27 settembre 2013

Ciao Rudi

Cartoline di stagione: 7° turno 2013/2014

25 settembre 2013, Stadio Comunale "Luigi Ferraris", Genova
Il Pupone sembra ascoltare le spiegazioni tattiche che giungono dalla tribuna
I turni di campionato infrasettimanali sono sempre un po' strani, ricchi di sorprese. La cartolina odierna arriva da Marassi, dal glorioso "Luigi Ferraris" [card], e ci invita a qualche considerazione sulla Roma che lo ha espugnato ai danni della Samp. La proprietà americana ha puntato da subito su allenatori fautori di un gioco propositivo e possibilmente stranieri. E' un dato, questo, spesso sottaciuto dai cronisti: la nuova dirigenza ha ben chiaro in mente un mix di romanità (dall'eternità di Totti al giovane Florenzi, passando per l'oneroso De Rossi) e di nouvelle vague internazionale. Luis Enrique fu una rivoluzione: propose un WW, di cui non si accorse nessuno (eppure era una versione aggiornata del "metodo", affinato, tra tutti, da Vittorio Pozzo), con De Rossi centromediano ad arretrare sulla linea dei terzini e i due mediani esterni sulla linea degli interni, due ali d'attacco e un centravanti; il limite di fondo era la staticità dei giocatori, che attendevano palla sui piedi senza muoversi negli spazi, ma la disposizione in campo era uno spettacolo. Poi è arrivato Zdenek Zeman, cui tutto si può imputare tranne di non saper fare un gioco propositivo. E dopo la parentesi Andreazzoli, ecco il franco spagnolo Rudi Garcia, scelto da James Pallotta “per vincere subito” [vedi]. E così è stato.

Alzi la mano chi credeva che la Roma si ritrovasse in testa da sola dopo un filotto record di 5 vittorie consecutive iniziali (di cui 3 in trasferta, più il derby): nessuno, in verità. E non si tratta di un caso, se consideriamo il “peso” degli avversari incontrati: le squadre sconfitte assommano ben 31 punti dopo 5 giornate; solo la Juventus ha incontrato squadre che ora hanno 32 punti; l’Inter è vicina, con 29 punti; mentre il Napoli ha conquistato i suoi 13 punti contro compagini più deboli, che tutte insieme valgono solo 16 punti. Le statistiche valgono quel che valgono, ma resta l’impressione di solidità di una squadra che ha segnato sempre almeno due reti e ne ha subita finora una sola (di contro all’Inter 3, e a Juve e Napoli 4). Garcia schiera di preferenza un 4-3-3 che valorizza la centromedianità naturale di De Rossi, la continuità nelle due fasi di Pjanic e Stootman, l’interpretazione del ruolo di centravanti di Totti, e la larghezza di attaccanti come Gervinho e Florenzi. È una squadra a tratti gradevole a vedersi, anche se non spettacolare (e si noti, en passant, come i due allenatori stranieri giochino come si fa in Europa con 4 difensori, mentre i due italiani si arrocchino a 5 dietro). Ora la attende la necessità di confermarsi, e staremo a vedere, sperando che sia un bel vedere.

Azor

24 settembre 2013

L’autunno del "tiki taka"

Cartoline di stagione: 6° week end 2013/2014

21 settembre 2013, Campo de Fútbol, Vallecas
I blaugrana festeggiano la grandinata sul rayo
La cartolina arriva questa volta dal Campo de Fútbol de Vallecas, quartiere periferico di Madrid [card]: uno stadiolo costruito quarant'anni fa nel tipico disordine urbanistico dell'epoca. Due tribunette coperte (poco), una curva con qualche spalto, un'altra sostituita da un muro che evita che il pallone finisca nelle case adiacenti. Campo spelacchiato, arredo un po' délabré, addirittura una fioriera rinsecchita nei pressi di una bandierina del calcio d'angolo. Insomma, un angolo fascinoso di vecchia Spagna. Nel cuore della Liga. Qui la sera del 21 settembre 2013 è stato annunciato l'autunno del tiki taka da una statistica inequivocabile: dopo 316 gare consecutive - una vita futbolistica - il Barcellona non ha avuto il dominio del possesso palla. I ronzini del Rayo Vallecano hanno raggiunto il 51% contro il 49% dei blaugrana: un rayo, perlappunto, che annuncia il vento che cambia. Segnali erano già arrivati in tal senso nelle ultime settimane: Piqué che parlava di "schiavitù" a uno stile di gioco, Messi che affermava che "si può vincere anche in contropiede". Dichiarazioni eretiche solo per gli ortodossi di un'idea di gioco che ha ormai compiuto il suo ciclo glorioso, raggiungendo il suo hapax tra il 2008 e il 2012.

La scelta di Gerardo Martino come nuovo allenatore da parte della dirigenza del Barça è stata meditata più di quanto non sia apparsa inusuale al momento dell'annuncio. Dalla sua il Tata ha la patente di allievo di Bielsa, e dunque appartiene culturalmente a una scuola che fa del gioco giocato, largo ma anche verticale, soprattutto intenso, il suo credo. Di suo ci mette una venatura pragmatica, corroborata dal bel mondiale sudafricano sulla panca del Paraguay. In sostanza, pochi fronzoli e poche dichiarazioni teoriche: a Barcellona ha solo detto che avrebbe cercato di restituire alla squadra quell'intensità che era andata smarrendosi nella stagione scorsa. E si è messo al lavoro per continuare a vincere, sdoganandosi dall'eredità del tiki-taka. Molti, soprattutto in Catalogna, sono sconcertati. Stiamo a vedere e diamogli fiducia. Una cosa è certa però: un’epoca, in certi momenti mirabolante, è ormai definitivamente alle nostre spalle.

Azor

19 settembre 2013

L'ineguagliabile pesantezza della Pulce

Fettine di "coppa": primo mercoledì 2013/2014

Che coppia!
Eravamo rimasti alla tripletta di Lara Croft. Oggi si celebra l'uguale score della Pulce. Ennesimo hat-trick, ovviamente (a differenza di quello del competitor) decisivo. Di solito, Messi segna gol inutili quando ha già messo dentro quelli importanti, è giusto che lui sia considerato il migliore. Lo è, e di parecchie spanne. Così come la migliore delle italiane è il Napoli, che già due anni fa aveva fatto ottime cose in CL. Non solo per il risultato: per la caratura dell'avversario (superfluo rimarcare cosa sia il Borussia oggi rispetto ad Ajax e Celtic), per la qualità e la padronanza del gioco (il salto di qualità è avvenuto, si direbbe, negli uomini e nella mentalità: nella girandola delle panchine, l'arrivo di Benitez a Napoli potrebbe davvero essere l'autentico 'colpo' della stagione). Al San Paolo, ieri sera, Lorenzo Insigne ha prodotto un paio di giocate da vero campione. La sua presenza in queste partite può certamente favorirne la crescita - di esperienza certo, ma anche di personalità e sicurezza -, e portarlo (speriamo) ad essere la nostra arma letale in Brasile (con tutto il rispetto per Giaccherini, di cui ora è la 'riserva' ...). Quanto al Milan, ha strappato fortunosamente negli ultimi minuti (ancora!) punti importanti, in un match di speculari broccaggini che Mario, unico uomo di classe nella classica, non ha quasi mai illuminato. Sempre più depresso il portoghese, che ha condotto i suoi alla (da lui medesimo temuta, nelle dichiarazioni della vigilia) sconfitta interna contro il Basilea. Si dice che i 'ritorni' producano soprattutto fiaschi. E' presto per dirlo, ma la strada imboccata da Mou sembra quella giusta; intristito com'è, faticherà a motivare e incattivire i suoi, e - già costituzionalmente privo di 'gioco' - al Chelsea potrebbero restare poche risorse. Per il bene del football, ci auguriamo che il declino della stella (e dello stellone) di JM compia quest'anno una parabola significativa.

Mans

18 settembre 2013

La sostenibile leggerezza di Lara

Fettine di "coppa": primo martedì 2013/2014

Il Guardian pubblica questa foto di CR7, ma sotto un titolo
del tutto fuorviante: "Cristiano Ronaldo's hat-trick
inspires Real Madrid rout over Galatasaray"
Prima serata di coppa, e prima tripletta di Lara Croft. A Istanbul, il Real scaraventa nel bidone della spazzatura le ambizioni da top-club del Gala. Naturalmente, però, CR7 non è stato decisivo, come si crederà nei secoli dei secoli limitandosi alla lettura del tabellino. Ha fatto pena per tutto il primo tempo, quando c'era partita, e ha semplicemente e fortunosamente sfruttato il lavoro altrui quando la partita non c'era più. Ha iniziato a goleare sul due a zero, in sostanza. Se i gol vanno pesati, i suoi sono quasi sempre leggerissimi; prima o poi sarà buon esercizio contarli e pesarli, e azzardare realistiche valutazioni comparative. Qualcuno ricorda partite davvero importanti decise da Lara, nel Real o nel Portugal? Fuori le date e le circostanze. Si conteranno sulle dita di una mano. Più o meno quello che accadrebbe contando e pesando le 'prodezze' del fenomenale Podolski. Piuttosto, è da rimarcare ancora una volta la prestazione del vero crack madridista di quest'anno: Francisco Román Alarcón Suárez, detto "Isco", classe 1992. Un predestinato; già ora uno dei cinque più forti giocatori del mondo, ammesso che (come sempre) valga la pena di fare questi discorsi. Alle casse della Casa Blanca è costato circa un terzo di Bale, ma in prospettiva renderà il doppio. Carletto lo sa bene, e ridacchia.

Mans

17 settembre 2013

How do you say "tiki taka" in English?

Cartoline di stagione: 5° week end 2013/2014

16 settembre 2013, Liberty Stadium, Swansea
Per quanto ronzino acclarato, Jonjo Shelvey uccella di stile il pur bravo Mignolet
La cartolina proviene questa settimana dal Liberty Stadium di Swansea [card] dove è andata in scena una gradevolissima partita, forse la più bella sul piano estetico dell'intero turno europeo, tra lo Swansea City e il Liverpool. Qualcosa di inusuale per il football inglese, anche per quello dell'età della Premier (che non è più quello del calcio lungo e pedalare ma nemmeno il più innovativo tatticamente): una partita nel segno del tiki-taka. Il merito è dei due allenatori (ovviamente non albionici): l'irlandese (del Nord) Brendan Rodgers, che proprio allo Swansea per due stagioni ha fatto vedere un calcio ispirato a quello di Guardiola, riproponendolo poi a Liverpool, dove ha incontrato qualche difficoltà il primo anno ora lenita dal primo posto in classifica; e il danese, vecchia gloria, Michael Laudrup, che ha mantenuto assetto e idea di gioco del suo predecessore. Due allenatori "con conoscenze" come direbbe mastro Arrigo.

Bravi soprattutto a convertire al nuovo verbo una paurosa manica di ronzini in campo: eponimo, lunedì sera, l'improbabile Jonjo [sic all'anagrafe] Shelvey, non rimpianto ex dei Reds, che ha segnato una rete e distribuito gli assist per le altre tre, di cui due, generosamente, agli attaccanti del Liverpool. 2:2 alla fine, un punteggio inusuale nella Premier mourinizzata di quest'anno (che viaggia a una media, antitelevisiva, di meno di due gol a partita). Soprattutto, una bella partita capace di coniugare la fitta rete di passaggi di prima al ritmo tipico delle squadre britanniche: un tiki taka, appunto, in salsa inglese, che a differenza dell'orrizzontalità ipnotica del Barça punta in verticale molto più spesso. Oltretutto proprio al termine di una settimana in cui le dichiarazioni di Piqué avevano infiammato e diviso l'universo calcistico spagnolo tra fautori e detrattori del tiki taka. La partita di Swansea mostra che esiste una terza via. Certamente più gradevole di quella mostrata dalla partita in contemporanea che si svolgeva a Parma tra due squadre più o meno equivalenti: là dove al Liberty Stadium si apprezzavano ritmo e qualità, al Tardini è andata in scena la solita partitella italica senza ritmo, spezzettata, con i giocatori che attendevano la palla sui piedi per fare il loro scattino interrotto dall'ancata o dalla pedata dell'avversario di turno. The times they are a-changin' ...

Azor

Videomessaggi

Riccardino parla ai fideles, tra le piante e i marchi degli sponsor
Ecco un esempio da proiettare nelle aule didattiche di 'strategia della comunicazione': il videomessaggio alla nazione rossonera con cui Kakà annuncia di non volere busta-paga per tutto il tempo in cui sarà costretto a stare fuori per infortunio. Non quantificabili: il tempo dell'assenza e il quattrino cui rinuncerà - d'altra parte, si dice abbia rinunciato a svariati milioni di euro pur di tornare a Milanello. Naturalmente siamo nel perimetro della tradizione, la proprietà del Milan ha una certa esperienza in situazioni di questo tipo. Siamo di fronte a un ennesimo, tipico saggio di estetica berlusconiana. Che ottiene il risultato previsto: la rosea on line lancia il sondaggio ("è un bel gesto?" oppure "è un gesto fatto solo per l'immagine?", ovviamente), stampa e talkshow non possono ovviamente rinunciare al boccone, e in cavalleria (o perlomeno nella penombra) vanno immediatamente alcuni fatti assai più rilevanti: 1) la prestazione desolante della squadra a Torino; 2) la dimostrazione di assoluta anti-sportività esibita nei minuti finali della partita; 3) il totale velleitarismo del nuovo 'progetto' tattico (due punte e trequartista), di cui proprio il brasiliano avrebbe dovuto costituire l'ingrediente chiave. Di tutto ciò si potrebbe parlare per ore e ore.

La disperazione di Massimiliano Allegri
Col senno di poi, ci voleva poco a immaginare che Ricardo Leite avrebbe sofferto l'impatto con la Serie A, dopo quattro anni di desuetudine agonistica. Lo si è visto gettare il cuore oltre l'ostacolo, cercare velocità, ritmo, giocate che gli venivano normali nella vita precedente. Ha chiesto a se stesso più di quel che poteva dare, e ha pagato quel che normalmente si paga in situazioni analoghe; si aggiunga che, intorno, ha ormai gente di tasso tecnico ben diverso da quella cui era abituato, e questa è una pur minima attenuante. Ha comunque palesato come il suo modo di giocare sia sempre lo stesso: è per natura un incursore, uno che cerca gli spazi per sé, un 'attaccante' e non un 'centrocampista', per semplificare. Più o meno, come Boateng; un solista. Si dice che il bel Cagliari del povero Allegri giocava così: due punte e un trequartista; Matri (rieccolo) più X, e il trequartista era Cossu. Da Cossu a Kakà: giocatori differenti in tutto. Il povero Allegri si trova così (costretto o meno, che sia o non sia una decisione sua) a ricominciare tutto daccapo, nella stessa situazione di un anno fa. Rispetto ad allora ha Balotelli in più (mai visto così nervoso), El Shaarawy in meno. Ha recuperato De Jong, che è la vera tragedia nel roster rossonero, perché occupa la zona che si prese (per necessità) l'anno scorso Montolivo dopo il suo infortunio contribuendo e non poco alla risalita. Ha la stessa difesa, oltretutto dimezzata dagli infortuni e con pochissime (o nessuna) alternativa credibile ai titolari - specie ai centrali. Ha sostanzialmente abbandonato al suo destino anche Njang, che era sempre in campo nelle migliori prestazioni della scorsa stagione, tra gennaio e febbraio. Non ha più Boateng. Ha tra le mani, insomma, una squadra senza qualità, o con pochissime qualità. E la concorrenza è aggueritissima. Perciò si accettano scommesse sulla possibilità che il prossimo videomessaggio alla nazione abbia accento toscano: "D'accordo con la società, rinuncio allo stipendio fino a quando la squadra non comincerà a giocare a calcio". Purché ci sia anche per lui, come per Riccardino, il sostegno e l'affetto di tutti.

Mans

4 settembre 2013

Quale tecnomanzia per i "super club"?

Agosto ha emesso dunque tutti i suoi verdetti sui primi trofei di stagione, quelle supercoppe che molti disdegnano come titoli minori ma che fanno comunque bacheca. Il quadro complessivo è però preoccupante: nessun outsider è riuscito a fare sua la coppa. Non l'hanno vinta né il Bordeaux né il Wigan né la Lazio né l'Atletico Madrid, né, se vogliamo, il Vitória de Guimarães o l'AZ Alkmaar. E' la conferma del gap crescente tra i pochi "super club" - per dirla con Jonathan Wilson [vedi] - e le molte altre società, talune anche di blasone, che hanno fatto la storia del calcio europeo e che sono ormai vittime della concorrenza commerciale che, se si era scatenata nell'epoca della pay-tv, si è fatta insostenibile dopo la "discesa in campo" di sceicchi e petrolieri.

Il Mancio e Khaldoon Al Mubarak
Se vogliamo assumere una data simbolica dell'avvio di questa fase più recente - di vero e proprio turbo capitalismo calcistico -, possiamo indicare quella del 15 gennaio 2009, quando il Manchester City dell'allora sconosciuto sceicco Khaldoon Al Mubarak (il cui nome non era nemmeno citato nei notiziari di quei giorni, tanto appariva un UFO piombato nel giardino) offrì più di 100 milioni al Milan per l'acquisto di Kakà. Da quella sera il calcio italiano prese coscienza di non avere più i mezzi per competere economicamente alla pari con i protagonisti che si annunciavano sulla scena. Per motivi più politici che sentimentali Berlusconi declinò l'offerta (complice la perplessità di Kakà, che temeva di finire in un club di seconda fascia), preferendo poi piazzare al Real Madrid pochi mesi dopo (per "soli" 67 milioni) il declinante campione brasiliano (che alla fine è pur sempre "tornato a casa" aggratis [vedi]). Ma il segnale fu chiarissimo: Berlusconi non era più un magnate onnipotente ma il tenutario di una boutique in cui recarsi per gli acquisti: era il segno della fine del "ventennio" rossonero di grandi imprese europee.

Da allora sono passate solo quattro stagioni e la tendenza si è consolidata. Un ristretto numero di "super club" è ormai chiaramente enucleabile: Manchester United, Manchester City e Chelsea in Inghilterra; Bayern e Borussia Dortmund in Germania; Real Madrid e Barcellona in Spagna; Paris SG e Monaco in Francia; Juventus in Italia. Vi è poi una seconda fascia non altrettanto economicamente potente: Liverpool, Arsenal e Tottenham, Napoli, Porto, Shakhtar e pochissime altre (compreso, ma forse ancora per poco, il Milan). Se compulsiamo gli albi d'oro degli ultimi anni (post 2009) è questa dozzina di squadre che si accaparra quasi tutti i titoli nazionali e internazionali. Rarissime le eccezioni, come l'Inter, ormai precipitata in grembo a un magnate indonesiano, che non sembra avere, però, la liquidità dei quatarioti (e che semmai sembra posizionarsi in una fascia di rincalzo, come quella del malese Dato Chan Tien Ghee, proprietario del Cardiff City).

Brand globali
E' dunque in atto una trasformazione profonda nella struttura economica dello spettacolo calcistico, che non è più legata solo agli introiti televisivi (che pure rimangono centrali) ma, crescentemente, allo sfruttamento del marchio ("brand" nella lingua di Dante, of course), che è quello che fa ormai la reale differenza nel fatturato (per cui il Real vale tre volte la Juve e sei la Fiorentina) e nel mercato dei trasferimenti. I super club sono ormai soggetti globali, dalle radici locali ma dall'identità planetaria. In Italia lo hanno capito per primi i dirigenti della Juventus (perché, tra i proprietari italiani, sono gli unici imprenditori ad avere una consolidata proiezione internazionale) e ora, con declinazioni peculiari, anche De Laurentiis e Moratti. Ma su questo punto varrà la pena tornare con una riflessione specifica.

Qui vorrei invece riflettere su una delle conseguenze della nuova era in cui è entrato il calcio di élite: la rosa sempre più ristretta dei vincitori finali dei campionati maggiori, dominati dai super club (con distacchi abissali) a scapito della tensione agonistica che fino a pochi anni fa caratterizzava le competizioni fino alle ultime giornate. La tecnomanzia rischia di risolversi in un esercizio senza brividi: la Juventus o il Napoli, il Real o il Barcellona, il Bayern o il Borussia, il Paris SG o il Monaco, lo United o il Chelsea (o forse il City) ... La speranza è che facciano saltare il banco la Fiorentina, il Milan, l'Atletico, il Leverkusen, il Marsiglia, il Liverpool o l'Arsenal. Ma sarà molto improbabile. Lo scorso anno avevamo azzeccato i vincitori finali già a novembre [leggi]: il timore è che l'esercizio divinatorio si possa ripetere ancor prima questa stagione. L'esito finale appare scontato in partenza. Dunque non ci rimane che mendicare qualche bella partita turno per turno, qua e là.

Azor

3 settembre 2013

Albionici in bianco

Cartoline di stagione: 4° week end 2013/2014

31 agosto 2013, Selhust Park, Londra
Steven Fletcher del Sunderland ha appena pareggiato con una bella inzuccata
La cartolina viene dal Selhust Park [card], non solo per omaggio a uno degli ultimi stadi di fascino del soccer inglese o per inveterato nazionalismo. Avremmo potuto sceglierne una anche dall'assai più dimesso “Atleti Azzurri d'Italia”. Il dato saliente di questo turno di campionato è infatti una paradossale inversione di tendenza negli score tra match della Premier e partite della Serie A. Crystal Palace - Sunderland ha visto segnate il maggior numero di reti (4) del turno inglese, Atalanta - Torino il minore (2) di quello italiano. Chi era al Bentegodi si è goduto 6 reti, a Marassi addirittura 7, a Torino e a Reggio ben 5 … Una festa per gli attacchi (e qualche vergogna per le difese e taluni portieri): 43 reti complessive nelle dieci partite di Serie A; per ritrovare due prime giornate così prolifiche (65 gol complessivi) gli statistici dicono che occorre tornare indietro al 1950. Al contrario, in Premier si segna pochissimo: 25 gol complessivi la prima giornata, 17 la seconda, 16 la terza (che ha proposto uno 0:0 e ben cinque 1:0). È vero che mastro Brera sosteneva che la partita perfetta, senza errori, è quella che finisce 0:0, ma c’è qualcosa di strano nell'aria in questo inizio di stagione. Il Liverpool comanda la classifica con 9 punti grazie a  3 sole reti, il Manchester United fatica a segnare, il Chelsea è tornato al catenaccio di Mourinho. La Juve e il Napoli vanno avanti invece a suon di goleade. Fino a un attimo fa il calcio italiano era considerato tattico e difficile, e la Premier decantata come la lega più spettacolare (e televisiva). Sarà … Vedremo quanto dura.

Azor

2 settembre 2013

Il figliuol prodigo

Finalmente Galliani ce l'ha fatta. Kakà torna all'ovile. La pecorella smarrita nei meandri del Bernabéu, l'ex pallone d'oro che - arrivato a Madrid per una cifra folle e e lì rimasto con un contratto principesco - in tre anni ha dato ben pochi segni di sé, perdendo il posto nella Seleçao, mai acquisendo la fiducia di Mourinho, risultando evidentemente superfluo anche per i disegni di Carletto, cioè di colui che l'aveva trasformato in una stella planetaria.

Naturalmente, vista la rosa attuale del Milan, Riccardino potrebbe anche brillare, ma sarà costretto probabilmente a ballare ritmi che non conosce. Il nuovo 'credo' imposto dalla società prevede il trequartista (il brasiliano questo farà) dietro le due punte - di qui, anche l'acquisto di Matri, preteso da Allegri non in sé ma, appunto, in vista della virata tattica cui è costretto. Bene o male, era riuscito a disporre in campo un XI efficiente, un 4-3-3 di rara basicità; ora proverà di nuovo a fare risultati, sacrificando il faraone, tenendo fisso a centrocampo il Grande e Lentissimo Randellatore Olandese, affiancato da Montolivo - a cucire il gioco tra difesa e trequarti - e Muntari/Poli. Un reparto, come tutti vedono - specie se Poli starà più spesso in panca che in campo - di pura staticità, e che ha perso, con Boateng, un pedatore capace di inventare partite e giocate da stropicciarsi gli occhi e comunque sicuramente mobile e imprevedibile. Kakà potrebbe adattarsi a questa impostazione se avesse una decina d'anni in meno; il meglio lo diede come seconda punta, immarcabile negli spazi. Sei o sette anni fa. Poiché non ha tra le sue doti migliori la visione rapida del gioco, né un tocco particolarmente vellutato, difficilmente si rivelerà una scelta azzeccata. A ogni modo, sia festa, e festeggino gli aficionados rossoneri correndo in massa al botteghino, tutti insieme, cantando la loro vecchia canzone: "Siam venuti fin qua, siam venuti fin qua, per vedere segnare Kakà".

Mans

1 settembre 2013

La prima fetta di Coppa (2013/14)

30 agosto 2013, Eden Aréna, Praga
L'empatia tra Franck Ribéry e Josep Guardiola i Sala
L'hors-d'œuvre della nuova stagione europea si è rivelato appetitoso. Una bella partita tra due squadre di livello, messe in campo secondo le diverse idee di calcio dei rispettivi allenatori. Gianni Brera le avrebbe battezzate semplicemente: calcio orizzontale vs calcio verticale. E ha vinto, alla fine, chi ha costruito di più, con intensità e continuità. Anche con squadre diverse, Mourinho non riesce a battere Guardiola (il bilancio è sempre di 3 a 7 in 16 partite [vedi]) e il suo copione si ripete immutato: linee strette, ripartenze veloci, grandi legnate dei centrocampisti centrali con inevitabili espulsioni (Motta, Pepe e ora Ramires) e pretestuose lamentele contro gli arbitri, difesa strenua del gol di vantaggio, sofferenza e rinuncia a giocare nelle seconde parti del match.

A ben vedere Mourinho si è limitato a mettersi alla guida dell'autobus parcheggiato in area da Di Matteo: nulla è cambiato nell'impianto tattico, e lui può aggiungere le sue doti di motivatore e la sua strategia mediatica (a Praga ha cominciato ad andare alla guerra contro l'UEFA, il potere del Bayern, etc.). Un copione scontato, però, che a Madrid ha smesso di dare i suoi frutti, e che non è detto che torni a darli nel remake londinese, soprattutto in Europa.

Guardiola ha invece un lavoro più complesso da affrontare: fare assimilare ai giocatori bavaresi un'idea di gioco fondata sul possesso e sul pressing ma non più solo sul tiki-taka. I critici ancora non ci si raccapezzano perché rapportano questa costruzione in essere ai due modelli precedenti: il suo Barcellona e il Bayern di Heynkes. Guardiola sta cercando di andare oltre, valorizzando le caratteristiche dei giocatori che ha disposizione: la qualità degli attaccanti esterni e la mobilità e il peso di un centravanti come Mandžukić. Non gioca come il Barça perché non rinuncia a un attaccante centrale e affida agli esterni non solo i tagli ma anche i cross, e non gioca come il Bayern dello scorso anno perché persegue il possesso palla e un baricentro più alto. La cifra nuova del suo calcio sono adesso anche i lanci lunghi a cercare le teste in area. La sfida è giocare con un mediano arretrato che non franga solo come Busquets ma lanci in avanti come Alcantara. Vedremo come evolverà la ricerca. Intanto il Pep ha messo in bacheca il primo trofeo, e ora lo attende il mondiale, probabilmente contro il Mineiro del Dentone: potrebbe uscirne un'altra appetitosa fetta di coppa.

Azor
30 agosto 2013, Eden Aréna, Praga
FC Bayern München - Chelsea FC 2:2 (7:6 ai rigori)
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