20 novembre 2017

Mayday, stiamo precipitando!

Addio Milan!

Oggi voglio parlare del Milan con poca emozione, affrontando la problematica attraverso due punti di vista apparentemente sconnessi ma incredibilmente correlati. 

La questione tattica: l’operato di Montella

Ho osservato la partita col Napoli (e quelle precedenti) con grande attenzione, cercando di individuare una serie di problematiche comuni allo schieramento tattico del Milan. È lampante l’utilizzo di una difesa a quattro in fase di non possesso, schierata con Borini a destra, Musacchio/Zapata centro-destra, Bonucci centro-sinistra e Romagnoli/Rodriguez a sinistra. In fase di possesso invece la squadra beneficia di un’impostazione a tre, con Borini e Bonaventura (o chiunque giochi sull’esterno sinistro) che si alzano per cercare di creare superiorità sulle fasce. Il Milan però ha i maggiori problemi in fase di transizione negativa, cioè quelle situazioni di gioco in cui non ha il tempo materiale per disporsi secondo previsione e deve operare delle 'scalate'. In questo senso l’equivoco tattico maggiore è rappresentato dalla posizione di Borini, ma più in generale dalla coppia che forma sulla destra con Musacchio (oppure con Zapata, quando il colombiano viene preferito all’argentino). 

Partiamo dall’analizzare una situazione di gioco che qualsiasi allenatore prepara quando gioca contro il Napoli: la difesa sul taglio alle spalle di Callejon.

Musacchio esce su Insigne (essendo il centrale di destra quello deputato agli anticipi) e Borini occupa l’insolita posizione di terzo centrale. Si vede chiaramente che vengono entrambi attratti dalla palla, lasciando un taglio solare per Hamsik, perfettamente in gioco. Romagnoli chiama il fuorigioco (non può nemmeno vedere dove sia il suo diretto avversario) e Callejon arriva a concludere.



Nell’episodio del gol del vantaggio di Insigne succede qualcosa di assolutamente analogo. Musacchio (cerchio rosso) viene attratto da Mertens che lo porta fuori anticipandolo nettamente. Borini (cerchio blu) scala ad occupare la posizione di centrale di destra, ma sbaglia i tempi del fuorigioco con Romagnoli e decide di non seguire il taglio di Insigne. In realtà ci sarebbe nuovamente una traccia esterna solare per Hamsik che viene lasciato libero da Suso (che non ripiega) e da Kessié, impegnato sostanzialmente a controllare l’arbitro. È mai possibile che un ex-attaccante, seppur chiaramente limitato dal punto di vista tecnico, occupi costantemente la posizione di centrale di difesa? In realtà Borini non sbaglia in senso assoluto, c’è spazio per fare il fuorigioco, ma manca affiatamento a livello di reparto (come potrebbe essere altrimenti) e i tempi sono completamente errati. 

Assodato che la fase di transizione negativa lasci parecchio a desiderare, a difesa schierata non va affatto meglio.



La linea arancione connette quelli che dovrebbero essere i quattro difensori in fase di non possesso. Ancora una volta Borini e Musacchio sono attratti dal pallone e lasciano completamente libero Hamsik. L’interpretazione di Romagnoli e Bonucci è corretta, mentre Kessié deve preoccuparsi del giocatore del Napoli che occupa la posizione di esterno sinistro. È Montolivo quello che dovrebbe uscire su Jorginho, ma è in colpevole ritardo. Anche a difesa schierata Borini e Musacchio sbagliano nelle intenzioni e nei movimenti e Hamsik arriva a concludere indisturbato. 

Dal punto di vista offensivo invece, la manovra del Milan oscilla tra un possesso di palla orizzontale, decisamente sterile, ed una serie di scelte sbagliate che vengono costantemente ripetute in fase di costruzione avanzata.




In questa situazione Suso potrebbe beneficiare di 3 movimenti molto interessanti, ma sceglie di tirare nonostante ci sia poco spazio per far passare il pallone. Kalinic e Bonaventura tagliano correttamente sul secondo palo, mentre Borini si sovrappone con i tempi giusti. In generale l’area di rigore è ben occupata eppure il trequartista del Milan opta per la soluzione peggiore.




In quest’altra istantanea, invece, si evidenzia benissimo quanto sia sterile la manovra negli ultimi trenta metri. Bonaventura trova palla tra le linee, una zona molto interessante. Kalinic è già in fuorigioco, prima che si possa operare qualsiasi scelta, mentre Andrè Silva è pigro: non fa un movimento ovvio in profondità, rimane statico nella sua zona. Allo stesso modo Kessié avrebbe una ghiotta traccia esterna da occupare, ma decide ancora una volta di restare in una zona di comfort. Bonaventura è dunque costretto a tirare da molto lontano, senza forza e con scarso successo. In generale il Milan attacca pochissimo gli spazi in fase offensiva, vuoi per caratteristiche dei singoli giocatori o per le scelte tattiche adottate. Questo semplifica in maniera sostanziale le letture difensive delle squadre avversarie che devono limitarsi a delle marcature a zona molto statiche, a tratti addirittura piacevoli per le gambe. 

Purtroppo è soltanto questo quello che è stato capace di costruire Montella in cinque mesi pieni di lavoro: una macchina assemblata in maniera lacunosa oltre ogni ragionevole limite dei singoli.

La questione societaria: dal mercato alle miniere di fosforo
Gli acquisti operati da Mirabelli appaiono superiori, sul piano prettamente qualitativo, ai giocatori che lo scorso anno hanno saputo regalare una stagione quantomeno dignitosa. Tuttavia sono tutti molto simili per caratteristiche e ovviamente condividono anche tanti difetti. La rosa è globalmente molto lenta e ambigua dal punto di vista tattico: Kessié non è un recuperatore di palloni puro e Calhanoglu oscilla tra quattro o cinque ruoli diversi senza conoscere esattamente i compiti di nessuno di essi. Andrè Silva e Kalinic si pestano continuamente i piedi e Musacchio non sta facendo altro che rimarcare le tante lacune già mostrate ai tempi della Liga: scarsa velocità di pensiero e di lettura, estrema superficialità nelle chiusure preventive e prestanza fisica limitata. Tutte ragioni per le quali non è mai entrato nel giro dei preferiti di Sampaoli (che invece convoca Fazio e Pezzella). Bonucci e Biglia dovevano essere quelli di sicuro affidamento e se il primo appare in leggera ripresa, il secondo soffre di continue problematiche fisiche che ne limitano l’apporto e la costanza. Questo aspetto non deve stupire: l’argentino è prossimo ai 32 anni e ha sempre sofferto di problemi muscolari. Forse con 20 milioni e un pizzico di fantasia in più quel ruolo poteva essere coperto meglio. 

Poi c’è tutta la questione delle miniere di fosforo che non esistono. I continui attacchi della stampa mondiale (non più soltanto italiana) sono assolutamente giustificati: in sei mesi nulla è stato chiarito dal punto di vista societario ed il Milan sembra destinato a passare di mano, da un avvoltoio all’altro. A Milanello si lavora sotto una pressione enorme, dettata anche da quelle che sono le condizioni finanziarie del club. Probabilmente tutti percepiscono una certa inquietudine, la stessa che permea i tifosi quando si parla di futuro. In questo contesto, tra continue speculazioni ed accuse, diventa molto difficile lavorare. Il NYT accusa Yonghong Li di truffa e falsificazione di documenti e la società non reagisce, subisce in silenzio senza possibilità di smentire. È arrivato il momento di fare chiarezza, sono i risultati in campo a chiederlo.

Oslo

  

14 novembre 2017

Il calcio ammainato

Per noi (quasi) sessantenni, la mancata qualificazione dell'Italia alla Coppa del mondo costituisce un passaggio inedito, epocale. Cresciuti negli anni del boom economico, dell'uscita dalla povertà, attirati al pallone dalla consapevolezza che italiane erano grandi squadre (squadre grandi nel mondo, non solo a casa nostra) e italiani grandi giocatori, sopportammo con stupore ma senza che la fiducia in giorni migliori venisse meno anche la brutta (clamorosamente brutta) prestazione in Inghilterra durante l'estate del 1966. E infatti, di lì a un paio d'anni diventammo campioni d'Europa e dopo due anni ancora contendevamo al magno Brasile la conquista definitiva della Coppa Rimet.

La storia più recente dice che sempre (nel '98, nel 2002, nel 2010) le delusioni, le sconfitte sono arrivate perché così è il calcio. Si vince e si perde. Si esce da un torneo per un gol sbagliato, per un arbitraggio scellerato, e in novanta minuti anche la Nuova Zelanda potrebbe mettere in difficoltà un undici non al meglio della condizione. E' nostra (non solo nostra) consuetudine, in questi casi, licenziare l'allenatore e invocare rivoluzioni a livello 'politico'. Le sconfitte sul campo trovano ragioni soprattutto fuori dal campo, e a spiegarle bastano, da un lato, l'inadeguatezza dei 'capi', dall'altro la mancanza di idee, l'assenza di progetti non destinati a un rapido accantonamento.

C'era, questa volta, la sensazione netta che gli azzurri sarebbero arrivati in Russia poco competitivi. Non c'era però il pensiero che - in Russia - gli azzurri non ci sarebbero andati. Sui media la caccia ai colpevoli, le analisi 'politiche' occupano parecchio spazio, ma il calcio è materia opinabile e dire (per esempio) che avremmo dovuto a suo tempo imitare il modello spagnolo o quello tedesco ha poco senso. Ciascun paese ha i suoi metodi, ma anche la sua tradizione calcistica. Metodi e scuola che trovano il tempo per confrontarsi ogni due anni a livello continentale e ogni quattro a livello mondiale. 

Siamo stati estromessi dalla partecipazione a questo confronto. Siamo stati bocciati. Siamo tornati poveri. Siamo senza futuro. Il calcio si allinea al paese che rappresenta e che viene raccontato. Non abbiamo alcun motivo di essere ottimisti. Nessun giocatore nato in Italia promette di diventare un campione. Soprattutto, percepiamo come di tutto questo non importi poi tanto. Molti desideravano questa umiliazione, per i motivi più diversi e generalmente poco nobili. Di fronte a questo disfattismo, non sappiamo cosa dire. Appendiamo una scarpa al chiodo. Non chiediamo rivoluzioni di sistema, scuole calcio, stadi moderni o chissà cosa. Non chiediamo nulla. Auspichiamo solo che i ragazzini ritornino ad amare questo sport. Che tornino a trascorrere i pomeriggi rincorrendo il pallone su un prato o nel cortile di casa, e non seduti ai tavolini di un bar a ordinare birre sfidando l'amico a Fifa18.

Post scriptum: la partita di ieri. Anzi le due partite. Nessun gol alla Svezia in 180 minuti. E' stata sufficiente una squadra modestissima ma con idee chiare di anticalcio per disinnescare il nostro disordine ansioso. Di solito la fortuna non aiuta quelli convinti senza ragione di meritarla. La Svezia non ha meritato la qualificazione. Ma noi la meritavamo ancora meno di loro.

Mans

2 novembre 2017

Le mezzore del Napoli

Fettine di coppa: CL 2017-18 (quarto turno)

La prima fase della cèmpions volge al termine, alcune squadre sono già matematicamente (City, Tottenham, PSG, Bayern) o virtualmente (Barça e Besiktas) agli ottavi, alcune conseguiranno sicuramente il passaggio nel prossimo turno (UTD) o all'ultima occasione utile (Juventus e Roma fra le altre). Il ritorno delle inglesi (con qualche riserva per quel che riguarda il Chelsea) è prepotente, il calo delle spagnole (per ora, considerando anche l'EL) sorprendente, le italiane vanno abbastanza bene. 

Il Real dove non era mai stato, cioè a Wembley:
Dele Alli fa gli onori di casa
Le giornate centrali del girone (la terza e la quarta) offrono una serie di potenziali sedicesimi, talvolta tra le più forti dei campionatini. Ci sarebbero stati risultati interessanti: per esempio, gli Spurs avrebbero cacciato dalla competizione i detentori, la Roma avrebbe eliminato il Chelsea ma il City sarebbe andato avanti buttando fuori il Napoli, la Juve si sarebbe liberata dei rognosi portoghesi dello Sporting, e anche l'altro club di Lisbona sarebbe uscito, per mano di Mourinho. E non dimentichiamo l'impresa (virtuale) dello Spartak Mosca, virtualmente qualificato con un inaspettato e complessivo sei a tre sul Sevilla. Fuori anche il Monaco (semifinalista un anno fa, ma saccheggiato dai grandi club in estate), 'eliminato' dal Besiktas. Non a caso, queste sono state le partite migliori, le più ricche di emozioni. La coppa è questa: giochi prima a casa tua, poi a casa loro, e chi segna di più va avanti. La formula originaria, o quasi.

I professori vanno al convegno
Tutti i riflettori del mondo, per due settimane, puntati su Napoli e City. Anzi: su Sarri e Guardiola, Guardiola e Sarri. Il Pep un po' esagera. Lo ha fatto anche ieri sera, a fine gara. Ingigantisce l'impresa dei suoi, ingigantendo gli avversari. Conosce l'Italia, dispensa carezze. Sa che per i calciofili delle nostre parti il Napoli è un oggetto di culto, Sarri un alieno. Vede la classifica della Serie A, dove i partenopei primeggiano, studia le statistiche. C'è del vero: il Napoli offre uno spettacolo calcistico senza uguali in Italia, ha - da questo punto di vista - pochi concorrenti anche in Europa. Ma è un meccanismo molto delicato. Ieri sera ha offerto mezzora di trame strabilianti: poi è uscito Ghoulam, e l'edificio è crollato. L'inserimento di Maggio a destra, un disastro, lo spostamento di Hysaj a sinistra pure. La trama del film è improvvisamente cambiata. Si è - anzi - capovolta. L'inerzia del match ribaltata. Sostanzialmente in nove contro undici, i partenopei si sono aggrappati all'orgoglio e alla bombola di ossigeno: non è stato sufficiente, com'è ovvio.

Sì, ma quella mezzora. La stessa mezzora di giramento di testa sofferta dal Real, per dire. Ma Real e City, nelle loro 'mezzore', travolgono gli avversari. Li stendono senza rimedio. Le mezzore del Napoli producono poco, consumano energie e tengono gli avversari in partita. E quando i palloni iniziano a spiovere nell'area di Reina, quando il pressing cala e la geografia del gioco si sposta nella metà campo difensiva del Napoli, gli squadroni come City e Real raddrizzano le partite e le portano a casa. Del resto, se quelle mezzore durassero il triplo, il Napoli non conoscerebbe rivali. Non gli servirebbero campioni di più grande spessore rispetto a quelli che ha: a patto che ci siano sempre quegli undici lì, i supertitolari, quelli che hanno ormai introiettato lo spartito, quelli che potrebbero giocare bendati. Fosse possibile (e non lo è) saremmo di fronte a un'esperienza di calcio inedita e soprattutto vincente. Purtroppo il Napoli di Sarri non ha ancora 'vinto'. Lotterà, si spera, per riprendersi un titolo italiano e mettere fine al dominio juventino. Ma bisogna fare gli scongiuri e 'pregare' per la salute degli undici (non uno di più, non uno di meno) che compongono l'orchestra.

Altrimenti, la Juventus spunterà ancora solitaria sul rettilineo finale. E la Juventus andrà avanti anche nella cèmpions. Raddrizza partite stortissime, come a Lisbona. Gioca male perché non ha uno spartito ma solo un canovaccio, gioca un calcio di posizione e di duetti, il massimo che Allegri sappia chiedere ai suoi è il cosiddetto 'equilibrio', del resto Allegri è uno che di calcio non parla mai, non si capisce bene come la pensi. Ma i giocatori sono forti, più forti di quelli che hanno studiato alla scuola di Sarri. E non c'è nella Juventus un Ghoulam del quale l'uscita dal campo costituisca un dramma.

Mans