20 maggio 2013

Cala il sipario sulla Serie A: brevi annotazioni finali

Non poteva che finire tra le polemiche, il torneo più isterico e culturalmente arretrato d'Europa. Gli ultrà della Fiorentina che attendono a Campo di Marte il pullmann del Milan per sfogare la loro (sportivamente comprensibile) frustrazione sono l'ultima immagine dell'ormai ordinario e quotidiano squallore. Stasera, naturalmente, ci saranno milioni di persone aggrappate ai talk-show delle antenne locali - dove il 'sereno dibattito' è in realtà un poderoso schiamazzo di giornalisti militanti - a gustarsi le velenose code, il chiacchiericcio ex-post fatto di inesauste analisi alla moviola di azioni di gioco contestate. Naturalmente, con dichiarata parzialità, i commentatori ne trarranno conclusioni opposte.


Lasciamo da parte il contesto, e occupiamoci del testo. La classifica finale, le squadre e il gioco, i giocatori. Non c'è dubbio che la Juventus, grazie a una robustezza d'impianto e a un ritmo di gioco mediamente superiori, abbia dominato senza patemi la corsa al titolo (in media inglese avrebbe concluso a +4). Tuttavia, se si escludono Pirlo e Buffon nelle giornate (e serate) di vena, non ha pentavalide (e le due menzionate cominciano a palesare segni di usura agonistica): è la cifra tecnica complessiva a impedirle per ora il salto di qualità in Europa, dove trova XI capaci di muoversi a un ritmo anche superiore ma soprattutto sostenuto da pedatori di classe mediamente più alta. Conte sa benissimo che, con questa rosa, può conservare il primato in Italia per almeno due o tre anni ancora; ambisce però a competere su di un livello più alto, e ciò spiega le incertezze e le voci sulla sua permanenza a Torino. Resta un dato: la Juventus è - attualmente - l'unico club italiano attrezzato per essere ammesso all'élite continentale. A cominciare dallo stadio: non per caso, proprio allo Juventus Stadium è già programmata la finale di Europa League della prossima stagione.

A  notevole distanza dai bianconeri si è piazzato il Napoli (-2 in media inglese col vecchio sistema). Confermandosi, dunque, squadra di vertice. Entro un'organico non eccelso brillano due grandi campioni, che non di rado hanno fatto la differenza: Hamšík e soprattutto Cavani, certamente oggi da ritenere uno dei migliori centravanti del mondo. Squadra a trazione posteriore, il ciuccio si esalta in contropiede, essendo i due testé menzionati immarcabili negli spazi. Il solco nei confronti della Juve si è scavato in coincidenza di un calo di condizione dell'uruguagio, cui il resto della truppa non ha potuto (per limiti intrinseci) supplire.

Edinson Roberto Cavani Gómez,
capocannoniere e migior giocatore del campionato italiano
Non c'è dubbio che, se si bada alla qualità complessiva del calcio esibito, la Fiorentina avrebbe strameritato il terzo posto. Probabilmente l'infortunio di Jovetic le ha fatto perdere i punti decisivi; la bravura di Montella è giustamente sottolineata da tutti, soprattutto perché ha saputo dare un'impronta precisa e un'organizzazione efficace a un XI completamente rifatto. Può essere che, da Giuseppe Rossi, abbia davanti quel poco che le è mancato quest'anno. E quei dieci punti in più che l'anno prossimo potrebbero significare per la Viola una partecipazione protagonistica alla corsa per il titolo (e sempre che qualche pezzo da novanta non faccia le valige).

Il capitolo sul Milan è difficile da affrontare. Nello scorso autunno - in coincidenza con il disastroso avvio di stagione - intervenni più volte a sottolineare l'inadeguatezza di Allegri. Devo - in parte - ricredermi. Solo in parte: perché il 4-3-3 mediante il quale ha trovato la soluzione di quasi tutti i problemi è quanto di più basico si veda oggi tra i club italiani che vanno per la maggiore. La qualità del centrocampo - tolto Montolivo - è misera; il Faraone naturalmente discontinuo. L'arrivo di Balotelli ha dato soprattutto prospettive, a patto di migliorare il tasso tecnico del reparto centrale e individuare un sistema per farlo dialogare con El Shaarawy. Difficile, allo stato, capire quali saranno le mosse della società, compresa la questione della panchina.

Il fallimento di Zeman (ahimé) e il buon campionato (e una buona Europa League) di Vlado Petković alla sua prima esperienza italiana costituiscono - in attesa della finale di Coppa Italia - i soli elementi per valutare l'annata calcistica della capitale. Normale, per ora. Rispettivamente sesta e settima in campionato, Roma e Lazio si scanneranno domenica per la Coppa Italia, e una delle due arricchirà la bacheca e conserverà di questa stagione dolcissimi ricordi e sensazioni. Purtroppo, sarà molto probabilmente una giornata di macelleria anche sotto l'aspetto non propriamente sportivo. Prima di loro si è piazzata la miracolosa Udinese, grazie a un formidabile girone di ritorno e a una striscia finale di otto vittorie. La società meglio organizzata (considerando ambizioni e contesto ambientale) d'Italia si conferma tra le migliori e rimane in Europa. Difficile chiedere di più. Da notare come Guidolin confermi la propria attitudine - e qualcuno dovrebbe prima o poi illustrarne le ragioni, che probabilmente stanno nella peculiarità della preparazione atletica -: le sue squadre vivono momenti irresistibili (a inizio o a fine stagione: sino a qualche tempo fa lo scadimento occorreva in primavera), e momenti di fiacca totale.Sarebbe interessante, dopo tutti questi anni, vederlo sulla panca di una grande.

Infine, per ultima perché penultima nella parte sinistra della classifica, preceduta pure dal Catania e costretta ad affrontare la fase preliminare di Coppa Italia nelle calure agostane, la Benamata. Sedici vittorie, sei pareggi, sedici sconfitte (difficile immaginare un bilancio più bislacco). Girone di ritorno da incubo: 19 punti in 19 giornate, meglio (ma per poco) solo di Atalanta (18) e Palermo (17), alla pari con il Siena. Significa che, al netto del solo Milito (unico infortunio di lungo corso e davvero pesante), con la rosa attuale l'Inter potrebbe al massimo lottare per la salvezza? Ovviamente no. I ronzini non mancano, sia ben chiaro; ma la qualità di alcuni interpreti (Cassano e Palacio su tutti; Guarin a corrente alternata) può essere solo sognata dalle squadre di coda. Il difetto, ovviamente, è tutto nel manico. Nella (e devo anche qui ricredermi) evidente inadeguatezza della guida tecnica, nelle deficienze della conduzione societaria. Stramaccioni non è (non ancora; difficile dire se lo sarà) allenatore da Inter. Anzi, lo è: da Inter virtuale, gestita sul monitor, giocando a Football Manager. Difficile capire, al momento, quale sia l'opinione di Massimo Moratti.

I giocatori. Mi sbilancio e dico che c'è una generazione di pedatori italiani che ci porterà alla finale mondiale nel 2018, in Russia - d'altra parte, ciò sarebbe nella nostra tradizione: una finale ogni dodici anni a partire dal 1970. Attuali under 21 o under 23 che tra un lustro saranno sicuramente (o, perlomeno, molto probabilmente) al top della loro carriera: Balotelli (ça va sans dire), El Shaarawy, De Sciglio, Montolivo (Milan); Verratti (PSG, per ora); Marchisio (Juventus); Ogbonna (Torino); Cerci (Torino), Giuseppe Rossi (Fiorentina), Florenzi (Roma). Centrocampo e attacco promettono d'essere di livello assoluto; restano da scovare un centrale (se Bonucci non diventa davvero affidabile) e un difensore di fascia. Saltasse fuori un altro campione (un Totti, per dire: Insigne? difficile) in questo tempo che manca ...


A proposito di Totti: lui e Di Natale, i vecchietti della serie A, hanno dato spettacolo. A riprova di come il nostro football viva una (tutt'altro che entusiasmante) fase di transizione. Ne abbiamo già vissute, e siamo sempre riemersi. Speriamo.

Mans