9 agosto 2017

Lo scarpone al centro del villaggio

Fettine di coppa: Supercoppa Uefa 2017

Dovrebbe essere il peggiore, e segna gol decisivi in partite che vedono anche i pinguini al Polo Nord, per dire della loro importanza. Il peggiore, il più scarso, anzi lo scarsone, lo scarpone, il frangiflutti, l'interditore, il corridore, il protettore degli estri, l'assicuratore degli astri miliardari. Sono solo dicerie messe in giro dalla critica calcistica, perché poi lui va in rete proprio in quelle partite, fulminando i portieri da fuori o dentro l'area e di prima intenzione, colpisce traverse, sforna assist. Certo, recupera anche palloni. Non è che li sradichi: li calamita. Sembrano errori di tocco e di misura, sembra la modestia degli avversari; forse ha la capacità di sparire e ricomparire sulle linee di passaggio quando ormai la traiettoria non può essere corretta. Ma sì. Casemiro vale un Ronaldo, è lui la vera anima del Real. Casemiro ha cambiato la storia del Real quanto e forse più di Cristiano: al centro del villaggio c'è lui, pagato a suo tempo da Florentino la stessa cifra investita dal Milan per garantirsi i servizi pedatori di Borini (per dire). E lì in mezzo ce l'ha messo Zidane, uno del quale Mou ha detto qualcosa tipo "non si capiva se volesse fare l'allenatore oppure no", come a sottintendere "non si capiva cosa ci facesse a Madrid, se non l'icona di se stesso", vai a sapere. 

Carlos Henrique Casemiro: non sta intercettando il pallone;
lo sta scaraventando alle spalle di De Gea, di prima intenzione.
Forse in fuorigioco, sì, ma è solo un dettaglio

Zizou ha meriti incontestabili nella costruzione della squadra che, oggi, ha una dimensione che supera e di parecchio la semplice attualità del football. Il Madrid di questi anni si è installato decisamente e inopinatamente (chi l'avrebbe detto?) nella storia del calcio, e si tratta di una cosa non discutibile alla luce della nonchalance, della facilità apparentemente irrisoria con cui ormai domina le partite che contano. Il Real di Zidane interpreta e riassume diversi tipi di calcio: calcio di possesso lento e di gestione, di pressing, di contropiede. Di meglio in giro, oggi, non c'è, e quando il ciclo sarà finito anche i detrattori potranno ammettere che questo è stato probabilmente il Real più forte di sempre, più forte dei Galacticos di Zizou (appunto) e Ronaldo, forse apparentabile al protostorico prototipo di don Alfredo e dell'asso ungherese. Forse, Zinedane sta per diventare nel mondo Real qualcosa di analogo a quello che è stato Cruijff nell'universo ajacide e barcellonista. L'uomo di una svolta. Della svolta più inattesa e sorprendente. Forse, dietro la sua sorridente modestia, c'è una determinazione feroce molto simile a quella che nel 2006 accompagnò le sue ultime esibizioni sul campo, da dominatore assoluto, fermato solo da un insulto di Materazzi. Quell'errore gli è costato molto, ma potrebbe averlo cambiato definitivamente. E' un uomo che trasmette calma e sicurezza ai suoi uomini; ansia e isteria - ingredienti tipici del Real negli anni di Mou - sono spariti dal repertorio dei Blancos, anche quando il gioco si fa duro e difficile.

"José, ma sì, quasi quasi ti vendo il gallese.
Casemiro? No, Casemiro no. Non se ne parla nemmeno"


Il buon Mou, invece, ormai offre qualcosa di interessante solo quando si presenta in conferenza stampa. Guida una squadra che, in due anni, ha già messo sul mercato 300 milioni di euro, un terzo dei quali investiti per riprendere Pogba. Ecco, il declino di Mou è evidente (al di là dei risultati che in qualche modo lo tengono a galla) dalla difficoltà di riuscire a mettere in efficienza una macchina strepitosa (per fisicità e abilità tecniche) come quella del francese. In un anno, il suo rendimento è scemato, la sua posizione in campo è diventata variabile, i suoi errori una costante. Pogba, oggi, è più somigliante a Kondogbia che al Pogba juventino. La cosa fa abbastanza tristezza. Fa tristezza anche vedere l'UTD concedere al Real, dopo la rasoiata di Casemiro, cinque minuti di possesso palla ininterrotto, un torello da allenamento. Fa tristezza, paragonare questa dell'UTD a una qualsiasi delle versioni (anche le più raccogliticce) ammaestrate da Ferguson. Forse, a Old Trafford saranno contenti di lui, che l'anno scorso roba (anche se di valore non eccelso) in bacheca ne ha portata; non a caso, i suoi desideri vengono esauditi (Lukaku, Matic, Lindelöf, rispettivamente 85, 45, 35 testoni) con una certa puntualità (ora ha detto di volere Bale, e chissà). Ma produce un calcio prevalentemente difensivo e sostanzialmente approssimativo, ben al di sotto di quel che pretendono la tradizione del club e il suo prestigio (e il suo seguito) planetario. 

"Fotografo, è l'espressione giusta?
Ho l'aria di uno che si sta spremendo le meningi per escogitare
la soluzione del problema?"

Mourinho, ormai, non ha più calcio da insegnare (ammesso l'abbia mai fatto). Perpetua la propria leggenda grazie alle abilità comunicative, al fascino del suo palmarès. Ma è palesemente, come si suol dire, bollito. Le sue reazioni in panchina sono quelle di un allenatore sedato, più che seduto sui propri ricordi. Il calcio cambia in fretta, lui è sulla breccia da lustri. Essendo un uomo di successo, potrebbe cambiare mestiere. Riuscirebbe ugualmente a rimanere sulla ribalta.


Mans