Fettine di Coppa: quarti di finale (andata)
Hart si butta dalla parte sbagliata e para il rigore perché ha abboccato alla finta |
Mercoledì sera, Parc des Princes. David Luiz ci impiega meno di un minuto a riscuotere un cartellino. Poi sgraffigna un penalty. Poi mostra a qualche miliardo di telespettatori come non si deve muovere un difensore sul contropiede avversario. PSG - City è tutta nelle nefandezze dispensate a piene mani da campioni e ronzini, e nella categoria dei ronzini il brasiliano svetta da autentico, bizzarro fuoriclasse. Ibra alterna errori banali a colpi geniali, Aguero è in serata astratta, Di Maria gira a vuoto, Hart resta il peggior portiere del mondo anche se para alla grande il suddetto rigore calciato da Ibra. Thiago Motta - uno che il pubblico contesta spesso e volentieri perché vecchio e lento, ancorché di fosforo assai guarnito - estrae dal cilindro una verticalizzazione del tutto simile a quella con cui un secolo fa Rui Costa spedì Sheva in porta a San Siro contro il Real. Ibra raccoglie e smaltisce in curva: troppo facile, forse. Alla fine della roulette russa, il tabellone si spegne registrando un sacrosanto pareggio. Può essere che i Citizens non siano entusiasti dell'arrivo di Guardiola, come non lo erano tre anni fa quelli del Bayern: e dunque, per dispetto o per antipatia, magari alzeranno la coppa, come fecero i bavaresi innamorati di Heynckes.
Mercoledì sera, Volkswagen Arena. Competizione strana. Qui il Madrid - reduce dalla fastosa presa di Camp Nou - ha rimediato una figuraccia impronosticabile. Ora i media drogheranno la squadra, c'è la possibilità di un'altra storica remuntada: per loro, quella tedesca è terra di frequenti disfatte poi rimediate (di regola, ma con qualche eccezione) al Bernabéu. Dove però gli aficionados si recheranno muniti di moltissimi fazzoletti bianchi. Non si sa mai. Povero Zizou.
"Sono le regole di Camp Nou, Fernando. Gli spogliatoi sono da quella parte" |
Martedì sera, Camp Nou. Pareva segnata, l'ha notato anche Righetto Sacchi. Il disegno della partita messo giù dal Cholo aveva preso vita in campo, e subito l'inatteso figliol prodigo (ed ex ragazzo-prodigio) s'era fiondato tra i metri (troppi) che distanziavano Mascherano da Piquet, esplodendo un destro in corsa che bucava le gambe di Ter Stegen. Il meno strombazzato dei protagonisti era il simbolo quasi scomparso di un'epopea ancora recente dei Colchoneros; dopo il gol un eccesso di adrenalina lo portava a compiere un paio di sciocchezze che il regolamento di Camp Nou non consentiva all'arbitro di ignorare: giallo più giallo uguale Atletico in dieci per un'ora, puro ossigeno per un Barça molle e impreciso, statico e prevedibile, in una delle sue peggiori edizioni degli ultimi tempi. I vecchi filibustieri hanno retto per un po', assemblando una collezione di gialli da record; hanno ancora sprecato un paio di buone situazioni, ma poi hanno preso atto d'essere destinati all'eroica fine di un manipolo accerchiato e sfibrato, arretrando sempre più vicino all'area, poi inevitabilmente dentro il perimetro dell'area di rigore. E nei sedici metri riceveva palloni sui piedi e da fermo Neymar, funambolico e impreciso, mentre Suarez preparava i suoi agguati; sarà lui a colpire. Messi girava al largo, vuoi per trovare spazi e ispirazione, vuoi per tenere al coperto caviglie e garretti. Ha anche dispensato errori di tocco inusuali: serata di luna storta per lui, forse condizionata da preoccupati pensieri, cosa che ormai non di rado gli capita. Finisce dunque con l'inerziale benché misurata rimonta blaugrana, ma tra otto giorni al Calderon tirerà una brutta aria. La sfida è tutt'altro che chiusa.
Martedì sera, Allianz Arena. La serata dei rimpianti. Quelli juventini. Un solo gol, di un ex-juventino. Nient'altro. E nulla che giri bene al Benfica, come da ormai lontana tradizione. Il Pep porterà i suoi in semifinale - è davvero probabile. Mai come quest'anno, tuttavia, c'erano le condizioni perché la coppa tornasse in Italia. Le grandissime d'Europa vivono una stagione - se non propriamente grigia -abbastanza declinante, un varco si era aperto e alla Juve bastava tenere a bada per un paio di minuti ancora il sordido richiamo della sconfitta. E risvegliarsi temuta e potenziale padrona.