31 gennaio 2015

Black Athena

Non sono né uno specialista né un appassionato particolare di calcio africano. E nemmeno del continente nero. Mi sono chiesto pertanto perché la Coupe d'Afrique des nations de football 2015, che si sta svolgendo in questi giorni in Guinea Equatoriale [vai allo Speciale], abbia smosso qualcosa nel profondo della mia anima devota a Eupalla, inducendomi a dedicarle una buona parte della mia attività voyeuristica. Tranne alcune - meglio, tranne alcuni spezzoni di tempo -, le partite non sono molto spettacolari. Di innovazioni tattiche nemmeno a parlarne. La tecnica individuale è buona ma senza che si intravedano grandi campioni, a parte quei pochi già noti. Eppure c'è qualcosa che affascina in questo torneo. Ho provato a darmi alcune risposte.

Il Nuevo Estadio di Malabo
Muovendo da una domanda ulteriore. Perché, viceversa, non provo alcuna pulsione che mi induca a dare un'occhiata alle altre due competizioni per nazioni che, in questo anno dispari del calendario internazionale, si svolgono in contemporanea a quella africana? Vale a dire la 2015 AFC Asian Cup che si disputa agli antipodi australiani e il XXVII Campeonato Sudamericano Sub-20 "Juventud de América" in atto in Uruguay? Risposta d'istinto: perché la prima competizione mi pare assolutamente priva di fascino e la seconda disgustosamente sopravvalutata dalla stampa che vive 24h di mercato e video virali delle prodezze individuali delle foche di ogni età.

Forse significherà qualcosa che uno dei maggiori scrittori e storici del football, Jonathan Wilson, si sia mosso di persona (e a sue spese: è un "free lance") per recarsi in Guinea a vedere dal vivo la CAN. Per "respirarla". La "Gazzetta", per dire, un inviato lo ha inviato (a spese della RCS): ma in Uruguay; da dove ogni giorno sembra scoprire dei giovani fuoriclasse: tali Kenedy, Thalles, Gabigol, Gerson (addirittura ...) e così via, in un tetro carnevale che rasenta la tratta dei minorenni. Eppure Wilson è un grande appassionato di calcio sudamericano: tra qualche mese sarà nelle librerie la sua ultima "fatica", Angels With Dirty Faces. The Footballing History of Argentina. Ma ha scelto il calcio africano: anzi, è la settima CAN cui assiste di persona. Come mai?

Probabilmente perché il football africano rappresenta ancora un rito caro a Eupalla. Non vi si celebra il calcio moderno, quello delle play-station [vedi] e dei top players [vedi], ma una archeologia del sapere calcistico - per dirla in modo colto (ohibò) -, vale a dire un discorso attraverso il tempo. Del medesimo genere, anche se di qualità e fascino diverso - bene inteso -, di quello che inscenano ogni anno gli oltre 700 club della FA Cup nella Terra Madre. E' un calcio ancora umanista: una Black Athena, per continuare a fare sfoggio. Tanto più in questa improvvisata edizione in una ex colonia spagnola equatoriale, con i suoi piccoli stadi sottratti alla giungla, il colore del tifo sugli spalti, l'assenza di violenze (per il momento ...), l'eccitazione dell'ambiente, i volti, gli sguardi, le lacrime e il sudore, i nubifragi improvvisi ... Via satellite, ovviamente. Ma fascinoso. Ambientale.

La pioggia equatoriale
Il calcio africano ha ormai una sua storia, ed è oggetto di studi oltre che di racconti [vedi]. Certamente è più un calcio di giocatori che non di squadre. Ma alcune nazionali possono vantare una tradizione di vertice. Sono assenti a questa XXX edizione due grandi potenze come l'Egitto (4 coppe tra 1998 e 2010, e 7 in totale) e la Nigeria (3 coppe e campione uscente). Il Ghana (4 coppe, ma ormai tra 1963 e 1982) e il Camerun (4 coppe tra 1984 e 2002) sono le più titolate tra quelle in Guinea Equatoriale. Quotate, ma con una sola vittoria nella CAN, sono anche Algeria, Costa d'Avorio, Sudafrica e Tunisia. La Repubblica Democratica del Congo (allora Zaire) vinse due volte tra 1968 e 1974. Viceversa, nazionali che godono di credito recente come Senegal e Mali non hanno mai vinto la competizione continentale.

L'attuale torneo appare molto equilibrato. Nessuna squadra ha vinto le tre partite del girone. Solidità tattica, qualità tecniche di alcuni singoli ed esperienza hanno consentito ad Algeria, Ghana e Costa d'Avorio di qualificarsi ai quarti. Il Congo ha destato buona impressione, ma è guidato dal veterano Claude Le Roy. Bene anche la Tunisia. Dal girone di ferro sono rimasti esclusi Senegal e Sud Africa. Il sorteggio ha arriso alla Guinea. La squadra di casa, zeppa di oriundi, si è qualificata, al pari della Repubblica Democratica del Congo. Male il Camerun e lo Zambia, fuori entrambi. Oggi e domani si disputeranno i quarti di finale. Azzardo un pronostico, scritto sull'acqua del Golfo di Guinea: Congo sulla RD Congo, Guinea Equatoriale ai rigori sulla Tunisia, Ghana sulla Guinea. In una finale anticipata, Algeria a fatica sulla Costa d'Avorio. Forse.

Azor

27 gennaio 2015

Il dubbio fascino della tradizione, il nervosismo di Lara e le due squadre (già cugine) ora gemelle


Cartoline di stagione: 21° turno 2014-15

Mou in  conferenza stampa: prima o dopo la partita?
Chissà se davvero, come da tradizione, la Football Association Cup è ancora e davvero così importante. Chissà se invece, per i super-club, non è una seccatura. Specie quando ci sono all'orizzonte settimane intense, e competizioni di prestigio planetario. Come, per esempio (ma è solo un esempio), la Champions League. Ora, tutti sanno che Mourinho è uomo di impareggiabile furbizia (e cinismo). Quel che dice, ha sempre un significato apparente e uno preciso. Ma difficilmente allude. Quest'anno, la formazione-base del Chelsea è delineata, per lui. Giocano sempre gli stessi. I due intoccabili centrali inglesi. Il solidissimo serbo sulla destra. A sinistra, Luis Filipe solo se il basco è acciaccato. Davanti alla difesa, non si discute: Matić è la primissima scelta. I quattro trequartisti sono Fabregas, Hazard, Willian e Oscar. Davanti, Diego. Nel Fourth Round Proper della FA Cup, a Stamford, di fronte al Bradford City, Mou ha deciso per la seconda volta in stagione di fare turn-over. Si sa com'è finita: quattro a due (in rimonta da zero a due) per il Bradford. Bene. Mou aveva preventivamente affermato di considerare una disgrazia l'eventuale eliminazione. Mettendo le mani avanti, ha preso due piccioni con una fava: qualche partita in meno nella fase calda, e soprattutto la possibilità di umiliare le seconde linee, gente che (dice lui) se è ingaggiata dal Chelsea dovrebbe essere sempre pronta per giocare e per vincere [leggi]. Come a dire: visto che non siete in grado di venire a capo del Bradford, club di serie veramente inferiore e dunque di caratura proporzionata alla serie, non pretendete ora di andare in campo nelle partite che contano. Sconfitta inattesa dai più, ma sconfitta che naturalmente non lo riguarda. 

Del resto, anche ai rivali del City è toccata la medesima sorte. Omessi dal tabellone del quinto turno per mano del Boro (militante nella Championship). Pellegrini, però, non ha riempito l'XI di partenza con le sue presunte seconde linee. I big c'erano praticamente tutti. Due indizi, insomma, fanno una mezza prova. E' solo il fascino e la formula della coppa a generare questi sorprendenti risultati? Ai supporters dei due club, ovviamente, la cosa non sarà stata facile da digerire. Ai riccastri che li guidano, proiettati in una dimensione che non è certo quella ancora ottocentesca della FA Cup, probabilmente non importa nulla. 

"Come hai osato impedirmi di arrivare sulla palla e insaccarla?"
Lara Croft ha interrotto la sua sequenza, e la sua media-reti da inimitabile Pichichi del millennio si abbassa. Così, ecco i Blancos inchiodati sul pari a Cordoba quando la partita sta già tramontando. Lara si innervosisce. Obnubilato dall'astinenza, prende a pedate e schiaffi l'incolpevole Edimar Curitiba Fraga, difensore del Cordoba. Com'è accaduto, e perché? Semplicemente, a dieci minuti dalla fine, il brasiliano gli ha impedito di avventarsi su un pallone crossato nell'area piccola e dunque (e ipso facto) di scaraventarlo in rete. Per questo andava punito. Amen. Il perdono di Edimar l'ha ricevuto, le scuse via twitter le ha formalizzate. Ora si attende la sentenza sportiva. Tutti (o quasi) si augurano che il giudice sia clemente. Perché privare lo show della sua prima stella?

Spiccioli dalla Serie A. Anzi, da Milano. Curiosa situazione. Dopo venti partite (tutto il girone di andata e la prima di ritorno) Milan e Inter sono appaiate. Con gli stessi miseri 26 punti occupano esattamente il centro della classifica. Entrambe hanno vinto e perso sei partite, entrambe ne hanno pareggiate otto. L'Inter ha fatto un gol in più (29 a 28), ma ne ha ovviamente anche subito uno di più (26 a 25). Più che di squadre cugine, sembra si possa parlare di squadre gemelle. Entrambe, peraltro, hanno questo di particolare: stipendiano due allenatori - ma il Milan spende meno dell'Inter per quello che sta in panca. In entrambe non è chiaro chi comandi. Chi nell'Inter? Thohir, Moratti o Mancini? Chi nel Milan? Berlusconi? Galliani (spalleggiato da Marina e Piersilvio)? Barbara (spalleggiata dagli ultras)? Entrambe giocano un football immondo. Inter-Torino è stata lenta agonia; Lazio-Milan un festival di palle-gol sprecate (dalla Lazio). L'inizio della stagione sembrava promettere meglio per il Milan. L'arrivo del Mancio ha invertito le attese, e l'attività sul mercato sembrava giustificare i nuovi entusiasmi. La realtà invece, almeno per ora, è cupissima.

Mans

26 gennaio 2015

La madre di tutti gli errori


Matías Ariel Fernández Fernández: croce e delizia
Il pareggio fra Fiorentina e Roma conforta e sconforta al tempo stesso. Conforta la qualità di calcio espressa dalle due squadre, insolita per il nostro campionato. Sconforta un aspetto in particolare della Fiorentina, brava e poco cattiva ieri sera. La squadra di Montella ha giocato un primo tempo quasi perfetto, schiacciando la Roma nella sua metà campo e creando almeno sei palle gol nitide. Allora qual è il problema? Il problema è la rosa viola. Al 19' del secondo tempo Montella ha operato un cambio inevitabile: ha tolto Mati Fernandez, spesso decisivo in questo periodo ma fumoso ieri; Mati è un giocatore che non puoi tenere in campo a mezzo servizio. Se sta bene e corre può risultare efficace, altrimenti è un uomo regalato all'avversario e l'avversario di ieri era la Roma. Il problema è che il primo centrocampista abile e arruolato era Kurtic. Questo è il limite della viola e lo è sempre stato. La Fiorentina, negli anni, ha avuto autentiche eccellenze pallonare in rosa e non scomodiamo la storia per ricordarle, ma le è sempre mancata la completezza. Quando c'erano Batistuta, Toldo e Rui Costa c'erano anche Pusceddu, Firicano e Rossitto, quando c'erano Toni e Mutu c'erano anche Comotto e Brocchi. Insomma, dal 1956 in riva all'Arno non si vede una rosa davvero competitiva nella sua totalità. Ed è un peccato specialmente quest'anno perché stiamo assistendo a un campionato davvero modesto, in cui basterebbe un guizzo per occupare le prime posizioni.

Manuel Pasqual
Non si può rimproverare nulla alla squadra per la prestazione di ieri. Né si può criticare troppo Montella, che col materiale a disposizione ha fatto e continua a fare miracoli. Il tecnico campano è bravo, ma in alcune convinzioni è testardo e, secondo chi scrive, sbaglia. Sbaglia a insistere su Alonso. Lo spagnolo non ha talento e temo non crescerà mai. Certo l'alternativa è Pasqual, buon manovale del rettangolo di gioco, ottimo sinistro, ma modesto difensore e che comunque non salta mai l'uomo, ciò che per un esterno non è un limite da poco. Montella sbaglia anche su Cuadrado. Il colombiano (lo vedo già con la maglia del Chelsea) non è una seconda punta. Messo accanto, o peggio dietro, al centravanti, diventa prevedibile. O forse, più semplicemente, è un grande bluff e andrebbe dato a Mou senza troppo contrattare sul prezzo. In ogni caso ieri avrei messo Babacar (un po' indolente all'ingresso in campo) insieme a Gomez. Capitolo Gomez, appunto. Il tedesco pare si sia sbloccato.  Ho sempre detto che non è un fuoriclasse. È un ottimo centravanti, ma non risolverà mai le partite da solo. Può capitare, ma non sarà mai il Toni del primo anno prandelliano.
In definitiva il pareggio di ieri va preso come un buon risultato. Potevamo vincere, ma potevamo anche perdere (a tal proposito va riconosciuto che Tatarusanu si sta dimostrando affidabilissimo). Certo che se avessimo Pepito avremmo anche parecchi punti in più. Ma in ripa arni non si può pretendere di avere la squadra completa. Non funziona così adesso e non funzionerà così in futuro.


Cibali

19 gennaio 2015

Sfiancante week-end pedatorio per il voyeur

Cartoline di stagione: 20° turno 2014-15

Il tranquillo week-end del voyeur inizia nel pieno pomeriggio di sabato. Al Liberty Stadium di Swansea - pensa, lui - sarà certo una bella partita. La faccia del portoghese è buia; si prende le sue abituali bordate di fischi e si siede in panca, dopo aver salutato il coach gallese, del quale probabilmente non conosce il nome. Beh, in capo a cinque minuti la sua espressione si è già rilassata. Appena iniziata, la partita è già finita. Grazie a errori di palleggio pacchiani dei castroni di casa, che poi concedono anche spazi immensi al contropiede scherzoso del Chelsea. Cosa c'è da guardare? Nulla.

Top.player
A questo punto, mancano quasi due ore alle 18. Si va al Castellani di Empoli. Certo, l'Inter rimessa a nuovo dal Mancio attrae. Poldi è un'attrazione a prescindere, in sé e per sé. Trascorrono novanta minuti, non si vede uno straccio di azione da gol. Bei salvataggi in extremis di Campagnaro, Vidic, Andreolli, soprattutto Handanovic. La metà campo dei toscani è abbandonata come una spiaggia romagnola a fine settembre. Ci rifaremo con Palermo-Roma, pensa il voyeur. Ah, Totti non gioca. C'è, invece, Iturbe: due palloni e ci si chiede per l'ennesima volta come sia possibile spendere tutti quei quattrini per lui. Invece, Dybala e Vazquez sono una gioia per gli occhi. Corrono e toccano. Palloni di fino, scambi stretti. Spettacolo. Poi si stancano. Destro pareggia, e il voyeur si addormenta.

Domenica. A mezzogiorno, il Real. Una specie di derby, col Getafe. Ci sono statistiche da aggiornare. Doppietta di Lara, dunque la sua proiezione finale rimane superiore ai sessanta gol in una sola Liga. Una passeggiata, per i Blancos. Anche per quelli del Barça, al Riazor. Un tempo era difficile uscire vivi da lì. Oggi persino Messi banchetta. Prima, tuttavia, bisognava monitorare l'aggravamento della situazione del Milan. Arriva l'Atalanta al Meazza. E' malmessa di suo, ma il Milan è un ricostituente per ospiti di questo tipo. E' la farmacia (non in senso zemaniano) delle provinciali. I bergamaschi trovano almeno una decina di ripartenze potenzialmente letali, in superiorità numerica. Ne sfruttano solo una, bontà loro. Fischi assordanti. Menez? Il vanitoso francese ha giocato da solo. Inzaghi dovrebbe metterlo in guardia. Dovrebbe dirgli qualcosa di questo tipo: hai un quarto d'ora di tempo, se fai il veneziano ti tolgo. Non ha il coraggio (di dirlo e di farlo), si vede. Partita da piangere, per pochezza tecnica. "La prossima volta", pensa il voyeur, "guardo Acqui-Novese, ci sarà pure uno streaming".

"Non è vero! Ho colpito di fronte, anzi di sopracciglio!"
Happy hour all'Etihad. Anzi, al 'City of Manchester'. C'è qualcuno disposto a scommettere un penny sull'Arsenal? Quasi quasi. I Gunners sono imprevedibili, un po' come l'Inter, non a caso si sono messi d'accordo facilmente su Podolski. Infatti. Il City preferisce stare un po' a distanza dal Chelsea. Gli piace rinvenire in primavera. Va detto che il rigore non c'era, Kompany è fuori condizione, lento e appesantito, ma Monreal si è chiaramente buttato. Uno a zero per l'Arsenal. Ma perché Silva e Aguero devono per forza entrare in porta col pallone? Poi il solito Hart finge di non vedere una modesta inzuccata di Giroud (ma no, l'ha presa col naso). Due a zero per l'Arsenal. La Premier è in ghiaccio, o così almeno pare. Se ne riparla, appunto, in primavera.

Preview
Bene. Ci si può forse aspettare qualcosa, da Juventus-Verona? Non scherziamo. Lo Stadium mette la tremarella a quasi tutti i giocatori della serie A. Quasi tutte le squadre della serie A guardano le statistiche, e decidono di aver perso la partita prima ancora di partire per Torino. Ci pensano per una settimana, si fanno domande  sul numero dei gol che incasseranno. Il Verona, poi, c'è appena stato (tre giorni fa: scherzi del calendario!) per gli ottavi di Coppa Italia (che, naturalmente, vengono di default giocati in casa della squadra teoricamente più forte. Questo succede solo in Italia, inutile chiedersi perché), e ha perso sei a uno. Giustamente, dopo tre minuti sono già sotto di due. Finisce quattro a zero, e finisce (era ora!) la tournée in Piemonte dei veronesi. Ah, anche lo Stadium non credeva ci fosse una partita vera, e dunque si è riempito solo a metà.

Larghi vuoti anche al Vélodrome, del resto alcuni forti pedatori dell'OM sono in Africa. Il voyeur si spegne e si riaccende, si addormenta si sveglia e si riaddormenta, purtroppo per lui tutti i gol sono concentrati negli ultimi cinque minuti, e sono addirittura tre; ma a quel punto, anche la notte incalzava, nemmeno troppo timidamente, e le voci dai campi d'Europa si spegnevano, producendo echi e lontananze.

Domani è un altro giorno. Domani, Monday Night!

Mans

13 gennaio 2015

Cantieri in corso

Cartoline di stagione: 19° turno 2014-15

Alcuni dei maggiori club europei hanno cantieri aperti in casa da alcuni mesi, in seguito al cambio di allenatore. E' una situazione interessante, laboratoriale, che proprio le partite dell'ultimo turno dei vari campionati invitano a rivisitare.

Le quotidiane didattiche del Mancio
Per una volta muovo volentieri dal caso italiano, perché segna finalmente un avvicinamento agli standard europei e non un'ulteriore precipitazione agl'inferi. Mi riferisco all'Inter, ovviamente, che dopo la pausa natalizia comincia a fare vedere i primi risultati del lavoro, ormai bimestrale, di Roberto Mancini. Già a Torino con la Juventus l'XI aveva mostrato una capacità di reazione dopo l'avvio incerto che gli aveva fatto sfiorare una vittoria di prestigio contro la prima della classe. I primi venti minuti della partita contro il Genoa hanno offerto uno spettacolo di intensità, ariosità di gioco e di ritmo, da entrambe le parti, quali si vedono usualmente in Premier. Per il momento sono solo spezzoni, ma la tendenza è positiva e va accolta come tale. Tre brevi considerazioni. La rosa è la stessa che sotto la guida di Walter Mazzari aveva smarrito qualità individuali e gioco collettivo: si tratta dunque di un gruppo di giocatori di livello tecnico e caratteriale di valore assai maggiore di quanto il pressapochismo del discorso mediatico e da bar non volesse ritenere fino a oggi. Il merito è tutto di Roberto Mancini, di gran lunga il migliore dei tecnici sulle attuali panche della Serie A, insieme con Rafa Benitez: le esperienze, e le vittorie, all'estero, gli hanno conferito maturità e conoscenze tali da riplasmare un ambiente come poche altre volte era accaduto nel nostro calcio in così poco tempo: non solo il lavoro sui singoli (il training di Guarin è l'esempio più evidente) ma una didattica collettiva, quotidiana, evidentissima nella disposizione in campo e nella conduzione del match. E vengo al terzo punto: orientandosi sul 4-2-3-1 (non a caso lo stesso modulo adottato da Benitez a Napoli), Mancini ha in mente un'idea di gioco propositiva, fatta di possesso e conduzione, baricentro alto e pressione difensiva nella metà campo avversaria, gioco a due tocchi, che è quella che ormai si gioca abitualmente nel calcio internazionale d'élite e che è ormai scomparsa dagli orizzonti culturali dei tecnici nostrani. E' una visione comune all'estero, quanto sconosciuta in Italia: e capace, da sola, di convincere giocatori di qualità (non dei campioni, bada ben) a trasferirsi in un "campionato di passaggio" come l'attuale Serie A e in una squadra decaduta come l'Inter. Vedremo tra qualche settimana se il cantiere avrà proseguito la sua costruzione: fosse così, Mancini avrebbe posto in pochi mesi le basi per avviare un progetto pluriennale promettente.

Una rosa qualitativamente comparabile, fors'anche lievemente inferiore, è quella dell'Olympique de Marseille, sulla quale sta lavorando da sei mesi Marcelo Bielsa. Ci sono due tratti in comune con l'Inter manciniana: i giocatori sono gli stessi che lo scorso anno avevano fallito clamorosamente la stagione sotto la guida di Élie Baup (poi sostituito in corsa da José Anigo); è cioè la qualità dell'allenatore - le sue capacità didattiche, motivazionali e di empatia - a marcare la differenza. Rispetto a Mancini, Bielsa ha avuto il vantaggio di cominciare la stagione col ritiro estivo, e dopo due mesi la squadra era già in testa alla Ligue 1, sorprendendo solo i (moltissimi) nesci. Soprattutto, rispetto a Mancini, El Loco ha un'idea di gioco, più radicale, fondata sulla corsa prima che sul possesso, più sulla verticalità dell'azione che sulla trama insistita. Il 3-3-3-1 è il modulo più adatto a interpretarla, ma ha i suoi limiti: la squadra finisce con l'essere meno compatta, le distanze tra le linee sono più difficili da mantenere: non a caso l'Olympique ha perso alcune partite per banali errori di concentrazione quando non tecnici. Da dicembre l'XI ha smarrito lo smalto esibito in autunno e palesa un calo fisico e un appannamento del gioco collettivo, come mostrato dalla secca sconfitta a Montpellier. A febbraio-marzo avremo visto se si sarà trattato della tipica fase di flessione stagionale che ogni squadra attraversa, o se il cantiere avrà incontrato dei problemi strutturali. Ma già quanto visto fin qui è stato molto positivo, come testimonia la ritrovata passione di un ambiente e di una città.

Los Tres Tenores
Ben altra qualità è quella della rosa del Barcellona, che Luis Enrique ha preso in mano l'estate scorsa: siamo ai vertici assoluti del pianeta pallonaro. Quello che manca è l'ambiente, sprofondato in una crisi etica, gestionale e politica clamorosa: i reati fiscali nell'acquisto di Neymar e nei contratti di Messi, la tratta dei minorenni nella mitica Masia, il blocco del mercato per tutto il 2015 decretato dalla UEFA, l'allontanamento di Zubizarreta e Puyol dalla direzione sportiva, il rumore delle scimitarre tra le diverse fazioni che si contendono il controllo del Més que un Club, l'odore del sangue che la stampa e i media catalani e spagnoli inseguono ogni minuto. Basterebbe questo sintetico (e lacunoso) richiamo alla situazione societaria per qualificare come ammirevole il lavoro di campo svolto finora dall'allenatore asturiano nella sfida più impegnativa della sua carriera. Un tridente come quello composto da Messi, Neymar e Suarez ha pochi riscontri nella storia del calcio (a memoria stento a richiamarne di qualitativamente paragonabili per non dire di migliori): tutto si risolve sul come farlo funzionare al meglio. Contrariamente a quanto pensino in molti, non è questione di equilibrio tattico: quasi nessun commentatore ha rilevato infatti come il Barça sia la squadra europea che ha subito meno reti finora in stagione tra campionato e Champions (9 in Liga e 5 in CL) dopo il Bayern (4+4) e la Juventus (9+4). La fase difensiva è saldissima (la difesa è bloccata a 4 senza sperimentazioni di "metodo" come avvenne a Roma), più di quella del Real, che in stagione ha perso anche una partita in più (5 contro le 4 del Barça). E' semmai l'innesco dei cannoni offensivi il cuore del cantiere ancora in corso. La vittoria splendida contro l'Atletico ha acclarato il disegno che ha in mente Luis Enrique: il tiki taka è definitivamente accantonato, se non come riflesso pavloviano episodico e funzionale alla fase di gioco; la squadra non pressa alta nella metà campo altrui come in passato, perché lo scopo è quello di creare lo spazio per lanciare in libertà i tre attaccanti, grazie alla tessitura di Mascherano, Busquets e Rakitic e alle aperture di Iniesta. Tutto qui. Ma è moltissimo. Perché non è affatto facile trovare continuità e ritmo. Il problema, soprattutto, è culturale: quasi tutti coloro che guardano giocare il Barcellona attuale hanno sempre nella memoria quello di Guardiola, e il confronto è immediato, a discapito dell'XI attuale e dell'idea di gioco di Luis Enrique. Se potesse cancellare la "storia", il Barça sarebbe probabilmente ammirato per il suo gioco attuale e per partite come quelle di domenica sera: lo spettacolo offerto dai Tre Tenori là davanti è stato memorabile.

I segreti della mediana
Ultimo cantiere in corso, forse il più indietro di tutti, è quello mancuniano, sponda United. Anche in questo caso la rosa è di qualità, benché forse meno di quanto non la sopravvaluti il senso comune giornalistico secondo il quale anche un onesto pedatore è ormai etichettato come un "top player" (grazie anche alla non proporzionale entità dei contratti milionari che sono ormai capaci di strappare i procuratori). A differenza di Barcellona, l'ambiente è saldissimo dietro a Louis van Gaal, che gode della stima - e vorrei vedere, trattandosi, dei quattro allenatori qui analizzati, del migliore e più vincente in assoluto - di una dirigenza fatta di grandi campioni del passato (come è il caso, non a caso, anche del Bayern). In assoluto, è forse il cantiere più affascinante da seguire, perché l'ingegneria tattica è tipicamente olandese, con le sue figure inusuali e con i suoi sperimentalismi. L'impianto è un 3-1-4-2 non così scontato, con Carrick facente funzione di metodista e una mediana atipica come quella composta da Rooney e Mata. A ben vedere Re Aloysius sta tentando quel che è riuscito a Carletto a Madrid con Kroos, Isco e James: aggiungendo però due cursori di fascia come Valencia, Blind o Young. Anche i due attaccanti si riducono, in realtà, a una sola punta, Van Persie, più uno striker che gli gira intorno, come Di Maria o Falcao (se saprà interpretare il ruolo: al momento non sembra volerci provare, afflitto come appare da stellinite acuta). Il problema è costituito dalla difficoltà di mantenere le giuste equidistanze tra le linee e di sincronizzare i movimenti difensivi a scalare. La squadra incassa infatti un po' troppe reti (21 finora, una a partita). Ma l'impianto di gioco è chiaro e si tratta solo di attendere che gli interpreti assimilino gli automatismi. Ci vorrà ancora tempo, perché per più d'un giocatore (Rooney, Mata, Di Maria etc., ma anche lo stesso De Gea, chiamato sempre più spesso a usare i piedi come Neuer) si tratta anche di imparare un ruolo e una collocazione nuova in carriera: una sfida nella sfida. Dovesse riuscire sarà uno spettacolo. Teniamo poi presente che Van Gaal ha vinto ovunque sia andato. Sarà questione di tempo anche a Manchester. Come ho già scritto [vedi], insieme all'orchestra bavarese di Guardiola e alla máquina madridista assemblata da Ancelotti, lo United rappresenta, in prospettiva, l'attesa più densa di promesse per noi "mendicanti" di bel calcio.

Azor

7 gennaio 2015

Alba blaugrana, giganti dell'area e il ritorno del gol-fantasma

Cartoline di stagione: primizie del 2015

Gesti raffinati e inconsulti
Il buon David Moyes si sta prendendo le sue grame soddisfazioni, al Municipal de Anoeta. Grame, sì: per los Txuri-urdin, purtroppo, alla Liga partecipano venti squadre, e non solo le tre grandi. Ma per le tre grandi, l'Anoeta è una stazione di dazio. Dove regolarmente si paga. Domenica è toccato al Barça, in precedenza era toccato ai Colchoneros (il 9 novembre) e prima ancora al Magno Real (il 31 agosto). Nove punti nei tre big-match per Moyes, che ne ha raggranellati fin qui, in totale, solamente diciotto. Senza quelle tre portentose e inaspettate vittorie, la Real Sociedad sarebbe ora sul fondo del fondo della classifica, poiché a quei trionfi si aggiungono una sola altra vittoria (ai danni dell'Elche, lo scorso 28 novembre), sei pareggi e sette sconfitte. Stranezze del futbol. E strano (anzi, quasi soprannaturale) è stato sicuramente il gol che ha malamente inaugurato il 2015 blaugrana. Una meravigliosa inzuccata in volo e in torsione di Jordi Alba, ma nella propria porta (fotogramma). La partita era iniziata da pochissimo, e lì è finita. E' finita anche la striscia di Carletto, che cade al Mestalla e subendo di rimonta. La media-reti dei Blancos decresce sensibilmente: la proiezione è ora fissata a 133. Lara Croft rimane a galla, e tenuto conto che (avendo saltato un turno in fabbrica) alla fine potrà giocare non più di 37 partite, ecco che la media aggiornata lo accredita di 64 pappine. Sempre e comunque mostruoso, va da sé. Nel frattempo l'Atlético accoglie il figliol prodigo, scarica l'inutile Cerci e si riporta all'altezza del Barça. Domenica lo scontro diretto, a Camp Nou.

"The Beast"
In Inghilterra, week-end riservato alla Football Association Cup, la più antica competizione del pianeta. In questo turno (Third Round Proper) esordivano i club della Premier. Abbandona subito il malandato QPR, ad alcune tocca la ripetizione (a campo invertito), ma certo la sfida più commovente è andata in scena a  Kingsmeadow, stadio costruito recentemente ma di fascino vintage nel borgo reale di Kingston upon Thames. Qui gioca normalmente il Wimbledon, che nell'occasione ha ospitato i Reds. Ovviamente, la memoria è andata alla famosissima finale del 1988, alla Crazy Gang di Bobby Gould e di Vinnie Jones (che, proprio lunedì, compiva 50 anni). Il Liverpool l'ha spuntata, ma a prendersi la scena è stato Adebayo Akinfenwa (foto), pachidermico centravanti dei Wombles e acceso tifoso del Liverpool. Beh, ha pure fatto il gol del momentaneo uno a uno [vedi]; poi ha pregato Steven Gerrard, il suo idolo, di non lasciare Anfield [vedi].
 
E arriviamo al bollettino della Serie A. Alcune cose non saranno sfuggite ai più. Per esempio, la sontuosa prestazione di Felipe Anderson, brasiliano, futuro crac (di mercato) per Claudius Lotitus - dovesse confermarsi. Meno veloce ma molto più intelligente (e insisto sul 'molto') di Cuadrado, tecnica sopraffina, movenze (direi) alla Causio (per chi se lo ricorda), ma ambidestro. Va monitorato sistematicamente. Per esempio, la rovinosa (e non inedita) caduta del Milan, che quando finiscono le chiacchiere deve andare in campo e conferma di essere una creatura fragile, priva di certezze, sempre in bilico tra la buona prestazione e la contro-prestazione. Il Milan sembra aver preso più da Menez che da Inzaghi: è lunatico e perciò discontinuo; confusionario e non lineare. Per esempio, l'ennesima brutta performance della Juventus. Brutta perché contradditoria, sì, perché le partite durano novanta minuti e non quarantacinque. Partite a fotocopia, contro la Samp e contro l'Inter. Partite nelle quali i bianconeri maramaldeggiano per una mezzoretta, vanno in vantaggio, sprecano. Poi si disgregano, subiscono e disordinatamente riprendono ad arrembare. Il tramonto atletico di alcuni uomini è palese (purtroppo, tra essi, vi è Sant'Andrea da Brescia), e non è compensato da un'adeguata (ri)organizzazione del gioco. Cinque pareggi nelle ultime sei apparizioni (e tre punti presi solo al derelitto Cagliari). Qualcosa non va: difficile capire se Allegri ne sia consapevole e semplicemente finga di non averlo compreso. 

Attenzione! Potrebbe essere un'immagine ritoccata o taroccata!
Sul gol-quasi-fantasma di Udine è inutile aggiungere chiacchiera a chiacchiera. L'episodio si presta a ingigantire la dietrologia juventina (che ovviamente vi legge un ulteriore segno delle simpatie nutrite dal Palazzo per la Roma); in sé, andrebbe derubricato a onesta e necessaria decisione arbitrale, obbligatoria per uomini abbandonati a calcolare mentalmente e in un istante traiettorie e millimetri. Non è il principale problema per noi, certo. Ma è anche vero che, altrove, questo problema non c'è più. Perché la soluzione è semplice, più che ragionevole e low cost.

Mans

Dilettanti allo sbaraglio. O forse no


Inizia male il 2015 della Fiorentina. Era dura perdere a Parma, contro la squadra più scarsa di un campionato già di per sé assai modesto. L'undici di Donadoni gioca su una distesa terrosa in cui la sporadica erbetta serve solo a mascherare i tuberi che si coltivano nell'umo sottostante. La Fiorentina vi si adatta alla perfezione e sfodera una prestazione che lascia sbalorditi per insulsaggine calcistica. Un convulso roteare attorno a se stessi senza mai trovare la verticalizzazione. Forse è meglio così perché quando, grazie a meccaniche celesti sfuggenti alla comprensione umana, la mossa riesce, ci pensa Gomez a passare il pallone al portiere avversario (quell'Antonio Mirante da Castellammare di Stabia oggi eroico custode della rete parmense). 

Dunque cosa sta succedendo alla Fiorentina? I Viola avevano messo insieme una buona serie di risultati utili in chiusura di 2014 ma, come già scritto in precedenza, la via per ottenere quei punti non ci era piaciuta affatto. Troppa confusione in campo, troppo poco gioco creato e soprattutto troppo scarsa la capacità di leggere i momenti della partita. L'Empoli, prima della sosta, aveva fatto suonare più di un campanello d'allarme, ma evidentemente nessuno se ne è preoccupato a sufficienza. Ed arriviamo a oggi. Prestazione inguardabile dicevamo. Nessuno pareva sapere cosa fare in campo e probabilmente il comunicato con cui la società annunciava, tra lacrime e dichiarazioni da cuore infranto, la volontà di Neto (mica Lev Yashin) di non rinnovare il contratto, ha fatto arrabbiare parecchio i giocatori e Montella. In effetti, più che del mercato invernale appena iniziato, la Fiorentina dovrebbe preoccuparsi di capire come funziona questa società. Leggendo sul sito ufficiale si vede che la Viola ha un presidente onorario che non è presidente (ADV), un presidente che è anche amministratore delegato (Cognigni), un altro amministratore delegato ma dell'area sportiva (Mencucci), un direttore generale e uno esecutivo (rispettivamente Rogg e Baiesi), un direttore sportivo e uno tecnico con quest'ultimo che è anche responsabile del settore giovanile (Pradè e Macia) e mi fermo qui. Insomma, l'organigramma della Fiorentina sembra quello dell'INPS. È ampio e ben strutturato, ma non si capisce chi decide cosa. Un uomo di calcio, uno che ha respirato l'olio canforato negli spogliatoi d'inverno, non avrebbe mai emesso un comunicato come quello pubblicato sulla vicenda Neto a pochi giorni da una partita così delicata per il cammino della Fiorentina in campionato. Un proprietario che tiene molto al fair play finanziario (e legittimamente), come ADV, non dovrebbe andare dai media a dire che è umanamente ferito dal rifiuto del portiere di rinnovare perché il calcio o è un affare di cuore o è un affare e basta. Nel primo caso, tiri fuori i soldi che servono per vincere, nel secondo no, ma non vai a sbandierare le delusioni amorose. E comunque se a un giocatore ci tieni, il rinnovo glielo proponi con largo anticipo, come è stato fatto con Borja Valero e Gonzalo Rodriguez. I casi Montolivo e Ljajic insegnano. E se il tecnico va in conferenza stampa prima della gara a dire che in questi mesi si è sentito un po' solo, allora c'è qualcosa che non va davvero dentro la pancia dell'Artemio Franchi.

Stadio Tardini di Parma. Mario Gomez si dispera dopo aver
sbagliato il rigore che poteva portare la Fiorentina al pareggio
Se vogliamo analizzare poi l'aspetto tecnico, ci accorgiamo che la situazione non è migliore. Anche oggi la Fiorentina ha giocato con una sola punta e Cuadrado a scorrazzare libero da una trequarti all'altra senza che nessuno capisse se era incaricato di fare la seconda punta (cosa che secondo il modestissimo parere di Cibali non potrà mai fare) o l'esterno che diventa interno e poi esterno ancora senza mai stare troppo esterno e senza mai entrare in area col pallone. Cuadrado serve se parte esterno e crea superiorità dalla trequarti in avanti. Altrimenti è un giocatore regalato all'avversario. A centrocampo ha giocato Kurtic. Perché? Perché imporre questo supplizio al tifoso viola? Aquilani sta male? Se sta male, perché nessuno ne sa nulla a Firenze? Se sta bene, come può essergli preferito Kurtic? Davanti Gomez è ormai diventato un caso da studiare. Il giocatore è un campione, ma per ora pare che la Fiorentina abbia acquistato il cugino goffo. Il centravanti infallibile salutato da ventimila tifosi nell'agosto infuocato del 2013 a Firenze non è mai arrivato. O forse si, ma il primo infortunio patito un anno e mezzo fa contro il Cagliari a Firenze l'ha cancellato. Domande che forse non avranno mai risposte. Così come risposte non ce ne saranno al perché Marin non gioca mai. Viene da squadre importanti, ha classe da vendere. Possibile che non trovi mai spazio? Né perché Richards non gioca mai: chi l'ha voluto? Viene dal City. Possibile non trovi spazio nella Fiorentina? Capitolo Badelj: è lento. Certo che è lento, ma chi l'ha visto giocare nell'Amburgo sa che le ganasce alle gambe non gliel'hanno mica messe a Firenze. Le aveva anche prima che gli venisse proposto il contratto. Il nervosismo mostrato oggi da Gonzalo e da Savic è francamente incomprensibile. Così come incomprensibile è aver fatto calciare il rigore a Gomez in un momento come quello che sta vivendo il tedesco.

Dopo l'errore è scattato lo psicodramma. Nel secondo tempo il tedesco non ha toccato palla. Non avrei fatto tirare il rigore a un ragazzo che vive un momento così delicato. Detto tutto questo, la Fiorentina a Parma doveva vincere anche con Cuadrado in porta e Gomez centrale di difesa.

Adesso il mercato è aperto. Pare che Ilicic vada a Torino. La Fiorentina ha un esubero in termini di calciatori che si aggira intorno alle 7/8 unità. Vedremo cosa faranno Pradè (in scadenza di contratto) e Macia (un giorno sì e l'altro pure accostato al Barcellona). Le sensazioni non sono buone. L'impressione è che in Fiorentina ci sia un po' di confusione. Solo la proprietà può fare chiarezza. Si attendono segnali perché quello che è accaduto in settimana sa molto di dilettantismo. O forse no.

Cibali

2 gennaio 2015

Giri di boa

Cartoline di stagione: turni inglesi natalizi 2014-15

Partenza col botto a capo del nuovo anno pedatorio. Bellissimo derby al White Hart Lane tra Tottenham e Chelsea, ad inaugurare il girone di ritorno della Premier: 8 reti, risultato in bilico fino a 10 minuti dal termine, gran prestazione collettiva degli Spurs - palla bassa, corsa, pressing e varietà di soluzioni negli ultimi 20 metri - e Blues mai così in difficoltà in questa stagione - con i due centrali poco protetti e dunque a imbarcare acqua e il solo Hazard a dare vivacità in avanti. La squadra di Mourinho attraversa una fase di palese flessione (e puntualmente José ha scatenato la sua guerrilla mediatica contro tutti): dopo il 22 novembre, quando aveva accumulato 8 punti di vantaggio sul City e sembrava avviata a dominare la stagione grazie anche alle difficoltà palesate delle avversarie, ha perso due volte (contro il Newcastle e il Tottenham, entrambe fuori casa), pareggiato altrettante e vinto solo quattro match.

1° gennaio 2015, White Hart Lane, London
Doppietta e già 17 gol in stagione per Harry "Citizen" Kane
Al contrario, la squadra guidata da Pellegrini ha perso l'ultima volta il 25 ottobre (contro il West Ham), e da allora ha vinto nove partite e ne ha pareggiate solo due (una in casa contro il Burnley domenica scorsa), azzerando il distacco dal Chelsea. Campionato riaperto, per la gioia degli appassionati. Ora mancano 18 turni: il Chlesea ne giocherà 11 in casa, dove finora ha sempre vinto, affrontandovi quasi tutte le migliori, a parte l'Arsenal e il West Ham; la rosa è al completo, senza infortunati e squalificati. Il City ne giocherà invece ancora 10 in trasferta, tra le quali lo scontro diretto con il Chelsea, il derby con lo United, e i match contro il Tottenham e il Liverpool: fuori casa ha già perso con il West Ham e pareggiato con l'Arsenal e il QPR; alla lunga potrebbero pesare le assenze per infortunio di Aguero, Kompany e Dzeko, e oltretutto la squadra viene da una lunga fase positiva che non potrà durare in eterno. A palla quadrata i favori sembrerebbero inclinare verso i londinesi di Abramovich, ma per fortuna la palla è rotonda e tutto potrà succedere, complici anche i super ottavi di Champions che le due contendenti giocheranno a distanza di una settimana l'una dall'altra, prima il Chelsea contro il PSG, poi il City con i Barça. Ci attende un inverno coi fiocchi, non solo di neve.

Prima di Natale avevano concluso il girone d'andata anche la Bundesliga e la Ligue 1. I tedeschi sono andati in letargo (riprenderanno il 31 gennaio, con ampia giustificazione: oltre il limes il clima è davvero inclemente) con il Bayern campione non solo d'inverno: l'unico brivido lo darà il Dortmund. In Francia (dove si riprende domani con la Coppa) il Marseille ha virato in testa con due punti di vantaggio sul Lyon e tre sul PSG, dando spettacolo grazie alla rivoluzione bielsista. La capolista ha perso con entrambe le rivali (e anche col Monaco e il Montpellier), ma dovrà ora incontrarle in casa, recandosi comunque in trasferta 10 volte. Il PSG dovrà giocare a Lyon e a Marseille, invece, e battersi tra febbraio e marzo contro il Chelsea. A sua volta, anche il Lyon avrà da affrontare 10 trasferte. Tutto sembra apertissimo e ancora avvincente.

Domani riprende anche la Liga, dove mancano ancora tre giornate per completare il girone d'andata. Il Real - che deve recuperare a febbraio anche la partita, al Bernabeu, col Siviglia - ha potenzialmente 4 lunghezze di vantaggio sul Barça e 7 sull'Atletico; viene però da una serie record di partite e dovrà necessariamente lasciare qualche punto per strada. Il sorteggio di CL è stato comunque favorevole, assegnando ai Blancos lo Schalke, mentre il Barça se la vedrà con il City e i Colchoneros con il Leverkusen. La capolista dovrà però recarsi al Camp Nou e al Calderon ma, al momento, nulla - nemmeno il petardo della sconfitta persica contro il Milan - lascia pensare che a Carletto Nostro potrà sfuggire il titolo. Buona ultima, riprenderà anche la Serie A, dove mancano ancora tre turni per assegnare la corona d'inverno. La Juventus ospiterà la sera della Befana l'Inter, ma gli esiti incerti - anche per l'ordine pubblico - saranno soprattutto domenica 11 gennaio, con il derby della capitale e la capolista a Napoli. Peraltro, fino a fine gennaio l'attenzione di tutto il calcio sarà concentrata sui fumi oppiacei del mercato: alla fine arriveranno i soliti ronzini sopravvaluti, sia di primo che, soprattutto, di secondo pelo.

Azor