5 maggio 2013

"Almost too perfect a metaphor for Italy itself"

"When I fell asleep in my hotel room after midnight, a platinum blonde woman and three ageing male pundits
on state TV were still debating the penalty’s validity" (Simon Kuper) [1]

Fateci caso. Nel calcio italiano manca sempre un rigore a qualcuno. A partita in corso giocatori e allenatori accerchiano e inseguono gli arbitri gridando al torto subito, alla fine si scatenano dirigenti, giornalisti e opinionisti. Le truppe cammellate degli ultras sono sempre in servizio permanente effettivo, e i talk show 24h alimentano la rabbia da bar e da social network.

26 Gennaio 2013, Juventus Stadium, Torino
La composta reazione di Antonio Conte al consueto torto arbitrale
È, il nostro, un calcio di rigore: non dei bilanci, ma di ipnosi collettiva. Vive di riflesso pavloviano: la mia squadra non ha vinto, o ha perso, per colpa dell'arbitro. Non esiste altra analisi possibile: tutte le spiegazioni alternative sono comunque subordinate. La frase principale è sempre la stessa: "diamo fastidio a qualcuno". Perfino chi ha costruito una squadra di superiore qualità tecnica e di maturo impianto tattico come la Juventus non si sottrae al rito: l'immagine dell'imbufalito Conte che punta l'indice sull'arbitro per il solito torto subito è l'emblema del (de)grado cui si è attualmente ridotta la nostra cultura calcistica.

Se non fossimo, per lo più, adusi al provincialismo e al tafazzismo, dovremmo fare lo sforzo di alzare lo sguardo, osservare i giardini degli altri, e considerare quello di casa con sguardo non condizionato. Lo so, è un esercizio difficile, perché mette in gioco le nostre pigre abitudini e sollecita a impegni nuovi, faticosi, che le nostre rendite di posizione, per quanto sempre meno remunerative e sempre più venefiche (per il bene comune, cioè per il nostro avvenire comune), ci inducono a rimandare e a tralasciare come se fossero medicine omeopatiche, utili sì ma di effetto non immediato. Così facendo, però, finiamo con l'accettare con una scrollata di spalle autoindulgente i pregiudizi e gli stereotipi con i quali gli stranieri ci descrivono per il loro tornaconto (economico e politico).

Anche gli osservatori che ci amano non sono teneri, e dicono cose fondate, che dovrebbero essere di stimolo a migliorarci. L'esempio più recente della nostra sordità culturale è stata l'intervista ad Andrea Agnelli raccolta da Simon Kuper - uno dei maggiori intellettuali calcistici viventi (autore di analisi magistrali come Football Against the Enemy, Ajax, The Dutch, the War, per non dire di Soccernomics) - e apparsa sul "Financial Times", dunque una sede per nulla neutrale, il 26 aprile 2013: My Juventus. Has Juve – and the whole Italian game – fallen victim to the nation’s problems itself? Andrea Agnelli, the latest scion of his family to run the legendary football club, offers an answer [leggi].

Il giovane Andrea Agnelli ascolta attento Luciano Moggi e Antonio Giraudo
La stampa italiana ne ha immediatamente rilanciato in lingua italiana alcuni passaggi, ma selettivamente: lasciando indietro le parti più scomode e indigeste, amplificando invece le affermazioni adeguate al nostro discorso pubblico. Basti qualche esempio: "La serie A non è più un punto di arrivo". Il presidente della Juventus punta il dito contro un sistema calcio provinciale e poco competitivo all'estero ("Corriere della sera"); "I nostri modelli sono i club inglesi, tedeschi e spagnoli, dobbiamo prendere il meglio da loro. Ma il calcio italiano, come il paese, ha bisogno di riforme strutturali". E torna a parlare di Calciopoli: "Da lì siamo ripartiti per tornare grandi" ("La Repubblica"); “Questa Juve è la mia creatura. Più che una meta per top player siamo diventati un campionato di transito" ("La Stampa"); "Il nostro movimento ha bisogno di interventi strutturali: la Serie A non è il miglior prodotto d'Europa, siamo un campionato di passaggio. Servono stadi, un Ministero dello Sport e rastrellare più risorse all'estero". E sulla squadra di Conte: "Ha un grande potenziale" ("Gazzetta dello sport"); "La mia Juve preferita? Quella del '96": "Quella squadra vinse la Champions perché gli avversari sentivano di aver perso prima di entrare in campo. Il calcio italiano deve cambiare se vuole tornare appetibile" ("Corriere dello sport"); "Juve, la donna che tutti vorrebbero": "Moggi? Anche gli altri chiamavano i designatori" ("Tuttosport"); "Moggi? Anche gli altri chiamavano gli arbitri". Il presidente: "Siamo la squadra più desiderata" ("TGCOM 24").

Nessuno si è chiesto perché Kuper avesse deciso di andare di persona a Torino, a visitare non solo la città ma le strutture dello Juventus FC, fino al nuovo stadio, in occasione della partita contro il Milan del 21 aprile scorso. Non si tratta della consueta intervista telefonica. Nel caso di Kuper è giornalismo d'antan, fatto in prima persona, de visu, sui luoghi, incontrando le persone. È il mitizzato giornalismo di inchiesta che le testate non praticano più, delegandolo ai giovani free-lance o, come da noi, alle Gabanelli.

Perché dunque Kuper si è scomodato di persona? Per verificare se la sua idea di fondo trovasse corrispondenza nella realtà. Quale idea? Che la decadenza italiana stia scavando anche nel calcio alcune nicchie di qualità, di brand, del made in Italy. Qualcosa che rimane comunque competitivo nel mercato del consumo globale, come Gucci o la Ferrari. E questo qualcosa appare adesso la Juventus. Non più - si badi - il calcio italiano, la Serie A, come era invece solo venti o trent'anni fa, ma solo la Juventus.

Ovviamente si tratta del punto di vista di Kuper. Ma è un punto di vista influente, perché espresso sul "Financial Times", e dunque fatto proprio dall'estabishment economico e politico internazionale. L'articolazione del discorso merita di essere analizzata, perché è quella con cui il calcio italiano - e dunque anche il paese - è ormai rappresentato dall'estero. Rischia cioè di fondare una "narrazione" prevalente, un senso comune, con i quali - ci piaccia o meno - dovremo confrontarci fino a quando non saremo capaci di cambiare e, speriamo, di migliorarci.

Calcio, cappuccino (e Gazzetta)
Simon Kuper ricorda come, nei primi anni 1990s, poco più che ventenne, veniva nel nostro paese per godere del calcio allora d'élite: "The beautiful Italian game of old is disappearing. I wrote in my first book, Football Against the Enemy, 20 years ago: 'When the football fan dies, he goes to Italy, where he finds the best players in the world, matches shown in full on public TV, and numerous daily sports newspapers. Nice weather, too'. For me as for many fans then, Italian football was hopelessly mixed up with memories of frothy cappuccinos, copies of the pink Gazzetta dello Sport studied at café tables, and sun-kissed stadiums as safe as family restaurants at a time when hooligans ravaged English football". (Mi sia consentita - in un inciso - una testimonianza personale: nel 1994 passai l'autunno a Londra, e la televisione inglese [ITV se non ricordo male] trasmetteva ogni domenica in diretta una partita di cartello della Serie A, con tanto di inviati e pre e postpartita. Ebbi modo così di gustarmi, tra le altre, anche un'appassinante Parma-Foggia (2:0, con gol di Dino Baggio e Fernando Couto negli ultimi minuti, il 20 novembre 1994, arbitro Graziano Cesari) della quale venne eletto "man of the match" nientedimeno che Pasquale Padalino. Facevamo tendenza così).

Alla nostalgia del ricordo Kuper oppone la dura realtà del presente: "Italian football isn’t beautiful any more. Italian football – corrupt, beset by violent thugs, economic decline, parochialism and lack of government – offers almost too perfect a metaphor for Italy itself. Like Ferrari (also in the Agnelli stable), or Gucci, or a brilliant corner café, Juventus is aiming for something very difficult: to be a pocket of excellence in a decaying country". Ad Agnelli che si chiede: “Is Italian football interesting to watch today?”, e si risponde: “Half the stadiums are empty, there is violence. I mean, it’s not the best product", Kuper replica "I point out that most of the problems he complains about are problems of Italy – of the country whose economy grew more slowly than that of any country except Haiti and Zimbabwe in the decade to 2010", e osserva come "Agnelli’s father Umberto once said, 'The team has followed the evolution of the nation'. Today, is the nation dragging down the team? “Correct,” Agnelli replies".

Inevitabilmente il discorso di Kuper cade sulla storia recente: "As with many things in Italy, Silvio Berlusconi must take some blame. When he was prime minister, Italy became a country where Berlusconi voters and Berlusconi haters watched Berlusconi’s team Milan thump teams subsidised by Berlusconi’s government on Berlusconi’s pay channels, in a league run by Berlusconi’s right-hand man Adriano Galliani, and then watched the highlights on Berlusconi’s free channel. The only thing Berlusconi didn’t do was carry out his government’s laws for making stadiums safer".

In sostanza, "Juventus has fallen victim to the problems of Italy itself". Kuper ricorda come Calciopoli "was the nadir of Juventus’s history. One image sums up the despair: that summer of 2006, the club executive Gianluca Pessotto sat in an upstairs window clasping a rosary, and let himself fall backwards on to the asphalt below. Thankfully he survived", e come "Juve’s current coach, Antonio Conte, was banned from the dugout for four months last year for having failed to report matchfixing he witnessed while coach of little Siena. Last summer Juve wooed Arsenal’s striker Robin van Persie, but after someone pointed out the sheer extent of Calcioscommesse to his agent, Van Persie joined Manchester United instead". La chiosa è cruda: "This is the context in which Agnelli leads Juve. This is the Italian morass, in which Juventus is trying to thrive".

Juventus ultras proudly display their language skills
Kuper ha apprezzato molto il nuovo stadio della Juventus: "It’s a very 21st-century stadium: there are even two crèches (“baby parks”, in Italian) for spectators’ kids. The 41,000 spectators sit close to the pitch, English-style. Two hours before kick-off I stood by the corner flag and saw how a player here could look straight into individual fans’ faces just yards away, separated from him only by Plexiglas, watching them scrutinise him. In Juve’s changing room I found the hairdryers (essentials of life for Italian footballers) plugged in and ready to go. There were hot and cold baths, four treatment tables, and a dinner table set with a fruit basket where the players would eat straight after the game. This was modernity – a rare commodity in Italian football. In some Italian stadiums you worry about firecrackers falling on your head, but the stands at Juventus felt safe. As Agnelli says, this is the sort of clean environment that encourages people to behave".

Peccato però che "some Juve fans racially abused Milan’s black midfielder Kevin-Prince Boateng. And the game itself plunged you firmly back into today’s impoverished Italy. A decade ago, Juve v Milan was possibly the best game in global football; no longer. Andrea Pirlo, Juve’s last great outfield player, turns 34 on May 19, and their great keeper Gianluigi Buffon is 35. Juve’s passing was awkward and slow. Watching poor Mirko Vucinic labour up front for Juve, you longed for the days when Platini and Zbigniew Boniek graced that space. No wonder almost all the journalists in the press stand were Italians: Juve-Milan has become a provincial affair. Watching this, you understood why Juve recently got thumped in the Champions League by Bayern Munich".

La conclusione di Kuper è preveggente: "If big football clubs really were the globalised behemoths without local souls that their critics see, life would be easy for Juventus. Then the club could forget Italy and play the international market. But even giant football clubs are irredeemably local. Most of their spectators, sponsors, rivals, and a great chunk of their paying TV viewers live inside their own borders. Juventus won’t sink with Italy. But with the country in its current state, not even the Agnelli family club can thrive".

Nessun cenno alle altre squadre italiane. Semplicemente scomparse dai radar. A vagheggiare un top player salvifico. Tra un torto arbitrale e l'altro.

Azor
[1] Peronaggi e interpreti: RAI (la "State TV"), Domenica sportiva (la trasmissione "after midnight"), Paola Ferrari (la "platinum blonde woman"), Marco Civoli, Fulvio Collovati, Gene Gnocchi, Emiliano Mondonico o Ivan Zazzaroni (a scelta, i "three ageing male pundits"). Il rigore in questione è quello concesso dal signor Luca Banti in Juventus-Milan del 21 aprile 2013.