Partiamo con un quiz facile, al quale però si devono sottoporre solo coloro che s'affacciano alla nuova settimana ignari di quel che è successo nel week-end sui campi di pallone del mondo, vicini o lontani. Sabato il Real ha demolito il Coliseum Alfonso Pérez di Getafe: cinque a uno. Cristiano, un solo gol. Quale dei cinque? E a quale minuto di gioco?
D'accordo, era proprio facile facile, non vale la pena nemmeno di fornire la risposta, in calce, scritta con scrittura capovolta. Ma era facile prevedere che i Taronges banchettassero con paella valenciana sul prato sempre più ospitale di Camp Nou, ieri sera? No, non era facile. Del resto, ormai l'area di rigore del Barça è puro open space. Che la squadra sia stanca, stanchissima, statica e satura si è capito nell'azione del secondo gol, stampato dal Valencia giusto allo scadere del primo tempo, e dunque nel momento peggiore per chi lo incassa: lunghissima melina sulla trequarti destra, vicino alla fascia, metà campo difensiva catalana. Niente pressing, o pressing lento, annebbiato. In realtà, quelli del Barça stanno a guardare, indecisi e confusi. Poi, cambio di gioco improvviso - ma prevedibile. E, a chiudere, un affondo nel burro, perfezionato con un certo aplomb da Santiago Mina Lorenzo, scuola Celta, nativo di Vigo, a noi sempre cara.
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Titolisti compiaciuti |
Dunque, mancano cinque partite, le tre grandi di Spagna sono tutte insieme o quasi. Il calendario non sembra favorire alcuna delle tre (nessuno scontro diretto in cartellone, purtroppo), ma è un dettaglio che vale quel che vale. Il Barça non ha più l'Europa, ma è parecchio male in arnese. E' vero che - discorso valido anche per il Real, sebbene in minor misura - basta una giornata di luna buona per i tre davanti, e tutto potrebbe tornare a fluire e fiorire con naturalezza (gioco e risultato). Ma giornate così sono diventate rare. E la condizione atletica generale, così come quella mentale, pare al minimo. E si gioca sempre in undici. Quelli di Rakitic e di Piqué, dopo i gol subiti, erano sguardi di gente che ha capito l'antifona. Resta difficile azzardare pronostici. Seppellivamo, insieme a quello francese, la salma del torneo a febbraio. Non è mai stato così vivo. E ferocemente conteso.
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Questa è simulazione, sostiene Jonathan Moss, il referee. Giallo e poi rosso per Jamie Vardy |
Il Leicester (squadra che gode di un sostegno ormai universale: è al momento e certamente l'undici più amato nel mondo; induce infinite analisi, che accontentano sia gli appassionati delle favole e della retorica sia quelli cui piace veder ridimensionata ogni impresa) ha mancato il primo dei suoi due
match-ball: pari interno con gli Hammers. Strappato dalle Foxes all'ultimo respiro. Un rosso per Vardy, un rosso sul quale tutti discutono (a noi troppo limpido non è sembrato; e meno limpido ancora è parso il rigore assegnato al Leicester nel recupero: chiara compensazione). Lassù s'annunciano partite da infarto, se stasera il Tottenham riesce ad arraffare i tre punti sul difficile campo di Stoke, accorciando le distanze.
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"Prova a stopparla decentemente, se sei capace" (dice il doriano) |
A casa nostra, tutto è finito o quasi. La corsa per il titolo, senz'altro. Sarebbe consigliabile, almeno per i prossimi cinque-sei anni, istituzionalizzare un
handicap di partenza per la Juventus. Non meno di quindici punti. Cosa si può aggiungere? Solo il rimpianto per come Allegri ha gestito la mezzora finale dell'Allianz Arena. In questa stagione quasi perfetta, quell'eliminazione peserà come un macigno sulla sua coscienza - relativamente, si direbbe; sembra uno sempre più sicuro di sé e delle proprie capacità. Nel frattempo, alle spalle di Nostra Signora, il Napoli sbraca e lo spogliatoio romanista esplode. L'Inter - che un po' sale e un po' scende - stavolta sale. Il Milan spezza le reni alla Samp: terza sfida in pochi mesi, esito sempre uguale. Brocchi in panchina, all'esordio. A fine partita, piange di commozione, ed esalta la virilità della truppa. Forse sperava di perdere e di essere immediatamente accantonato, e invece gli toccherà restare per un po' in quella gabbia di matti. Balotelli ha giocato discretamente il primo tempo (è una notizia, sì), poi è sparito. Non a caso, ma solo a quel punto, ha fatto capolino Bacca, il risolutore. L'ottometrista, anzi: nello scorcio dell'area, se vede la porta, castiga. Fuori dal suo
habitat, è un catalogo di mediocrità pedatorie assortite. Di mediocrità pedatoria assoluta è invece campione Bertolacci. Dopo due minuti spedisce fuori dal campo, con un tocco di mestissima quanto raffinata broccaggine, un pallone ordinario, banalmente recapitabile a un qualsiasi compagno posizionato pochissimi metri più in là. In quel preciso istante, parecchi milanisti, già provati dall'orrenda settimana appena trascorsa, hanno reagito d'istinto. Imprecando, spegnendo la tv, e ripromettendosi di non riaccenderla più fino a quando non saranno arrivati i cinesi con valige stracolme di bigliettoni da investire e, nel doppiofondo delle medesime, qualche sospirato top-player. Sapendo anche che potrebbero non arrivare mai, o non così presto: né i cinesi, né i top-player. Si sono svegliati stamani sentendo dire che Mario avrebbe detto che lui vuole restare al Milan. Certo, dev'essersi finalmente divertito nei giorni scorsi all'asilo di Milanello, assistendo alle
performance di Coach John Maori e provando poi a centrare con qualche pallonata il drone messo in orbita da Brocchi. Non c'è riuscito, deve ancora aggiustare la mira. I milanisti però non ne vogliono più sapere di lui e se la prendono con Galliani. Tuttavia, è chiaro come l'unico autorizzato a decidere cosa farà e dove andrà Balotelli non sia Galliani e non sia nemmeno Berlusconi. L'unico autorizzato è Raiola. E difficilmente vorrà accasarlo all'Entella o all'Hong Kong Express.
Alla prossima.