sa, i tifosi son tifosi e stanno al calcio come l'uomo sta alle sue più tenaci dipendenze. Alla fine, mi sono visto quasi tutta la giornata per concludere in bellezza con lo spettacolo del Meazza. Un po' come andare a vedere i Pink Floyd alla O2 Arena di Londra per poi sorbirsi un concerto di Gigi D'Alessio alla sagra del brigidino di Lamporecchio.

È vero che domenica al Santiago Bernabeu c'erano almeno dieci fenomeni in campo, ma ciò non può bastare per accettare partite brutte come Milan-Fiorentina. I Rossoneri e i Viola puntano al terzo posto. In un campionato tecnicamente così scadente è possibile che il pronostico si avveri per una delle due, ma è più probabile di no. La partita è stata lenta, tatticamente bloccata e priva di interpreti capaci di dare una svolta a quella selva di passaggi, molti dei quali sbagliati. Lascia francamente sbigottiti l'involuzione tattica e tecnica della Fiorentina. Per due anni modello di calcio offensivo e tatticamente preciso come un orologio svizzero. Sembra che la Viola abbia perso la sua identità, o forse quelle certezze che ne avevano mascherati in parte i limiti tecnici aggravati, va detto, da un terremoto di sfortuna difficile da pronosticare anche per il mago Otelma.

Scrivevo la settimana scorsa che il ciclo di Montella alla Fiorentina sembra giunto alla fine. Ne sono ancora convinto benché speri sinceramente non sia così. Ieri però, ne ho avuta un'ulteriore conferma. Montella è un tecnico bravo. Fra i giovani uno dei più bravi. Ha idee, è coraggioso e coerente. Mi è sempre piaciuto e spero, da tifoso e da amante del calcio, che resti a Firenze a lungo. Temo non accadrà per almeno due ragioni: il rinnovo del contratto di Pradè per un solo anno e l'anemico mercato estivo realizzato dalla Fiorentina. Tornerò su questi punti nelle prossime settimane.

Josip Iličič
Montella costruisce un calcio dinamico, esteso su tutto il campo e per questo ha bisogno di due cose: due centrocampisti tecnicamente superiori alla media e un modulo di base con tre difensori e gli esterni alti; in altre parole il 3-5-2. Da qualche mese sembra stia pensando ad altro. Anche ieri ha messo in campo una squadra con la difesa a quattro e ha snaturato il suo gioco. La difesa a quattro è un'arma efficace se hai due centrocampisti in grado di prendere palla nella tua trequarti e di far ripartire l'azione velocemente e almeno un attaccante parecchio prolifico, altrimenti, con la rosa che ha la Fiorentina in questo momento, è un suicidio tattico. Se poi gli esterni sono un giocatore adattato (Tomovic) e uno che pare un incrocio fra un danzatore di mambo e un saltatore con l'asta (Alonso) allora il danno è totale. Gli esterni di Montella devono stare alti e la squadra deve avere la palla per molto più tempo degli avversari. Il 4-3-3 atipico a cui si sta affidando il Vincenzino viola negli ultimi tempi non funziona e non può funzionare. Pizzarro è acciaccato e non giocherà molte partite quest'anno. Borja Valero è stanco e finché non tornerà il giocatore dei primi quindici mesi in viola non può comandare il pressing da solo. Aquilani è un ottimo centrocampista, ma non ha mai velocizzato il gioco e se messo in un centrocampo a tre a correre in verticale non si inserisce e non segna. Naturalmente a questo vanno aggiunte le assenze di Gomez e Rossi che sono un alibi eccome, altroché. Fra avere e non avere due giocatori così ci sono quindici punti almeno di differenza a fine stagione. Ma non ci sono e non ci saranno, insieme, fino a gennaio. Montella deve quindi inventare e lo fa ogni domenica sperando che Cuadrado dia un senso alla presunta sbandata che il Barcellona si era preso per lui e che Ilicic dimostri una volta tanto che non è un ronzino strapagato. In effetti non lo è.

Ilicic è un giocatore leggero, insopportabilmente leggero. Tecnicamente sublime, fisicamente imponente e tatticamente anarchico. Gioca nella trequarti avversaria ma va dove vuole, quando vuole. I suoi tempi di gioco non sono mai quelli della squadra. Lui non riesce a adattarsi alla squadra, è la squadra che deve adattarsi a lui e nella Fiorentina non accadrà mai. Può giocare solo in un 4-3-3 atipico partendo dall'esterno e rientrando per poi esplodere il sinistro o cercare l'assist per l'attaccante. Il problema è che non gioca da solo là davanti e deve imparare a coesistere coi compagni. Infine è un giocatore difficilmente collocabile nella migliore Fiorentina montelliana.

Mercoledì c'è l'Udinese di Stramaccioni e del sempiterno Di Natale. È l'avversario perfetto per mettere alla prova lo stato dei lavori in casa viola.

Cibali

26 ottobre 2014

La 'zona Podolski'

Il numero nove dell'Arsenal
Partite ogni giorno, seguire tutto è difficile e si rischia di perdere non solo il filo, ma anche nozione di quanto certi momenti abbiano una loro importanza storica. La settimana che finisce oggi è stata dominata da imprese e risultati epocali nelle coppe e da un grande Clàsico. Certo non si può dire che l'Arsenal abbia lasciato in essa un segno indelebile; però ha vinto due partite esterne: ieri, in Premier League, in casa del derelitto Sunderland di quest'autunno; mercoledì invece aveva espugnato il Constant Vanden Stock Stadium di Bruxelles, nel terzo turno di Champions League. Tre punti sofferti, ma che valgono per i Gunners un passaggio ormai sicuro (salvo cataclismi) agli ottavi. Tre punti sofferti, perché ottenuti in rimonta. Una rimonta perfezionata oltre il novantesimo. Un pallone rimbalzato casualmente sui piedi del numero nove, all'interno dell'area piccola, e dal medesimo scaraventato in porta senza problemi [vedi]. Quoziente di difficoltà tecnica del gesto: zero o quasi.

Il numero nove dell'Arsenal non sarebbe uno qualunque, se si guardano le statistiche. E' tedesco, non ha ancora trent'anni ma vanta una collezione di presenze nella Nationalmannschaft (non una nazionale qualunque) che lo tiene, nella speciale classifica, davanti a Beckenbauer, davanti a Vogts, a Müller (Gerd), a Ballack, a Rummenigge, a Brehme, a Seeler e a Schnellinger (una bella parata di campioni, vero?). Sopra di lui, solo Klose e Matthäus, che però hanno smesso, rispettivamente da poco e da un po'. Dunque, è probabile (o per lo meno possibile) che entro due-tre anni il pedatore in questione si trovi a essere monumentalmente al primo posto in quella sequenza di monumenti del Fussball. Per non dire dei gol. Anche in quella classifica è terzo, dietro Klose e Muller. Parecchio lontano da loro, va aggiunto. Pur tuttavia, ha all'attivo la bellezza di 48 gol, in 120 presenze. 

Stiamo parlando - lo si sarà capito - di Lukas Podolski. Il gol segnato a Bruxelles è uno dei pochi davvero importanti, in partite importanti, della sua carriera. A Bruxelles, mercoledì sera, potrebbe essere nata per l'Arsenal la 'zona Podolski', equivalente alla nostra 'zona Cesarini'. Il gol last minute, il gol senza rimedio.

Intimidire gli avversari con lo sguardo
Mi ripromettevo da un po' di ripercorrere la carriera di questo 'campione' tedesco (nato in Polonia), ora campione del mondo (sì, era nella rosa che ha trionfato in Brasile, anche se lo abbiamo visto in campo solo due volte, nelle prime partite, per nemmeno un'ora di gioco complessivo). Poldo è cresciuto nel Colonia; la sua prima stagione da professionista è coincisa con la retrocessione del club dalla Bundesliga, ma la sua prestazione nel campionato successivo (2004-2005, in Zweite Liga) è stata senz'altro la migliore finora (24 reti in 30 partite e promozione), regalandogli l'ingresso definitivo nel roster della nazionale maggiore. Sembrava un predestinato. Nonostante un anno mediocre (2005-2006, 32 partite e 12 gol), gioca tutte le partite del mondiale casalingo (brillerà solo negli ottavi, contro la Svezia) e passa al Bayern. Doveva esserne la stella. Tre annate, un centinaio di gettoni (coppe comprese), alla media di un gol ogni quattro partite. A Monaco non sono entusiasti del suo rendimento, e lo rispediscono a Colonia. Tre stagioni, una sola buona (2011-2012), e poi l'Arsenal. Wenger è soddisfatto di lui? Non saprei, occorrerebbe documentarsi. Del gol che ha segnato mercoledì all'Anderlecht, sicuramente sì.

Mi ha sempre incuriosito tuttavia la valanga di reti che, intitolati a lui, restano nelle tabulae del calcio internazionale. Avendolo sempre giudicato un attaccante sostanzialmente modesto, decido di andare a verificare quando, e contro chi, Podolski ha costruito le proprie fenomenali statistiche. Si dia un'occhiata qui, e si scoprirà quanto ingannevoli possono essere, anche nel calcio, i numeri ...

Il buon Poldo, tuttavia, è giovane. Certi giocatori migliorano, invecchiando. Magari, nella fase finale della sua carriera, giustificherà la propria appartenenza (statistica) all'aristocrazia del calcio mondiale. 

Mans

24 ottobre 2014

Uno spettro si aggira per l'Europa ...

Fettine di coppa: terzo turno 2014/2015 

 7 gol il Bayern alla Roma, 7 gol lo Shakhtar al BATE, 6 gol il Chelsea al Maribor, 5 gol l'Atlético al Malmö, 4 gol (a 3) lo Schalke 04 allo Sporting, 4 gol il Borussia Dortmund al Galatasaray, 3 gol il Barcellona all'Ajax, 3 gol il Real al Liverpool in Champions League. 5 gol il Borussia M'gladbach all'Apollon, 5 gol il Tottenham all'Asteras Tripolis, 4 gol il Villarreal allo Zurigo, 4 gol il Wolfsburg al Krasnodar, 4 gol il Besiktas al Partizan, 4 gol il Salisburgo alla Dinamo Zagabia, 3 gol il Rijeka al Feyenoord, 3 gol lo Sparta Praga allo Slovan, 3 gol l'Aalborg alla Dynamo Kiev, in Europa League.

Quello appena passato è stato un turno ricchissimo di gol in Europa. Probabilmente casuale, ma altrettanto probabilmente significativo di una palpabile linea di tendenza del football internazionale di questi anni a privilegiare il gioco d'attacco e l'opzione del gol in più rispetto a quello dell'avversario. Jonathan Wilson l'ha ascritta da tempo (la tendenza: "A spectre is haunting Europe – the spectre of goals. They're everywhere – in every competition, in every country, in every stadium ...") all'influenza teoretica di Marcelo Bielsa [vedi]: transizioni veloci, recupero della palla nella metà campo avversaria, passaggi corti, intensità di fase, ritmo incalzante, etc. Un Mondiale memorabile come quello del 2014 ha confermato a livello planetario lo stile di gioco prevalente di questa decade.

21 ottobre 2014, Stadio Olimpico, Roma
Il divario incolmabile
Si tratta di uno stile, di una cultura, che hanno certamente i loro risvolti preoccupanti: la convergenza con la modalità play-station (l'omologazione del consumo televisivo), la graduazione di difficoltà (il ranking), i "top players" (gli avatar di sé stessi), l'illusione della moviola in campo (le lavagne digitali), etc. A fronteggiarli sono rimasti solo il romanticismo di un calcio "altro" (letterario, nostalgico, storico, vintage), le "irruzioni" della politica (la partita del drone, i 40 minuti di sospensione di Sparta Praga vs Slovan Bratislava per scontri sugli spalti, etc.), il perdurante razzismo delle tribù del calcio e il gorgo mediatico degli ultrà.

Nondimeno, il fascino di un calcio totale come quello che pensatori come Bielsa, Guardiola, Klopp, Zeman e qualche altro santone sono in grado di immaginare e di tradurre pedagogicamente sul campo consola ogni mendicante di buon calcio che, come faceva Eduardo Galeano, vanno in giro per il mondo col cappello in mano: "e quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo e non mi importa un fico secco di quale sia il club o il paese che me lo offre" [Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, p. 1].

Per questo il primo tempo del Bayern contro la Roma, all'Olimpico il 21 ottobre 2014, non può non costituire agli occhi di coloro che amano il Beautiful Game un capolavoro assoluto (al punto che qualcuno ha scritto di un "momento Guardiola" [vedi]). I giallorossi hanno avuto la sfortuna che è tipica dei malcapitati. Pochi altri XI avrebbero potuto contrastare l'armonia, la potenza e la perfezione attuale dei Roten di Guardiola. Papa Francesco, che di fútbol se ne intende, lo ha detto semplicemente a Karl Heinz Rummenigge e ai suoi giocatori: "Avete giocato una partita meravigliosa". Parole sante.

Ciò non significa che la Roma non abbia palesato i suoi limiti, che sono poi quelli cui si è ridotto il calcio italiano. Ma di essi parliamo da quando esiste Eupallog: oggi ci basti richiamare l'esistenza di una realtà internazionale che ormai fa a meno di noi. Dolorosamente e per colpa nostra.

Azor

20 ottobre 2014

Fine della giostra


La sconfitta viola di oggi ha emesso almeno due sentenze: la prima  è che il calcio italiano è senza speranza, più o meno come il paese. La seconda è che il mini ciclo inaugurato da Montella due anni fa sia giunto mestamente al capolinea. Cerchiamo di argomentare i due assunti appena espressi.

Nella gara odierna i giocatori della Lazio, passata meritatamente in vantaggio, hanno smesso di giocare a calcio subito dopo il gol e hanno sistematicamente pensato a non far giocare l'avversario. Tutto lecito, tutto bene. Non fosse per il modo adottato per raggiungere l'obiettivo. Cavanda finge di avere i crampi, Marchetti simula palesemente un colpo alla testa mai subito e resta a terra quattro minuti, altri si rotolano sul campo senza essere stati toccati. L'arbitro Peruzzo, non un granché la sua direzione a dire il vero, ha avuto un coraggio insolito per i nostri scarsissimi direttori di gara e ha concesso ben otto minuti di recupero. Bel segnale. Vedremo se altre giacchette nere, gialle, blu e fucsia faranno lo stesso o se sarà stato, come temo, un caso isolato. Altro tema su cui rifletto sin dal 3-0 rifilato all'Inter due settimane fa e per cui credo che il calcio nostrano non abbia alcuna speranza di risollevarsi dal pantano in cui è sprofondato: la Fiorentina aveva battuto piuttosto casualmente l'Inter, ma il risultato roboante aveva cancellato tutti i dubbi sul non gioco della Viola. I bei gol di Babacar e Cuadrado avevano messo a tacere i critici, ma che si trattasse di una serata del tutto anomala lo ha dimostrato il gol messo a segno dal giocatore più scarso in rosa ovvero Tomovic. In altre parole il risultato in questo calcio ormai periferico pure a se stesso è l'unica cosa che conta ed è uno dei motivi per cui siamo condannati a vedere tornei sempre più brutti e stadi sempre più vuoti.

Dicevamo poi della fine del ciclo-Montella. Parliamoci chiaro: se Rossi rientra prima di marzo la Fiorentina ha qualche speranza di arrivare quinta o quarta, altrimenti sarà settimo posto e non di più. Il primo anno montelliano la Viola giocava bene, aveva ritmo, qualità in mezzo al campo, ma aveva soprattutto Jovetic, giocatore mai considerato per il suo reale valore. Finalizzatore perfetto in una squadra che aggirava l'avversario palleggiando magnificamente. L'anno scorso ci ha pensato Pepito Rossi a mascherare le lacune di gioco espresse per buona parte della stagione (15 reti in meno di mezzo campionato giocato), ma la Fiorentina stava lentamente perdendo identità. Cosa è successo dal gennaio scorso a oggi? Difficile dirlo, ma pare evidente che sia scemato l'entusiasmo nel gruppo. Il mercato invernale della scorsa stagione ha dato un segnale chiaro al tecnico: la Fiorentina non può, o non vuole, investire più di quanto la società stessa riesce a produrre. Un concetto che andrebbe applicato universalmente, un'idea condivisibile e forse l'unica che può salvare questo sport bellissimo, ma oggi questo significa non poter competere per vincere.

Gli acquisti di Gomez e Rossi avevano forse illuso Montella, il quale si è ritrovato con una squadra poco più che normale causa la iella nera che si è abbattuta sulla Fiorentina dell'anno scorso e proprio sul più bello. La voglia di fare calcio viene soprattutto dall'allenatore e Montella pare aver perso quel desiderio sportivo sano e propositivo. Sono illazioni naturalmente, ma l'impressione è proprio questa. La società è nelle mani di troppa gente, male comune a quasi tutti club italiani. L'allenatore deve subire scelte tecniche fatte da altri (siamo sicuri che Montella abbia chiesto Badelj, Brillante, Basanta, Marin ecc.?). Il mercato estivo è relegato in blocco a scaldare la panchina. La formazione in campo è oramai da sette giornate la stessa dell'anno scorso senza Rossi e Gomez e con Babacar e Bernardeschi che sembrano dei predestinati, ma fra il destino e il presente ce ne corre parecchio.

Della Valle, nel dopo partita, si è lasciato andare a dichiarazioni francamente incomprensibili: "qualcuno dovrebbe pensare a vincere invece che ai rinnovi contrattuali". Ma se proprio i giocatori in scadenza di contratto (Aquilani e Neto) sono risultati i migliori in campo! Temo che non sarà una stagione facile per la Viola. Tutto è ancora in discussione e le sette giornate appena giocate sono poco per pesare la reale consistenza della squadra, ma ci sono troppe cose che non tornano, troppo moscia la squadra e troppo rassegnato l'ambiente. E non sono buoni segnali.

Cibali

13 ottobre 2014

Hey Jude

Bella (per modo di dire) l'ultima settimana. Campionato in sosta, nazionali in campo. Anche l'Italia, certo. Ma in Italia - nei bar, sulle antenne locali e no, sui giornali - l'argomento principale è sempre quello: Juventus-Roma. Lo 'scandalo' arbitrale. La moviola in campo. Le dichiarazioni (a freddo e a caldo, in risposta ad altre dichiarazioni) dei protagonisti. Ah, e le ridicole statistiche che in certe redazioni hanno cucinato e poi messo in tavola: il numero dei calci di rigore (a favore e contro) nella storia delle tre grandi e delle medio-grandi a partire dal campionato 1929-30, oppure negli ultimi 50 anni, oppure nel dopo-calciopoli. Statistiche la cui totale irrilevanza è chiara anche a un neonato.

Certo, il boccone era grosso. Il nostro sistema calcistico, in tutte o quasi le sue componenti, non gradisce che si discuta di football. Sembra anzi attendere, ansiosamente, episodi come quelli dello Juventus Stadium, onde poterne parlare a vanvera per giorni e giorni. Certo, meglio la pseudo-polemica rovente dopo uno scontro di vertice che incidenti accoltellamenti e morti ammazzati. Arriveranno anche quelli. Nel frattempo, 'godiamoci' le accuse alla Juventus, le contro-accuse degli juventini, i falsi richiami all'abbassamento dei 'toni' (un corno: più chiasso c'è, più la gente si diverte).

Nel frattempo, nulla all'orizzonte si intravede che possa contribuire a porre le basi per 'curare' il 'malato': che il calcio italiano sia 'malato' è cosa che si sente dire da anni, ma per molti non lo è affatto, poiché garantisce affari e impunità. La presidenza federale ha un asso nella manica: la sperimentazione delle tecnologie nel campionato primavera. Esperimento pilota, che potrebbe/dovrebbe innalzare la modesta considerazione che di 'noi' hanno le istituzioni internazionali. Fumo negli occhi. Perché nessuno sostiene, per esempio, che la primissima (o una delle primissime) cosa da fare sarebbe, semplicemente, obbligare i club a ridurre le rose (spropositate), stabilire un tetto agli ingaggi (amen: non arriveranno più i 'parametri zero' bolliti ma assistiti da famelici procuratori), programmare (almeno programmare) il ritorno della Serie A a un format sostenibile? Semplicemente, perché al 'sistema' non conviene. Sono cose che Lega e Federazione potrebbero tranquillamente fare 'da sole', senza decreti-legge, senza assistenza dalla 'politica'. Proprio perciò non si sognano minimamente di metterle in agenda.

Sempre 'nel frattempo', c'era anche qualche partita da vedere. L'Italia, per esempio. Gli Azzurri, quando incontrano nazionali di secondo o terzo piano, sono obbligati a 'vincere e convincere' (altro luogo comune). Personalmente, non mi è dispiaciuto il gioco proposto contro gli azeri a Palermo. Poteva finire con una goleada, il giudizio sulla qualità della partita non sarebbe cambiato: piuttosto, noto che ormai regolarmente subiamo su palloni alti che piovono nell'area piccola. Buffon è un monumento del nostro calcio, nessuno discute la sua carriera: forse è ora che smetta di inseguire record e limiti la propria attività a campionato e coppe (finché alla Juve lo considereranno affidabile).

I tedeschi campioni del mondo hanno buscato e di brutto in Polonia, fatto storico perché non era mai accaduto. Anche per loro - come è successo in passato ad altre nazionali - la gestione del 'dopo' è complicata. Si intrecciano istanze di rinnovamento (per esempio: sostituire Lahm, ma anche Klose, non è cosa immediatamente semplice) e sicumera, distrazioni mediatiche, stanchezza da eccesso di vittorie nonché - per quelli del Bayern, almeno - un'attitudine agonistica ancora non ben allenata, a questa altezza della stagione. Il solo Lewandowski, tra i suoi pedatori, pareva assatanato. Aveva le sue belle motivazioni, giocando per la Polonia.

Infine, un momento esilarante si è vissuto a Tallin. Giostrava lì la poderosa Inghilterra, che in un'ora di gioco non era riuscita a cavare lo straccio di un gollettino dal proprio sterile ruminìo offensivo. L'Estonia, eroicamente, difendeva lo zero a zero. Il pubblico, a quel punto, forse per irridere gli avversari, si è fatto sentire. Ha reputato che, onde incitare i propri giocatori a stare sulle barricate e magari tentare qualche sortita extra muros, la cosa migliore fosse intonare la melodia di Hey Jude, epocale hit dei Beatles. Il canto non raggiunge nemmeno la fine del ritornello-vocalizzo, che Wayne Rooney, figlio di Liverpool, ha già messo sul piatto uno dei suoi dischi preferiti: un bel calcio franco da fuori area, che muore nell'angolino basso alla destra del portiere, il quale sta forse cercando di ricordare come iniziava la strofa successiva.

Mans

7 ottobre 2014

Calcio e giustizia: l'esegesi delle fonti

Il nostro è un sito di "storia" del football. Come è noto, il metodo storico è quello di ricostruire il passato muovendo dai documenti, dall'"esegesi delle fonti", come si usa dire. E così facciamo in relazione all'affaire Tavecchio [riassunto].

Confrontiamo in primo luogo cinque documenti.

Il primo è il comunicato con cui il 25 agosto 2014 la Federazione Italiano Giuoco Calcio rendeva nota la archiviazione disposta dalla Procura Federale: "Il Procuratore Federale, esaminati gli articoli di stampa, gli esposti presentati, i filmati acquisiti e la documentazione trasmessa dalla FIGC alla FIFA e alla UEFA, ha disposto l’archiviazione del procedimento avente ad oggetto: “Frasi pronunciate dal presidente della Lega Nazionale Dilettanti durante l'Assemblea del 25 luglio 2014 ed in altre interviste ad organi di stampa”, perché non sono emersi fatti di rilievo disciplinare a carico del neo presidente della FIGC Carlo Tavecchio sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo" [fonte].

Il secondo è la dichiarazione alle agenzie di stampa, il medesimo 25 agosto 2014, da parte del presidente della FICG Tavecchio: "Le decisioni della magistratura non si commentano, se ne prende atto. Se sono positive, ovviamente col sorriso" [fonte].

Il terzo documento è il comunicato odierno - 7 ottobre 2014 - della Union of European Football Associations, che annuncia le sanzioni a carico del Presidente della FIGC: "Today, the UEFA Control, Ethics and Disciplinary Body (CEDB) has rendered its final decision concerning Mr Carlo Tavecchio, President of the Italian Football Federation (FIGC). Following a request for information made by UEFA to the FIGC, on 20 August 2014 the UEFA Chief Ethics and Disciplinary Inspector opened a disciplinary investigation regarding alleged racist comments made by Mr. Tavecchio during his FIGC presidential election campaign. At the request of the UEFA Chief Ethics and Disciplinary Inspector disciplinary proceedings were opened against Mr. Tavecchio on 29 September 2014. After having analyzed the case file and the statements submitted by both parties, the CEDB has decided, based on Articles 6, 7, 14(1) and 34(5) DR [in the spirit of UEFA’s Resolution entitled European Football united against racism] and taking into account Mr. Tavecchio’s decision to immediately refrain from participating in any UEFA’s activity pending the resolution of the matter, as follows:
- Mr. Tavecchio will be ineligible for any position as a UEFA Official for a period of six months starting from the communication of this decision;
- Mr. Tavecchio will not participate in the next UEFA Congress scheduled for 24 March 2015;
- Mr. Tavecchio will organize a special event in Italy aimed at increasing awareness and compliance with the principles of UEFA’s Resolution entitled European Football united against racism.
According to Article 63 of the UEFA Disciplinary Regulations, the CEDB decision is immediately enforceable" [fonte].

Il quarto documento è il comunicato - odierno anch'esso, 7 ottobre 2014 - della FIGC che annuncia la "chiusura del procedimento" UEFA nei confronti del presidente della FIGC: "In merito al procedimento avviato dalla UEFA nei confronti del Presidente della FIGC per le espressioni usate il 25 luglio scorso in occasione dell’assemblea della Lega Nazionale Dilettanti, Carlo Tavecchio, dopo aver spiegato la propria posizione, ha preso atto della proposta formulata dall’Ispettore Disciplinare della UEFA e ha deciso di accettarla al fine di evitare il protrarsi di un contenzioso che avrebbe visto contrapposte la UEFA e la FIGC per un lungo periodo e che si sarebbe potuto risolvere solo davanti al TAS per stabilire se la UEFA fosse competente ad intervenire su questa materia, stante l’avvenuta archiviazione di un analogo procedimento da parte della Procura Federale. Il Presidente Tavecchio ha dunque aderito alla proposta dell’Ispettore Disciplinare della UEFA, il quale ha chiesto che Tavecchio si astenga dal partecipare al Congresso della UEFA in programma il 24 marzo 2015 e si astenga altresì dal partecipare o dal farsi nominare in eventuali Commissioni UEFA per un periodo di sei mesi. Tavecchio si è poi impegnato con la UEFA ad attivare in Italia una speciale iniziativa in favore dell’integrazione, come del resto aveva annunciato già in occasione della presentazione del suo programma. La definizione così concordata tra il Presidente Tavecchio e l’Ispettore Disciplinare della UEFA è stata recepita dalla Commissione Disciplinare con una formale decisione che pone fine al procedimento" [fonte].

Il quinto documento è la dichiarazione alle agenzie di stampa, sempre datata 7 ottobre 2014, da parte del presidente della FICG Tavecchio: "Le sentenze non si commentano, si rispettano, ma non cambia nulla riguardo alla mia posizione in Figc" [fonte].

Ora, non occorre essere degli storici di professione per farsi un'idea della vicenda senza farsi sommergere dai commenti giornalistici, politici e moralisti di queste ore. Gli elementi d'analisi sono semplici:
1) Il Procuratore della FIGC, Stefano Palazzi, archivia la vicenda perché non ravvisa "fatti di rilievo disciplinare" nelle "frasi" (senza ulteriore aggettivazione) pronunciate da Tavecchio.
2) La Procura della FIGC "dipende" dalla FIGC, non è autonoma come la magistratura ordinaria.
3) Dunque il dipendente non ha sanzionato il proprio superiore, argomentando che le "frasi" incriminate non avevano alcuna qualificazione razzista.
4) L'UEFA, invece, non ha una procura giudiziaria, ma solo un "Control, Ethics and Disciplinary Body" [CEDB], che commina sanzioni di ordine morale e disciplinare.
5) Il Body dell'UEFA ha invece ravvisato nei medesimi fatti giudicati privi di rilievo disciplinare dal Procuratore della FIGC degli elementi - "racist comments made by Mr. Tavecchio" - tali da inibire il presidente della FIGC per sei mesi dall'assumere cariche "as a UEFA Official" e dal partecipare al prossimo Congresso della UEFA.
6) Il Body dell'UEFA ha inoltre disposto che Tavecchio organizzi uno "special event in Italy" che favorisca la consapevolezza e il rispetto dei principi della UEFA’s Resolution sull' "European Football united against racism".
7) In sostanza, l'UEFA ha ravvisato, senza dubbio alcuno, degli elementi di "razzismo" nelle frasi del Presidente della FIGC, e lo ha sanzionato.
8) Il comunicato della FIGC presenta invece le disposizioni disciplinari dell'UEFA come una "chiusura del procedimento", si riferisce genericamente alle "espressioni usate" da Tavecchio senza riconoscere che l'UEFA le ritiene "razziste", e illustra le decisioni dell'UEFA come se fossero state concordate tra Tavecchio e l’Ispettore Disciplinare della UEFA e poi "recepite dalla Commissione Disciplinare con una formale decisione che pone fine al procedimento".
9) In realtà le cose sono andate diversamente da come prova a raccontarle il comunicato della FIGC: l'UEFA non ha concordato nulla, perché il modello procedurale della UEFA è "triadico": il CEDB ha dapprima "analyzed the case file and the statements submitted by both parties" e poi "has decided" di sospendere per sei mesi Tavecchio da "any UEFA’s activity".
10) Il comunicato FIGC cerca di camuffare la sostanza provando a far credere che Tavecchio avrebbe "aderito alla proposta dell’Ispettore Disciplinare della UEFA" e alla sua "richiesta" che "Tavecchio si astenga dal partecipare al Congresso della UEFA in programma il 24 marzo 2015 e si astenga altresì dal partecipare o dal farsi nominare in eventuali Commissioni UEFA per un periodo di sei mesi".
11) Quello che la FIGC - cioè Tavecchio e i suoi legulei - spaccia per "chiusura del procedimento" è in realtà una sanzione chiara e netta per accertato "razzismo".
12) Ovvio che Tavecchio non possa che "prendere atto" e "decidere di accettare" la decisione dell'UEFA. Ma non certo "al fine di evitare il protrarsi di un contenzioso che avrebbe visto contrapposte la UEFA e la FIGC per un lungo periodo e che si sarebbe potuto risolvere solo davanti al TAS per stabilire se la UEFA fosse competente ad intervenire su questa materia", come cerca di far credere. I motivi sono altri: il TAS avrebbe anche potuto inasprire le pene; l'obiettivo è invece quello di gettare sabbia, sperando nell'oblio del tempo.
13) Le dichiarazioni di Tavecchio in persona insistono infatti su un punto: "non cambia nulla riguardo alla mia posizione in Figc".

Questi gli elementi essenziali dell'esegesi delle fonti. Altri se ne potrebbero aggiungere, a cominciare dal linguaggio - normativo e formale quello della FIGC, etico e sostanziale quello dell'UEFA - che rinvia alle diverse tradizioni della cultura giuridica italiana rispetto a quella continentale. E così via. Ma ci fermiamo qui. Il lettore si sarà già formato la propria opinione.

Quella di Eupallog è di severa censura dell'arroganza di questo potere meschino e mediocre e di denuncia di un sistema che utilizza i metodi democratici di elezione (di cui è andato perduto il significato originario del termine eligere: "scegliere") per legittimare comportamenti illegali di una casta autoreferenziale che non persegue il bene comune ma agisce ormai in modo scopertamente tirannico, come ci ricordano ogni giorno le gesta di un Claudius Lotitus. Tristemente analoghe a quelle di molti altri personaggi che si aggirano impunemente nel Palazzo.

6 ottobre 2014

Ricominciamo da tre

In ripa Arni

Ha vinto tre a zero la Fiorentina ieri sera e questa, per la stagione appena iniziata, è una notizia. Che siano stati davvero i pantaloncini neri e il nuovo main sponsor (come va di moda dire ora) a portare fortuna? I giornali di Firenze oggi titolavano tronfi: "Inter al tappeto"; "Inter annientata"; "Viola superbi, Inter distrutta" e via su questo tono. Ho visto la gara, naturalmente e ho gioito per metà: la metà del tifoso che alberga in me e che talvolta travolge l'altra metà, quella un po' meno esagitata e più amante del calcio in quanto gioco bellissimo.

È vero, la partita è stata giocata bene e la vittoria non è mai stata in discussione, ma non ho visto nessuno travolgere nessuno. Non ho visto ancora la Fiorentina spettacolare dei primi diciotto mesi montelliani. Quella di ieri è, a mio avviso, una vittoria frutto di alcuni fattori concomitanti e piuttosto casuali. Il primo fattore è Mazzarri. Il secondo è il tema calcio nella sua sostanza costitutiva e il terzo è il fattore C come casualità, appunto. Partiamo dal primo: schierare la difesa a tre contro l'attacco della Fiorentina in cui manca un vero centravanti e, gioco forza, Montella deve far svariare Cuadrado come e dove vuole il colombiano, è un suicidio tattico annunciato. Ma insomma, come puoi opporre tre giganti più statici dei bronzi di Riace dinanzi a un ragazzino del '93 e a un altro che si è costruito l'ingaggio sulla capacità di saltare l'uomo in un centimetro quadrato? Mazzarri ieri sera non ci ha capito molto così come non ci ha capito molto quando ha schierato i due mediani davanti alla difesa a tre opposti a Aquilani e Pizzarro che scendevano a turno a prendersi la palla da Gonzalo Rodriguez e facevano ripartire la manovra viola dalla tre quarti. Osvaldo e Icardi sono molto bravi, ma hanno predicato nel deserto per tutta la partita stritolati dai centrali della Fiorentina. In occasione del gol di Tomovic poi, si è vista una difesa, quella nerazzurra, che sembrava appena acquistata all'Ikea, ma ancora da montare; segno evidente di una mancanza totale di autostima e motivazione. Cosa avrà detto Mazzarri nell'intervallo?

Il secondo fattore dicevamo è il tema costitutivo del calcio stesso, ovvero il calcio è un gioco di squadra e noi italiani per troppi anni, come dice Arrigo Sacchi, lo abbiamo interpretato come gioco individuale. Partiamo dal singolo per arrivare alla squadra. Atteggiamento ormai intollerabile. L'errore che ha fatto Mazzarri ieri sera, e forse lo fa imperterrito da quando allena, è quello di basare tutto sull'individualità, sulle capacità dei giocatori che hanno più talento, senza adattare mai il gioco della squadra al materiale a disposizione. Non sembra elastico e ieri è stato punito. Ma al tempo stesso se Babacar non trova quel gol bellissimo, frutto di un colpo estemporaneo (certo voluto, ma inventato al momento), non sono così sicuro che avremmo vinto con facilità la partita. Ed è qui che entra il terzo fattore. Quello che dovrebbe suggerire più cautela ai pennaioli in ripa Arni. Contro il Genoa la Fiorentina aveva creato di più e espresso un gioco più spettacolare, più offensivo, più positivo. Contro il Sassuolo pure e anche a Torino la Viola aveva fatto girare palla molto bene verticalizzando sempre al momento giusto. Ma ieri la Fiorentina ha vinto tre a zero contro una delle dirette concorrenti per la qualificazione europea. Ecco qual'è il metro di giudizio di noi calciofili italiani: il risultato. Conta solo quello e tutte le valutazioni a posteriori dipendono da quello. La Fiorentina ha forse svoltato ieri e il suo campionato ricomincerà dai  tre gol rifilati all'Inter. Noi però dobbiamo cambiare prospettiva una volta per tutte e guardare oltre il risultato perché se non ci riusciamo il nostro calcio è destinato a morire di morte lenta e dolorosa.

Cibali

Ossessioni e pregiudizi

Cartoline di stagione: 8° turno 2014-15

Sanchez ha il piede sul pallone, Cahill no
Tutto sommato, se i supporters dell'Arsenal vanno a Stamford Bridge lanciando fumogeni (ispirati dagli 'amici' del Galatasaray), se Wenger a un certo punto incorna o quasi Mou (per la mancata espulsione di Cahill, zompato gentilmente sui garretti di Sanchez); se il derby londinese è definito 'selvaggio' dai disincantati commentatori del "Guardian" [vedi], perché scandalizzarsi di quello che abbiamo visto allo Juventus Stadium nel tardo pomeriggio?

Protagonisti e osservatori hanno naturalmente potuto sfogare le loro diuturne ossessioni arbitrali. I romanisti e filo-romanisti (o semplicemente gli anti-juventini) sostengono che Rocchi abbia praticamente servito le paste a Nostra Signora, inventando due rigori e convalidando il gol - l'ultimo e decisivo - di Bonucci, viziato da posizione di fuorigioco attivo di Vidal. Sono opinioni basate più sui pregiudizi che sulla moviola. I meno fanatici puntano il dito contro i calciatori, colpevoli di interpretazione agonistica eccessiva. Perché - s'intende - innervositi dal 'metro' di Rocchi. Il campionario dei commenti a questa partita è archetipico di tutta una tradizione recente: le partite sono decise dagli episodi, ma gli episodi sono formalizzati dall'arbitro. E' il giudice che scrive le sentenze, anzi le partite.

Episodi discutibili e discussi. Ma episodi
Storie. A mio parere, questa corrida va letta così.

1) Giocare a calcio in quello stadio è difficile, per chi non ha voglia di farsi mettere sotto dai padroni del medesimo. Arbitrare lo è ancora di più. Per rendersene conto è sufficiente sedersi davanti alla tv e infilarsi un paio di cuffie, onde meglio apprezzare l'original soundtrack. Sin dal primo istante, boati d'inferno per i fischi arbitrali contro i bianconeri; boati di volume ancora più alto per gli interventi fallosi degli avversari; boati inimmaginabili per ogni presunto fallo laterale non concesso ai padroni di casa; aggressioni verbali (e non solo) ai giocatori della Roma in tribuna. Una pressione ambientale abnorme, violenta e incessante, un clima francamente eccessivo. Non si tratta della 'curva', si tratta dello stadio intero. In questo senso, non ricordo situazioni analoghe, e va detto: a Torino si è giocato ieri (e non so se capiti normalmente) in un'atmosfera intimidatoria, incivile. A voler essere meno categorici, decisamente sgradevole. A riprova (non necessaria) di come nel nostro sistema risse e nervosismo sul campo siano soprattutto gli effetti di questa atmosfera: non del Rocchi di turno con i suoi fischi o con i suoi 'silenzi'.

2) Abbiamo visto un match equilibrato, corso sempre sul filo. Con fasi alterne di supremazia territoriale, poche occasioni, qualche bella giocata dei soliti noti. L'impressione è che i due XI, nei diversi sistemi di gioco, si equivalgano o quasi. Forse, la Juventus ha ancora qualcosa in più. Può variare i modi con cui essere velenosa. La Roma è pericolosissima nelle combinazioni veloci, palla a terra. Se trova spazi, è irresistibile; la Juventus ne concede pochi. In termini di gioco, senz'altro un pareggio sarebbe stato più onesto, ma nessuno può altrettanto onestamente sostenere che la Juventus abbia rubato i tre punti. Non Garcia e Totti e Sabatini; così come Marotta non dovrebbe rispondere alle polemiche dicendo che alla Juve mancano due scudetti. Che c'entra? Il peggio - questa è la realtà - lo offrono sempre quelli che in campo non vanno. Ovunque, sui campi italiani. E di questo 'peggio', l'arbitro è sempre il meno responsabile.

Insomma, non è stato un week-end memorabile. Nemmeno altrove. In Germania e in Inghilterra i campionati hanno già il loro preciso solco: sarà l'ennesimo anno del Bayern e la fine dell'astinenza del Chelsea, con conseguenti teatrini egotistici dell'uomo di Setubal. Del resto, i Gunners mostrano la loro sempiterna fragilità, mentre il Liverpool cerca disperatamente se stesso (sabato ha trovato un brodino, accantonando Mario ...) e lo United è in fase di progettazione. L'Atletico - bastonato a Valencia - pare consunto, e difficilmente riuscirà a competere in Liga, dove se la sbrigheranno more solito Barça e Real. Restano Francia e Italia. Indecifrabile quest'anno il torneo dei cugini, vista la fatica del PSG e la freschezza dell'Olympique. In Italia sarà duello per il titolo e ammucchiata per il terzo posto, sino allo sfinimento. E sfinimento (nostro) di bruttezze e gratuite polemiche. Che vadano tutti a quel paese.

Mans

2 ottobre 2014

Allergie alla coppa

Fettine di coppa: secondo turno 2014/2015

Qualcosa accomuna due club che, negli ultimi anni, hanno costruito un dominio significativo nei rispettivi paesi. Juventus e Manchester City, campioni d'Italia e d'Inghilterra in cinque delle ultime sei stagioni, regolarmente, in Europa, steccano. Sono allergiche alla musichetta. Smarriscono la propria identità, perdono le partite importanti, o non le vincono. Ora, la cosa è accettabile parlando della Juventus: squadra prepotente e inarrivabile e apparentemente di un altro pianeta nella declassata Serie A, quando passa i confini - è luogo comune, ormai - diventa più timida di una matricola; semplicemente, patisce e riflette la debolezza del sistema. La questione è meno comprensibile se si parla dei Citizens, abituati in Premier a rivaleggiare (superandoli di frequente) con club che, negli ultimi dieci anni, almeno una volta in cima all'Europa ci sono arrivati (Chelsea, United, Liverpool) o quasi (Arsenal), e che occupano posizioni di prestigio nel ranking Uefa; i Citizens vantano una rosa ampia e di grande qualità, possono permettersi di acquistare campioni e di venderne a capriccio, dovrebbero essere stabilmente (come minimo) tra le prime otto/quattro d'Europa (più avanti rammenterò le loro performance recenti), cosa che dalla Juve si desidererebbe ma è difficile 'pretendere'. Tra i due club c'è un notevole dislivello, se si parla di ricchezza e di tradizione: ma la Juve non riesce a compensare la propria (relativa) povertà con la tradizione, e una tradizione è difficile da fondare anche disponendo di risorse illimitate, come sta accadendo agli Sky blues. Una tradizione, un atteggiamento, un'abitudine; peraltro, anche la Juventus vanta una storia internazionale densa di delusioni: ma, in passato, sbandava spesso e solo all'ultimissima curva; ora, cade sempre alla prima salita, svelando immediatamente le magagne che in patria le è permesso di occultare.

Mario Mandžukić e José Martín Cáceres
La sfida portata all'Atletico sul campo contiguo al Manzanarre ha confermato anche la modestia tattica (da noi ben risaputa e più volte rimarcata) di Allegri, al quale si sono aggrappati i fan di Nostra Signora sedotti e abbandonati da Andonio Gonde. Il quale, come allenatore, vale molto (ma davvero molto) di più dell'ex pilota inabissatore del Milan. Questa Juventus - più tranquilla, più sagace, più consapevole, che finalmente ha capito come deve giocare Tevez, che non si spreme più del necessario, che uccide le partite quando è il momento di ucciderle (non un minuto prima, non uno dopo), dicevano i commentatori rinfrancati - è riuscita nell'impresa di farsi infinocchiare dall'Atletico esattamente nel modo che Simeone aveva pianificato. L'unico possibile. Le statistiche dicono molto, per una volta: i bianconeri hanno dominato nel possesso palla - sì, ma la palla ristagnava (nelle fasi di possesso) a non meno di quaranta metri dalla porta dei Colchoneros; i bianconeri non hanno tirato una sola volta nello specchio della porta; i bianconeri hanno persino commesso più falli (28) dei materassai (21), pur essendo stati proprio gli uomini del 'Cholo' a mettere il match sul tema del corpo a corpo insistito, dello spezzettamento inesausto, del nervosismo strategico. Una trappola perfettamente preparata, nella quale la Juventus è precipitata nel momento peggiore: a un quarto d'ora dalla fine. L'azione del gol ha rispecchiato perfettamente l'insipienza dei nostri, caduti ovviamente sul dettaglio: il pallone spiove in area (situazione di pericolo risaputa, contro coloro) e lo mette in rete Arda Turan, ma è un pallone che arriva sul piede del turco perché - in mezzo all'area - si è creato un mismatch, ovvero un duello aereo tra Caceres e Mandžukić, con dieci centimetri e dieci chili di differenza a favore del secondo, che non inzucca ma fa volare via l'uruguagio (al quale, dopo la collisione, esce la spalla). Fine della partita, il tempo restante è stato probabilmente il meno 'giocato' (parlo di tempo di gioco effettivo) nella storia della Champions League.


All'Etihad, invece, martedì si è visto del bel calcio. Ma - attenzione - il City è una squadra che prevale sulla lunga distanza, è una squadra da campionato. In quaranta partite, l'ampiezza della rosa (e la varietà dei sistemi di gioco) è un atout mica da ridere. Il test, per la Roma, era dunque e decisamente più morbido di quello affrontato dalla Juventus. Quel che l'Atletico non concederebbe nemmeno sotto tortura, il City addirittura regala (spazio dietro le linee, spazio davanti all'ultima linea). Difficile immaginare due modi di difendere più lontani: tanto è feroce e concentrato quello dell'Atletico, tanto è distratto e talora disinteressato quello del City. Anche l'intensità della pressione ambientale è agli opposti - e rilevata da gente come Scholes e Ferdinand [vedi], abituata a ben altre situazioni nella stessa città ma nell'altro stadio (quello 'vero'). Non a caso, nelle ultime tre edizioni della coppa, i Citizens hanno superato una sola volta la fase preliminare, fermandosi però alla stazione successiva. Il Milan, nelle stesse annate, ha sempre fatto meglio di loro. Ed è detto tutto.

Infine, un pensiero mesto per la confermata dissoluzione del Liverpool. Un'altra sconfitta, sul campo teoricamente non inespugnabile del Basilea: il glorioso St. Jakob. Da lì, idealmente e malinconicamente, arriva questa cartolina.

Mans