Bella (per modo di dire) l'ultima settimana. Campionato in sosta, nazionali in campo. Anche l'Italia, certo. Ma in Italia - nei bar, sulle antenne locali e no, sui giornali - l'argomento principale è sempre quello: Juventus-Roma. Lo 'scandalo' arbitrale. La moviola in campo. Le dichiarazioni (a freddo e a caldo, in risposta ad altre dichiarazioni) dei protagonisti. Ah, e le ridicole statistiche che in certe redazioni hanno cucinato e poi messo in tavola: il numero dei calci di rigore (a favore e contro) nella storia delle tre grandi e delle medio-grandi a partire dal campionato 1929-30, oppure negli ultimi 50 anni, oppure nel dopo-calciopoli. Statistiche la cui totale irrilevanza è chiara anche a un neonato.
Certo, il boccone era grosso. Il nostro sistema calcistico, in tutte o quasi le sue componenti, non gradisce che si discuta di football. Sembra anzi attendere, ansiosamente, episodi come quelli dello Juventus Stadium, onde poterne parlare a vanvera per giorni e giorni. Certo, meglio la pseudo-polemica rovente dopo uno scontro di vertice che incidenti accoltellamenti e morti ammazzati. Arriveranno anche quelli. Nel frattempo, 'godiamoci' le accuse alla Juventus, le contro-accuse degli juventini, i falsi richiami all'abbassamento dei 'toni' (un corno: più chiasso c'è, più la gente si diverte).
Nel frattempo, nulla all'orizzonte si intravede che possa contribuire a porre le basi per 'curare' il 'malato': che il calcio italiano sia 'malato' è cosa che si sente dire da anni, ma per molti non lo è affatto, poiché garantisce affari e impunità. La presidenza federale ha un asso nella manica: la sperimentazione delle tecnologie nel campionato primavera. Esperimento pilota, che potrebbe/dovrebbe innalzare la modesta considerazione che di 'noi' hanno le istituzioni internazionali. Fumo negli occhi. Perché nessuno sostiene, per esempio, che la primissima (o una delle primissime) cosa da fare sarebbe, semplicemente, obbligare i club a ridurre le rose (spropositate), stabilire un tetto agli ingaggi (amen: non arriveranno più i 'parametri zero' bolliti ma assistiti da famelici procuratori), programmare (almeno programmare) il ritorno della Serie A a un format sostenibile? Semplicemente, perché al 'sistema' non conviene. Sono cose che Lega e Federazione potrebbero tranquillamente fare 'da sole', senza decreti-legge, senza assistenza dalla 'politica'. Proprio perciò non si sognano minimamente di metterle in agenda.
Sempre 'nel frattempo', c'era anche qualche partita da vedere. L'Italia, per esempio. Gli Azzurri, quando incontrano nazionali di secondo o terzo piano, sono obbligati a 'vincere e convincere' (altro luogo comune). Personalmente, non mi è dispiaciuto il gioco proposto contro gli azeri a Palermo. Poteva finire con una goleada, il giudizio sulla qualità della partita non sarebbe cambiato: piuttosto, noto che ormai regolarmente subiamo su palloni alti che piovono nell'area piccola. Buffon è un monumento del nostro calcio, nessuno discute la sua carriera: forse è ora che smetta di inseguire record e limiti la propria attività a campionato e coppe (finché alla Juve lo considereranno affidabile).
I tedeschi campioni del mondo hanno buscato e di brutto in Polonia, fatto storico perché non era mai accaduto. Anche per loro - come è successo in passato ad altre nazionali - la gestione del 'dopo' è complicata. Si intrecciano istanze di rinnovamento (per esempio: sostituire Lahm, ma anche Klose, non è cosa immediatamente semplice) e sicumera, distrazioni mediatiche, stanchezza da eccesso di vittorie nonché - per quelli del Bayern, almeno - un'attitudine agonistica ancora non ben allenata, a questa altezza della stagione. Il solo Lewandowski, tra i suoi pedatori, pareva assatanato. Aveva le sue belle motivazioni, giocando per la Polonia.
Infine, un momento esilarante si è vissuto a Tallin. Giostrava lì la poderosa Inghilterra, che in un'ora di gioco non era riuscita a cavare lo straccio di un gollettino dal proprio sterile ruminìo offensivo. L'Estonia, eroicamente, difendeva lo zero a zero. Il pubblico, a quel punto, forse per irridere gli avversari, si è fatto sentire. Ha reputato che, onde incitare i propri giocatori a stare sulle barricate e magari tentare qualche sortita extra muros, la cosa migliore fosse intonare la melodia di Hey Jude, epocale hit dei Beatles. Il canto non raggiunge nemmeno la fine del ritornello-vocalizzo, che Wayne Rooney, figlio di Liverpool, ha già messo sul piatto uno dei suoi dischi preferiti: un bel calcio franco da fuori area, che muore nell'angolino basso alla destra del portiere, il quale sta forse cercando di ricordare come iniziava la strofa successiva.
Mans