10 luglio 2013

Il tramonto dell'Occidente

Esattamente un secolo fa un grande filosofo tedesco, Oswald Spengler, cominciò a concepire l'idea di quello che sarebbe poi diventato il capolavoro della sua vita, Der Untergang des Abendlandes (Il tramonto dell'Occidente), nel quale teorizzò come tutte le civiltà della storia attraversino un ciclo naturale di sviluppo, fioritura e decadenza: l'Europa del primo Novecento gli appariva in fase di avanzata decadenza, prossima alla fine, perché ormai priva di quelle forze spirituali e materiali che l'avevano vista prosperare nei secoli [vedi]. Come tutte le visioni di ampio respiro la sua opera fu aspramente criticata, ma le tragedie dei totalitarismi, della seconda guerra mondiale e della Shoah diedero in parte ragione alla sua visione non progressiva della storia.

A distanza di un secolo, il declino dell'Europa rispetto alle altre aree del mondo appare ormai un dato icontrovertibile, sotto gli occhi e nel portafoglio di tutti. Un dato sempre più evidente anche nell'organizzazione del calcio di élite. Basti pensare a come i "super club" europei - come li ha individuati e definiti Jonathan Wilson [leggi] - stiano progressivamente passando nella proprietà di facoltosi imprenditori, finanzieri e faccendieri di origine non europea (da ultima l'Inter, che finirà probabilmente in mani indonesiane).

Qui vorrei evidenziare un altro elemento lampante sul quale non è stata posta finora attenzione: la marginalizzazione dell'Europa come sede dei Mondiali di calcio del XXI secolo. E' notizia del 4 luglio scorso che la FIFA è orientata a designare l'Argentina e l'Uruguay quali paesi organizzatori nel 2030, per celebrare il centenario della prima edizione della Coppa Rimet, di cui furono finalisti a Montevideo [leggi]. In realtà l'idea ha preso corpo sin dal 2005 e nel 2015 sarà sancita dalla decisione del congresso della FIFA, orchestrata da Sepp Blatter [vedi]. Non è un caso che circoli già il logo di quel torneo.

Ripassiamo le sedi del nuovo secolo: Corea-Giappone nel 2002, Germania nel 2006, Sud Africa nel 2010, Brasile nel 2014, Russia nel 2018, Quatar nel 2022 e Uruguay-Argentina nel 2030. La Russia appartiene alla UEFA, ma non all'Unione Europea, perché non è un paese meramente europeo per la sua storia e la sua civiltà bifronti, eurasiatiche. E' un paese dei Brics (e - si noti - mancano all'appello, di questi, solo India e Cina come organizzatori dei mondiali, e presto ci arriveremo, come anche all'Oceania). A rigore, l'unico paese europeo che avrà ospitato i Mondiali nelle prime 8 edizioni del XXI secolo sarà dunque la Germania. Sì, perché non c'è da illudersi: per il tassello mancante, quello del 2026, sono in corsa solo stati americani: Canada, Messico e Colombia [vedi]. Dunque, se va bene, si tornerà a vedere (alcuni ormai seduti in grembo a Eupalla) una fase finale dei mondiali in Europa (sul medesimo fuso orario oltretutto) forse solo nel 2034, tra più di vent'anni.

La differenza con il Novecento è clamorosa. Nove edizioni su 16 si tennero nel vecchio continente: due volte in Italia e in Francia, una in Svizzera, Svezia, Inghilterra, Germania e Spagna. Le grandi nazioni calcistiche l'hanno ospitata tutte, ma - si noti - l'Inghilterra arriverà a poterne eventualmente accogliere la seconda solo dopo 68 anni (1966-2034): la Francia ha dovuto attendere 60 anni (1938-1998), l'Italia 56 (1934-1990), la Germania 32. Difficile poi ipotizzare cosa ne sarà dell'Europa politica ed economica nel 2034: ipotizzare, cioè, quale paese, o coalizione di paesi, sarà in grado di trovare le risorse - e di intercettare il consenso politico interno - per sostenere una manifestazione sempre più costosa (perché affaristica, per i soliti noti). L'Europa sta avviandosi a un lungo periodo di declino economico e di povertà sociale, nel quale l'area mediterranea è già ben dentro, e di cui nessuno sa ipotizzare l'esito.

L'emiro del Qatar, Sheikh Hamad bin Khalifa Al-Thani,
e il sultano del calcio mondiale festeggiano l'affare del 2022
Non a caso, la stessa organizzazione degli Europei attraversa una fase di mutazione: coalizioni di paesi "ricchi" nel 2000 (Belgio-Olanda) e 2008 (Austria-Svizzera), paesi emergenti, molto "liquidi", nel 2012 (Polonia-Ucraina), soluzione itinerante senza spese infrastrutturali nel 2020. A una fase espansiva, ormai tramontata, di dilatazione della spesa pubblica appartengono gli Europei in Portogallo del 2004 (che il paese non poteva evidentemente permettersi, come la Grecia le Olimpiadi dello stesso anno). E' molto probabile che anche la Francia pagherà un prezzo elevato alla sua volontà di grandeur nel 2016. Nota bene: per il 2024 avrà grosse chances la Turchia - dinamicissima ed autoritaria (come Brasile, Russia e Quatar: dunque perfetta agli occhi dei capitani del vapore, benché le rivolte di piazza siano un segnale clamoroso di dissenso, che sfrutta proprio il potere del calcio per manifestarsi) -, e per il 2028 la coalizione Azerbaijan e Georgia. Tutti e tre paesi storicamente non europei.

Questi sono i dati di fatto. Non entro nelle interpretazioni ideologiche: ad alcuni potrà sembrare uno scenario positivo, di emancipazione e di accesso da parte di molti paesi a pratiche e consumi fino a pochi anni fa riservati all'Occidente; ad altri potrà sembrare invece uno scenario negativo, esito di una globalizzazione non governata e destinata probabilmente a implodere (per assenza di katechon come argomenta Massimo Cacciari [leggi]). Mi limito a stare al centro del campo: ormai le grandi nazioni europee in cui il calcio è nato e si è sviluppato nel primo secolo e mezzo di storia non hanno più le risorse per mantenerlo agli standard commerciali cui è arrivato. Questa è la realtà attuale e soprattutto prossima ventura. Se conveniamo sul fatto che il calcio, come pratica culturale, si nutre anche di memorie, e pertanto di identità, uno scenario come quello in atto non potrà che rivelarsi alla lunga - ma forse anche alla media - negativo.

Azor