A distanza di un secolo, il declino dell'Europa rispetto alle altre aree del mondo appare ormai un dato icontrovertibile, sotto gli occhi e nel portafoglio di tutti. Un dato sempre più evidente anche nell'organizzazione del calcio di élite. Basti pensare a come i "super club" europei - come li ha individuati e definiti Jonathan Wilson [leggi] - stiano progressivamente passando nella proprietà di facoltosi imprenditori, finanzieri e faccendieri di origine non europea (da ultima l'Inter, che finirà probabilmente in mani indonesiane).
Qui vorrei evidenziare un altro elemento lampante sul quale non è stata posta finora attenzione: la marginalizzazione dell'Europa come sede dei Mondiali di calcio del XXI secolo. E' notizia del 4 luglio scorso che la FIFA è orientata a designare l'Argentina e l'Uruguay quali paesi organizzatori nel 2030, per celebrare il centenario della prima edizione della Coppa Rimet, di cui furono finalisti a Montevideo [leggi]. In realtà l'idea ha preso corpo sin dal 2005 e nel 2015 sarà sancita dalla decisione del congresso della FIFA, orchestrata da Sepp Blatter [vedi]. Non è un caso che circoli già il logo di quel torneo.
Ripassiamo le sedi del nuovo secolo: Corea-Giappone nel 2002, Germania nel 2006, Sud Africa nel 2010, Brasile nel 2014, Russia nel 2018, Quatar nel 2022 e Uruguay-Argentina nel 2030. La Russia appartiene alla UEFA, ma non all'Unione Europea, perché non è un paese meramente europeo per la sua storia e la sua civiltà bifronti, eurasiatiche. E' un paese dei Brics (e - si noti - mancano all'appello, di questi, solo India e Cina come organizzatori dei mondiali, e presto ci arriveremo, come anche all'Oceania). A rigore, l'unico paese europeo che avrà ospitato i Mondiali nelle prime 8 edizioni del XXI secolo sarà dunque la Germania. Sì, perché non c'è da illudersi: per il tassello mancante, quello del 2026, sono in corsa solo stati americani: Canada, Messico e Colombia [vedi]. Dunque, se va bene, si tornerà a vedere (alcuni ormai seduti in grembo a Eupalla) una fase finale dei mondiali in Europa (sul medesimo fuso orario oltretutto) forse solo nel 2034, tra più di vent'anni.
La differenza con il Novecento è clamorosa. Nove edizioni su 16 si tennero nel vecchio continente: due volte in Italia e in Francia, una in Svizzera, Svezia, Inghilterra, Germania e Spagna. Le grandi nazioni calcistiche l'hanno ospitata tutte, ma - si noti - l'Inghilterra arriverà a poterne eventualmente accogliere la seconda solo dopo 68 anni (1966-2034): la Francia ha dovuto attendere 60 anni (1938-1998), l'Italia 56 (1934-1990), la Germania 32. Difficile poi ipotizzare cosa ne sarà dell'Europa politica ed economica nel 2034: ipotizzare, cioè, quale paese, o coalizione di paesi, sarà in grado di trovare le risorse - e di intercettare il consenso politico interno - per sostenere una manifestazione sempre più costosa (perché affaristica, per i soliti noti). L'Europa sta avviandosi a un lungo periodo di declino economico e di povertà sociale, nel quale l'area mediterranea è già ben dentro, e di cui nessuno sa ipotizzare l'esito.
L'emiro del Qatar, Sheikh Hamad bin Khalifa Al-Thani, e il sultano del calcio mondiale festeggiano l'affare del 2022 |
Questi sono i dati di fatto. Non entro nelle interpretazioni ideologiche: ad alcuni potrà sembrare uno scenario positivo, di emancipazione e di accesso da parte di molti paesi a pratiche e consumi fino a pochi anni fa riservati all'Occidente; ad altri potrà sembrare invece uno scenario negativo, esito di una globalizzazione non governata e destinata probabilmente a implodere (per assenza di katechon come argomenta Massimo Cacciari [leggi]). Mi limito a stare al centro del campo: ormai le grandi nazioni europee in cui il calcio è nato e si è sviluppato nel primo secolo e mezzo di storia non hanno più le risorse per mantenerlo agli standard commerciali cui è arrivato. Questa è la realtà attuale e soprattutto prossima ventura. Se conveniamo sul fatto che il calcio, come pratica culturale, si nutre anche di memorie, e pertanto di identità, uno scenario come quello in atto non potrà che rivelarsi alla lunga - ma forse anche alla media - negativo.
Azor