6 febbraio 2017

Dazi e misteri (e un po' di Napoli)


C'è qualcosa di più triste e ritrito, edito e riedito, noioso e inutile di una polemica arbitrale dopo un match tra Inter e Juventus? Probabilmente no, si va avanti così da dieci, venti, trent'anni, forse da sempre, anche quando la partita conta un emerito piffero o quasi, come ieri. Naturalmente a scatenarsi in recriminazioni (pre- e post-) sono i nerazzurri che, paventando i torti, regolarmente li attirano e li subiscono. Vanno allo Stadium già sapendo che ci saranno rigori non fischiati, espulsioni non decretate, falli di confusione e quant'altro, tutto sistematicamente a loro sfavore. Un dazio obbligatorio quando si visitano le terre di Nostra Signora. Ma, se vogliamo parlare di calcio, va detto che l'Inter è ancora l'Inter e non già l'Ambrosiana-Suning, cioè la corazzata epocale promessa dai proprietari disposti a investire nel club risorse pressoché illimitate. Va aggiunto che, nonostante una Juve sempre frenata dalle scarse e manifeste capacità di organizzare il gioco da parte del suo allenatore, l'Inter dalla Juve è ancora molto lontana, fosse solo per le qualità e l'esperienza dei giocatori. Con questi giocatori, la Juventus potrebbe tranquillamente vincere la Champions League, in un'annata che vede le solite quattro (le tre spagnole più il Bayern) non particolarmente scintillanti, in fase forse di riflusso, in attesa forse di aprire nuovi cicli, di nuovi giocatori, di nuovi assetti. Potrebbe tranquillamente farcela, ma Allegri è una variabile da non trascurare. Negativa, s'intende. Vedremo.

La deprimente domenica milanese era stata sontuosamente aperta dal Milan, arrivato all'ennesima sconfitta consecutiva, causata più che dalla forza dell'avversario (una Samp tutto sommato mesta e modesta) dalla propria impotenza, ben simboleggiata dalla costante presenza al centro dell'attacco di un colombiano svogliato, monopede, declinante in tutti i fondamentali, compresi quello atletico e quello meno misurabile che in una punta costituisce la sintesi di intelligenza e intuito e che è alto e tipico delle punte di valore. Se si pensa che il sostituto del colombiano è uno che ha perforato solo le già retrocesse, si capirà quanto arduo sia per questa squadra, orfana di Bonaventura e con un Suso vicino all'asfissia agonistica, produrre occasioni e formalizzarle sul tabellino. Con l'ulteriore zavorra di una non-società e di un non-mercato, nell'attesa di una svolta dai contorni per ora insondabili e inconoscibili. Una situazione pazzesca, che si commenta da sé e giustifica ogni tipo di dicerìa.

Brilla, a domeniche alterne, il solito Napoli di Sarri, unica compagnia di calcio gradevole (e spesso efficace) di scena oggi sui campi italiani. Cosa impedisce ai partenopei di competere con la Juve? Difficile da capire. L'impianto di gioco è superiore, la qualità dei singoli non di parecchio inferiore. Forse c'è una minore 'cattiveria', minore esperienza, minore capacità di concentrazione nei momenti topici, minore capacità di resistere alla pressione; minore abitudine a vincere. Non poco, si dirà. Certamente, al Napoli non manca Higuain, sostituito come meglio non si potrebbe dal sorprendente Mertens, giocatore forse sottovalutato o forse semplicemente maturato in età più tarda rispetto ai fenomeni come tali universalmente riconosciuti. Un centravanti vero, non il solito 'falso nueve', che scatta e riscatta dettando traiettorie e passaggi, spesso imprevedibile nei movimenti e nelle soluzioni che offre. Personalmente, non vedo l'ora di assistere alla sfida degli ottavi di coppa tra Napoli e Real. Promette spettacolo e (speriamo) sorprese.

Stancamente come il nostro, si trascinano anche gli altri campionati, soprattutto quello considerato più importante, e cioè e ovviamente la Premier League. Già vinta dal Chelsea, si direbbe. Una squadra morta e risorta dalle proprie ceneri più di una volta. Se c'è una sfida terribile per un allenatore, è arrivare sulla panchina precedentemente scaldata dallo sfasciacarrozze di Setubal, e sappiamo bene perché. Conte ha già messo a debita distanza i più celebrati santoni del calcio recente (manca solo Carletto) tutti convenuti nell'isola, e non essendo impegnato in Europa dovrebbe arrivare in porto ormai per semplice inerzia. Tristemente, invece, il magico Leicester di qualche mese fa è tornato a frequentare le zone che era solito frequentare fino alla stagione scorsa, cioè i bassifondi della classifica, là dove si lotta punto su punto per evitare la relegazione. E ci si domanda cosa sia più misterioso: questo potenzialmente tragico ridimensionamento o l'imprevedibile gloriosa cavalcata di un anno fa?

Mans