Alicante, 30 de junio de 2014
Un mondiale nato e vissuto fra contestazioni, leggi
repressive, sordine e scontri. Un mondiale censurato, che estende le zone franche
dʼesclusione intorno agli stadi allʼombra del mezzo televisivo. Un mondiale in
cui lʼevento sociale e sportivo si riduce drasticamente al taglio del palcoscenico
imbellettato. Un mondiale edulcorato dallʼinvasione di campo, dallʼapprofondimento
moviolistico, da qualunque voce strida con il motto ufficiale di Brasil 2014, Juntos num sò ritmo ("Uniti in un
solo ritmo"). Il main stream
della sezione ritmica, sia chiaro, è rigorosamente scandito da basso e batteria –
Blatter e Grondona – della FIFA, sebbene i singoli frammenti di gioco
potrebbero dipendere anche dalle ubbie dello spot fixing, ossia la
rete clandestina di scommesse su singoli momenti delle gare, recentemente scoperchiata
da unʼoperazione congiunta della polizia di Hong Kong, Guangdong e Macao.
Rio de
Janeiro: protesta degli Indios nel museo abbandonato, nellʼAldeia Maracanã |
La
FIFA (o chi per essa) sgombera, manganella e demolisce ciò che non gradisce: il Museu do Indio, i manifestanti, persino
– metaforicamente – lʼeffigie di Luis Suarez indossata dai tifosi charrúas.
Di infimo livello anche il dibattito che orbita intorno allʼevento:
protagonista quotidiano e assoluto è senza dubbio lʼinossidabile Maradona, il
quale si scaglia contro la federazione internazionale, ansioso di rivendicare
per sé il ruolo – poco credibile – di defensor
del Pueblo ai danni di presunti "foraggiati" come Pelé e
Beckenbauer; e poi contro lʼAFA, il Brasile, Blatter, lʼ€uro, la Merkel, lʼeffetto
serra, lo spread et similia. Memorabile
lʼelaborata difesa dʼufficio in favore di Luís Suárez nel suo programma estivo
De zurda, sul canale di stato venezuelano
Telesur (¿A quién mató? e ¿Por qué no
lo mandan a Guantánamo?), di spessore anche la critica ai colletti bianchi
della FIFA, incapaci di prendere una decisione in merito perché – a suo dire
– mai hanno calciato un pallone né indossato la casacca della propria
nazionale; insomma, il Pibe de Oro potrebbe essere considerato
lʼemblema dello sdoganamento della frode, il che sottrae ogni credibilità alle pur
sensate accuse di corruzione (appurata) alla FIFA.
Il paladino Diego in difesa di Luisito Suárez, in De zurda (Telesur) |
Tentiamo di salvare qualcosa. In una Spagna inasprita dalla pessima figura dei campioni in carica, si apprezza lʼuscita dignitosa di Cesare Prandelli e Abete, che un minuto dopo lʼeliminazione rassegnano le proprie dimissioni, in un periodo in cui dagli omologhi e riluttanti Del Bosque e Villar, considerati i maggiori responsabili del fallimento, ci si aspetterebbe il medesimo gesto.
ʼAvorio |
Duca