El rincón del tertuliano
Ai piani alti della Liga (e sulla soglia delle semifinali di Champions, monopolizzate dalle tre grandi spagnole) la dimensione tecnico-tattica pare non contare più. A sei giornate dal termine, il copione non subisce significative variazioni: Barcelona, Real Madrid e Atlético Madrid vincono. Soffrono o dominano, ma quasi sempre portano a casa il risultato. Unica eccezione, il mezzo scivolone del Barça una settimana fa contro un agguerritissimo Sevilla: ammaliata dalla magia del Sánchez Pizjuán, la capolista ha visto dimezzarsi il vantaggio sull'inseguitore merengue. A questo si è ridotto il campionato: a una perenne invocazione della malasorte sul rivale attraverso ogni pratica rituale conosciuta. La macumba, la gufata, le corna, el mal de ojo, tutto vale, purché il Barça inciampi, il Madrid perda il contatto, l'Atleti venga raggiunto dalle dirette concorrenti per la terza piazza.
El Pistolero, 11 gol nella Liga BBVA |
Ieri il terreno del Camp Nou era disseminato di infide tagliole blanquinegres - il Valencia occupa la quarta posizione e ambisce a superare l'Atlético - ma questo Barça è estremamente pratico: apre e chiude il match a mo' di ventaglio, grazie al fulmineo suicidio ché e nel segno del Pistolero Suárez.
Carico a pallettoni dopo la doppietta del Parc des Princes, Luísito dopo 55 secondi dal fischio iniziale accetta l'invito Messianico a marcare il tipico gol de vestuario, in un bruciante contropiede che squarcia la difesa bondage del Valencia. Nei primi minuti la Pulga, a un gol dal traguardo delle 400 realizzazioni con i blaugrana, sembra ispiratato e buca ripetutamente per vie centrali; la difesa avversaria ansima, faticando persino ad abbatterlo. Il canovaccio catalá è ovvio quanto efficace: il compito di centrali e terzini è di traghettare il pallone all'altezza del cerchio di centrocampo, dove chi di dovere (Leo, who else?) raccoglie e inventa. La cooperativa funziona: lui è regista, mezzapunta, ala, centravanti e ala, lo es todo.
Claudio Bravo para il rigore di Dani Parejo |
Il Valencia, pur senza il fosforo di Pablo Piatti, reagisce allo scapaccione a bruciapelo e guadagna un rigore a 24 carati, che il capitano Parejo s'incarica sciaguratamente di recapitare tra le braccia di Claudio Bravo. I culé cominciano a imbarcare acqua: sulle fasce soffrono la spinta di Feghouli, Otamendi, Rodrigo, André Gomes, perdono pericolosamente il marchio di fabbrica - il possesso palla - e subiscono inermi la pressione avversaria. Il centrocampo non filtra, Xavi latita. Il palo di Paco Alcácer è l'ultimo avviso del primo tempo, dopodiché comincia un'altra partita: nella seconda frazione il Barça sterilizza la sfera, assume il controllo del match e lo chiude all'ultimo istante, con una cavalcata trionfale di Messi su un Valencia ormai senza ossigeno (e ulteriormente staccato dal terzo posto, consolidato dall'Atleti grazie al successo sul Depor). L'incontro, però, non poteva terminare prima che Messi si presentasse all'appuntamento inderogabile con il quattrocentesimo sigillo azulgrana.
Prodezze di giornata: la chilena di Antoine Griezmann |
La pressione a questo punto ricadeva interamente sulle spalle del Real Madrid, alle prese con il molesto Málaga. Con il ritorno del derby europeo dietro l'angolo, Ancelotti sceglie di non rischiare Benzema. Il suo XI suole condurre le danze ma tende a sbilanciarsi; la difesa è friabile, barcolla costantemente sulle palle alte, condizionata dalle persistenti indecisioni di Casillas in uscita e da centrali più adatti a proporsi che a contenere. La macumba stavolta può contare sulla doppia sponda Barça-Atleti, fattore chiave perché gli spilloni vodoo pungano il pupazzo blanco dove realmente duole.
Fuori uno: Bale |
Gli esiti del sortilegio non tardano a manifestarsi: dopo due minuti,
l'infortunio di Bale. Il Madrid spinge a sinistra con un caotico
Marcelo, ma il Málaga è squadra giovane, rapida e pratica; il
centravanti marocchino Amrabat a più riprese mette in imbarazzo Pepe e Ramos, la corsa di
Boka impone ai Blancos di sbilanciarsi a destra, in sostegno ad Arbeloa. Il gol di Ramos - in sospetto fuorigioco - giunge nel momento più opportuno; qualche minuto ancora e la questione si sarebbe complicata. Dopo il vantaggio il Madrid si scuote, Kameni compie un paio di miracoli, ma la partita è sempre aperta e vibrante: Sergi Darder nel primo tempo fagocita il pareggio, un rigore di movimento consegnato al parcheggio del Bernabeu. I Boquerones si chiudono e ripartono, vogliono portarsi via un pezzo di stadio e cominciano a marchiare le articolazioni avversarie: a turno Angeleri, Sergio Sánchez e Castillejo (spesso fuori giri), più tardi Tissone, fino alla nefasta entrata dell'impenitente Recio, che scalpella il ginocchio di Modric. Nel centrocampo merengue, improvvisamente si spegne la luce.
Fuori due: Luka Modric K.O. |
Il croato è l'ago della bilancia. Si avvera, dunque, il peggior incubo di Carletto: perdere ora Modric con lo spettro del Cholo dietro l'angolo, e con alternative che non lo convincono appieno. Il mister non si fida del pigro Isco, la cui qualità tecnica mal si coniuga con l'infinita quantità di palloni persi, né della recente scarsa affidabilità di un Kroos sempre meno germanico, sempre più latinamente impreciso. Senza Modric il Madrid vacilla; il Málaga annusa il sangue della preda ma perde l'attimo. Nel momento migliore arriva il rigore (fallito da Cristiano Ronaldo), poi un gran gol di James Rodríguez, eccelso ricamatore, e la tardiva stoccata di Juanmi; Chicharito negli ultimi minuti si scrolla di dosso la depressione di un lungo inverno in panchina e assiste il tap-in di CR7. Il trionfo costa la salute al Madrid, incerottato allo scontro decisivo di Champions, senza Marcelo, Bale e Modric. Peligro...
Duca
Duca