4 settembre 2013

Quale tecnomanzia per i "super club"?

Agosto ha emesso dunque tutti i suoi verdetti sui primi trofei di stagione, quelle supercoppe che molti disdegnano come titoli minori ma che fanno comunque bacheca. Il quadro complessivo è però preoccupante: nessun outsider è riuscito a fare sua la coppa. Non l'hanno vinta né il Bordeaux né il Wigan né la Lazio né l'Atletico Madrid, né, se vogliamo, il Vitória de Guimarães o l'AZ Alkmaar. E' la conferma del gap crescente tra i pochi "super club" - per dirla con Jonathan Wilson [vedi] - e le molte altre società, talune anche di blasone, che hanno fatto la storia del calcio europeo e che sono ormai vittime della concorrenza commerciale che, se si era scatenata nell'epoca della pay-tv, si è fatta insostenibile dopo la "discesa in campo" di sceicchi e petrolieri.

Il Mancio e Khaldoon Al Mubarak
Se vogliamo assumere una data simbolica dell'avvio di questa fase più recente - di vero e proprio turbo capitalismo calcistico -, possiamo indicare quella del 15 gennaio 2009, quando il Manchester City dell'allora sconosciuto sceicco Khaldoon Al Mubarak (il cui nome non era nemmeno citato nei notiziari di quei giorni, tanto appariva un UFO piombato nel giardino) offrì più di 100 milioni al Milan per l'acquisto di Kakà. Da quella sera il calcio italiano prese coscienza di non avere più i mezzi per competere economicamente alla pari con i protagonisti che si annunciavano sulla scena. Per motivi più politici che sentimentali Berlusconi declinò l'offerta (complice la perplessità di Kakà, che temeva di finire in un club di seconda fascia), preferendo poi piazzare al Real Madrid pochi mesi dopo (per "soli" 67 milioni) il declinante campione brasiliano (che alla fine è pur sempre "tornato a casa" aggratis [vedi]). Ma il segnale fu chiarissimo: Berlusconi non era più un magnate onnipotente ma il tenutario di una boutique in cui recarsi per gli acquisti: era il segno della fine del "ventennio" rossonero di grandi imprese europee.

Da allora sono passate solo quattro stagioni e la tendenza si è consolidata. Un ristretto numero di "super club" è ormai chiaramente enucleabile: Manchester United, Manchester City e Chelsea in Inghilterra; Bayern e Borussia Dortmund in Germania; Real Madrid e Barcellona in Spagna; Paris SG e Monaco in Francia; Juventus in Italia. Vi è poi una seconda fascia non altrettanto economicamente potente: Liverpool, Arsenal e Tottenham, Napoli, Porto, Shakhtar e pochissime altre (compreso, ma forse ancora per poco, il Milan). Se compulsiamo gli albi d'oro degli ultimi anni (post 2009) è questa dozzina di squadre che si accaparra quasi tutti i titoli nazionali e internazionali. Rarissime le eccezioni, come l'Inter, ormai precipitata in grembo a un magnate indonesiano, che non sembra avere, però, la liquidità dei quatarioti (e che semmai sembra posizionarsi in una fascia di rincalzo, come quella del malese Dato Chan Tien Ghee, proprietario del Cardiff City).

Brand globali
E' dunque in atto una trasformazione profonda nella struttura economica dello spettacolo calcistico, che non è più legata solo agli introiti televisivi (che pure rimangono centrali) ma, crescentemente, allo sfruttamento del marchio ("brand" nella lingua di Dante, of course), che è quello che fa ormai la reale differenza nel fatturato (per cui il Real vale tre volte la Juve e sei la Fiorentina) e nel mercato dei trasferimenti. I super club sono ormai soggetti globali, dalle radici locali ma dall'identità planetaria. In Italia lo hanno capito per primi i dirigenti della Juventus (perché, tra i proprietari italiani, sono gli unici imprenditori ad avere una consolidata proiezione internazionale) e ora, con declinazioni peculiari, anche De Laurentiis e Moratti. Ma su questo punto varrà la pena tornare con una riflessione specifica.

Qui vorrei invece riflettere su una delle conseguenze della nuova era in cui è entrato il calcio di élite: la rosa sempre più ristretta dei vincitori finali dei campionati maggiori, dominati dai super club (con distacchi abissali) a scapito della tensione agonistica che fino a pochi anni fa caratterizzava le competizioni fino alle ultime giornate. La tecnomanzia rischia di risolversi in un esercizio senza brividi: la Juventus o il Napoli, il Real o il Barcellona, il Bayern o il Borussia, il Paris SG o il Monaco, lo United o il Chelsea (o forse il City) ... La speranza è che facciano saltare il banco la Fiorentina, il Milan, l'Atletico, il Leverkusen, il Marsiglia, il Liverpool o l'Arsenal. Ma sarà molto improbabile. Lo scorso anno avevamo azzeccato i vincitori finali già a novembre [leggi]: il timore è che l'esercizio divinatorio si possa ripetere ancor prima questa stagione. L'esito finale appare scontato in partenza. Dunque non ci rimane che mendicare qualche bella partita turno per turno, qua e là.

Azor