Torres! |
Il
29 giugno 2008, alle 21.20 - finale Euro 2008, Spagna-Germania, gol di Torres -
cominciava per il Calcio una nuova era. Due anni prima una nazionale italiana
di gran qualità, poca intraprendenza e qualche scheletro nell'armadio aveva
vinto rocambolescamente il Mondiale, sconfiggendo nella finalissima berlinese
una selezione transalpina parimenti meritevole: in quello scontro estremo erano
andati in scena i penultimi battiti d'ala di esperienze internazionali
pluriennali di primo piano, all'insegna del talento, dell'imprevedibilità, del
successo (Zidane, Totti, Vieira, Del Piero, Trezeguet, Inzaghi, etc.). All'Ernst-Happel-Stadion
di Vienna Luis Aragonés, el sabio de
Hortaleza, imponeva nell'alveo del calcio che conta uno stile di gioco
accattivante ed efficace, basato su possesso palla e rapidità, e regalava ai patriottici
(?) Spagnoli l'immensa gioia del trionfo - tanto anelato, dopo 44 anni di
siccità - inseguito al grido martellante di
Juntos podemos ("insieme
possiamo").
29 giugno 2008, Ernst-Happel-Stadion, Vienna.
L’inizio: il Triumphus di Luis Aragonés
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Ma
fu davvero "saggio" Aragonés? Curiosa l'origine dell'epiteto: in
famiglia, il sabio in realtà era Matías,
fratello maggiore prematuramente scomparso, così definito semplicemente perché
spesso deambulava per il barrio madrileño
di Hortaleza con un libro in mano, il che fa sospettare che la lettura non
fosse tra le pratiche più consuete nelle periferie della España profunda degli anni Cinquanta. In seguito il soprannome
passò al più giovane e celebre Luis, che per la sua andatura pesante e
singolare viene ancor oggi chiamato Zapatones
("scarponi"). Al di là degli appellativi, l'edificio tattico
aragonésiano era gradevole al palato dell'appassionato non tanto per le doti
inventive del ct, quanto perché risultante dall'applicazione e aderenza al
modello del Barça. Insomma, Luis non ebbe né un bel soprannome, né un bel gioco
suo.
Nel
frattempo, però, il regresso del club culé
si è evidenziato nelle ultime partecipazioni alle competizioni che contano. Non
tanto nell'episodica interruzione del regno incontrastato della soporifera Liga (vinta comunque nel 2008/2009, 2010/2011
e 2012/2013) per merito di un Real Madrid meno talentuoso e sgargiante ma
decisamente più pratico - in puro stile Mou -, spesso superiore anche in Copa del Rey, quanto per i segnali d'allarme lanciati sui fastosi scenari della
Champions League, conquistata dal Barça nel 2006 (ai tempi di Ronaldinho ed
Eto'o), 2009 (Eto'o e Henry) e 2011. Un breve riepilogo: nel 2010, la dura
lezione impartita dall'Inter del triplete
in semifinale; nel 2012, la trappola di un Chelsea abbottonato e spietato;
nel 2013, il baño bavarese. Nel corso
degli anni, sono stati sviluppati gli anticorpi per un gioco già in
involuzione, che gradualmente ha perso brillantezza e rapidità per ripiegarsi
su un possesso palla prolungato all'estremo fino a scontrarsi con la sterilità,
fraseggi rinculati e rarissime verticalizzazioni, tutte affidate al talentuoso trust Xavi-Iniesta-Messi. Come veri e
propri antidoti al tiqui taca, si
sono avvicendati una pressione asfissiante, catenaccio e contropiede, sfida sul
possesso palla, ritmo vertiginoso e ricerca della verticalità: le ricette per la cura sono plurime e
tutte a loro modo efficaci.
Il gioco della Roja ha seguito, passo dopo passo, questo declino, parzialmente mascherato da successi meritatissimi, ma in gran parte riconducibili alla pochezza o alla pavidità reverenziale degli avversari. Il dibattito su doble pivote e falso 9 sono elucubrazioni atte ad eludere il tema di fondo, ossia un atteggiamento sempre meno spavaldo ma sinora confortato da risultati, primati e letargie sempre più diffuse sulle tribune e di fronte ai televisori. Qualche noiosa statistica lungo il cammino Euro 2008-Mondiale 2010-Euro 2012: il possesso palla spagnolo passa dal 50% (2008) al 59% (2010) per giungere al 63% (2012); la media di passaggi necessari per giungere a un tentativo a rete, che nel 2008 era già piuttosto alta (33), giunge a 44 nel 2010 e a 58 nel 2012.
30 giugno 2013, Estadio do Maracana, Rio de Janeiro
Xavi e Torres a testa bassa. La fine?
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Pochi
giorni fa, in dichiarazioni volutamente provocatorie prima della finale della
Confederation Cup, Scolari vaticinava l'imminente fine dell'era spagnola. Felipão
sfidava e sbruffoneggiava, ma non mentiva: la progressiva perdita di ritmo del
gioco iberico ha traghettato la Roja
al punto più basso della parabola, sino a mostrare il fianco già intravisto in
Euro 2012 (con l'Italia nel girone e con il Portogallo in semifinale) e
definitivamente scoperto in quest'ultima competizione (con la Nigeria e
nuovamente con una modesta e timorosa Italia). Scolari, Neymar, Fred, Hulk,
David Luiz, Marcelo & C., nel momento in cui la Seleçao palesa il peggior indice tecnico della storia calcistica
carioca, mettono in campo una miscela di solidità teutonica, garra argentina e rapidità britannica
per sbaragliare il fútbol sotto ritmo
spagnolo. Il risultato, al di là del trionfo in patria, è notevole: è lo
stimolo, in vista del mondiale dell'anno venturo, ad una nuova proposta di
calcio per i campioni del mondo in carica e per gli sfidanti.
Duca