22 giugno 2014

Forever young

Cartões Postais do Brasil 2014

Non devi credergli troppo. Cede in qualche contrasto, la sua rapidità pare dimezzata, e a un certo punto penserai anche che potrebbe essere stanco. Non esserne mai troppo sicuro. Sarà vero che tutto questo gli pesa; talvolta avrà la sensazione di essere incatenato al terreno, costretto da una specie di morsa, la tensione che gli chiude lo stomaco, la gente che giudica e guarda, che guarda e che giudica, e capisci che tutti hanno in mente il paragone che non perdona. Ma poi, si sa, arriverà sempre il momento in cui torna ad essere solo lui, lui solo con il suo pallone, e lo colpirà come in innumerevoli circostanze ha saputo fare. Così, prima ancora che il pallone compia il suo viaggio, tutti avranno capito qual è il suo destino. Non devi mai essere troppo sicuro o insicuro di lui.

Ammettiamolo, si sperava che i persiani ce la facessero, che riuscissero a reggere l'assedio, che uscissero vivi dalle loro Termopili. Abbiamo ammirato il coraggio del portiere, vero gigante dell'area di rigore, le sue uscite coi pugni, la sua capacità di bloccare palloni sporchi e difficili. Ci siamo commossi per la forza, il tempismo, la dura lealtà di Javad Nekouman (foto), trentatré anni, centotrentotto presenze nella sua nazionale, abbiamo compulsato gli almanacchi scoprendo che ha giocato qualche anno in Europa, sì, ma solo nell'Osasuna. Poi tutto è finito com'era scontato e, come a volte accade, è accaduto oltre il novantesimo. L'Albiceleste ha molto talento, e in parecchi piedi distribuito. Troppo talento, anzi, e troppi talenti, tutti insieme. Nessuno rinuncia a inseguire gloria personale. Improvvisano. Steccano. Sbandano. Sbracano? No, perché Messi prima o poi alza il suo canto.


Improvvisamente, ho idee chiare sulla Nationalmannschaft. Come l'Albiceleste trabocca di talentuosi giocatori offensivi. La continuità di gestione tecnica, abbinata alla solidità d'intesa garantita dal blocco bavarese, ne dovrebbe garantire l'efficienza. Per Özil (classe 1988), Müller (1989), Götze (1992), Kroos (1990), Hummels (1988), Khedira (1987), Neuer (1986) e i più esperti Lahm (1983), Mertesaker (1984), Schweinsteiger (1984) - per non dire dello stagionatissimo e ormai leggendario Miro Klose (1978) -, sarebbe anche giunta l'ora di salire in tribuna d'onore, alla fine dell'ultima partita di un torneo, per ritirare la coppa. Bene. Dubito possa accadere. Sono forti ma non abbastanza. Sono tedeschi ma non abbastanza, e non solo per via delle intervenute mescolanze. Soprattutto: nessuno di questi giocatori è autentico leader. Nessuno è davvero carismatico. Non si vede, tra loro, qualcuno con la personalità, il carisma, la capacità di leadership in campo che era di Seeler e Overath, Beckenbauer e Breitner, Matthäus e Klinsmann. Resteranno per sempre giovani, e così poco tedeschi. Ma senza coppe.

Mans

21 giugno 2014

La lezione di Jorge Luis da San Gil

Dopo tanti complimenti siamo alle solite. Commissario Tecnico in confusione, cambi emotivi, giocatori stanchi dopo venti minuti, riserve che entrano e corrono meno di quelli che avevano già giocato un'ora, Thiago Motta che gioca alla velocità di una Lambretta nel circuito di Monza, Balotelli che sbaglia un gol come mai gli era capitato in carriera, Buffon che esce a farfalle sul primo cross degli avversari e Chiellini che fa il Chiellini. La seconda partita del Mondiale per l'Italia del calcio è da sempre un supplizio. Va dunque vissuta stoicamente e senza drammi. Certo, abbiamo giocato male, ma non malissimo. È stata una brutta partita, ma non inguardabile. La Costa Rica non ha giocato così bene come ho letto su molti giornali nazionali stamane e come era parso anche a me in diretta, ma ha fatto alla perfezione quello che aveva preparato.

Ho voluto rivedere la partita a freddo per non partecipare al coro di stroncature piovuto sul Cesarone e sui ragazzi dopo la brutta sconfitta con l'undici centro-americano. L'impressione che ne ho tratta è duplice: è vero, abbiamo interpretato male la gara sin dall'inizio ed è forse stato quello l'errore che ci ha puniti, ma, sebbene i nostri avversari abbiano pienamente meritato di vincere, la partita è stata decisa fondamentalmente da due episodi: l'errore di Balotelli che, lanciato da Pirlo, ha messo fuori solo davanti al portiere e dopo un controllo sbagliato, e quello di Chiellini sul quale Ruiz ha portato in vantaggio i suoi.

Jorge Luis Pinto, Commissario Tecnico del Costa Rica
Siamo partiti lenti, pensando forse di far prevalere la nostra superiorità di palleggio a centrocampo e di far correre a vuoto i nostri avversari i quali (ed è qui che mi hanno sorpreso) non si sono mai scomposti, non hanno mai perso le distanze fra i reparti e hanno tenuto per novantaquattro minuti la loro difesa a non più di venticinque metri dalla linea di centrocampo. Credo che più che dare addosso a Prandelli e alla squadra si debba analizzare questo dato, davvero nuovo e sorprendente. Una squadra formata per 7 undicesimi da gente che conoscono solo Eduardo Macia e Pietro Leonardi e allenata dal colombiano sessantunenne Jorge Luis Pinto, una carriera iniziata trent'anni fa e spesa interamente nel suo continente, costellata da pochi successi e molte delusioni. Ma è questo il dato che rafforza il legame affettivo fra il calcio e chi lo ama. Jorge Luis Pinto ha studiato; si è rimboccato le maniche e guardato ore, giorni, settimane e mesi di partite dei maggiori campionati europei. Ha cercato di carpire i segreti della superiorità tattica dei colleghi italiani, spagnoli, tedeschi e inglesi e ha plasmato un gruppo secondo un mix perfetto di cuore, gambe e cervello. Ieri i centro-americani hanno mostrato come si possa vincere contro un avversario più forte applicandosi dal primo all'ultimo secondo della partita senza mai disunirsi e farsi prendere dalla voglia di strafare, giocando da squadra vera dove il singolo conta in quanto parte del gruppo.

Noi siamo europei ed è questo che ci condannati. Siamo entrati in campo convinti di poterli gestire e invece loro hanno gestito noi. Credevamo di poter far prevalere il nostro centrocampo di campioni e invece a turno loro ci hanno messo sempre in inferiorità numerica proprio in quella zona del rettangolo di gioco. Quando abbiamo provato ad allargare il gioco e entrare per vie esterne loro si sono sempre spostati in blocco a fermare il nostro incursore di turno. Candreva e Darmian non sono diventati di colpo due ordinari pedatori, semplicemente erano sempre uno contro due, talvolta contro tre. Molti si sono sorpresi di quanto hanno corso i Costaricensi (pare si debba dire così); ma nemmeno per sogno. Hanno corso la metà di noi perché erano compatti e si muovevano come gli alieni di Space Invaders. Facevano movimenti di quindici metri, ma mai da soli; noi dovevamo coprire il doppio della distanza e sempre col singolo.

20 giugno 2014, Arena Pernambuco, Recife
Ruiz batte Buffon e porta in vantaggio la Costa Rica
Certo se Balotelli avesse sfruttato il lancio magistrale di Pirlo forse oggi staremmo parlando di un'altra partita. Loro avrebbero dovuto attaccare, si sarebbero allungati di più, avrebbero smarrito sicurezza, avrebbero forse perso distanza fra i reparti ecc. Certo se Chiellini fosse davvero un calciatore probabilmente Ruiz non avrebbe comodamente colpito di testa a un metro e mezzo da Buffon. Ma queste sono solo congetture. La realtà è che abbiamo, come al solito, steccato la seconda. Da un certo punto di vista è un bene. Ripetiamo il cliché che da decenni ci troviamo a recitare negli appuntamenti che contano. Vedremo se l'epilogo sarà trionfale o catastrofico.

Credo che Cesare nostro abbia commesso due errori nella partita di ieri: perché far giocare Thiago Motta? E perché non prendere in considerazione il capocannoniere della serie A? Nel primo caso forse voleva mettere centimetri nella convinzione che avremmo avuto difficoltà a penetrare la difesa costaricense con la manovra. O forse voleva  un palleggiatore in più a centrocampo per far correre gli avversari, ma la lentezza del giocatore del PSG è stata esasperante. Possibile che in allenamento non l'avesse manifestata? Nel caso di Immobile davvero non so darmi una spiegazione o forse si. Prandelli è il miglior allenatore possibile per la Nazionale e al netto di circostanze sfortunate credo che possa ottenere il massimo risultato dai giocatori che ha a disposizione. Ma sin da quando allenava la Fiorentina, con risultati eccellenti come tutti sanno, ha sempre mostrato un difetto di coraggio. Gli manca lo sprint dell'ultimo chilometro per tagliare il traguardo per primo. Questo campionato del Mondo è un'occasione d'oro per fare il salto di qualità. Io credo che possa farcela e con lui che possa farcela l'Italia, ma deve osare un po' di più.

Nel frattempo cogliamo l'occasione della sconfitta di ieri per riflettere sulla nostra ormai storica incapacità di saper perdere. In altre parole, piuttosto che attaccare chi ha perso, proviamo a goderci la lezione tattica di chi ha vinto. Calcisticamente vale molto di più.

Cibali

La nouvelle vague

Con le 11 reti di ieri questa incredibile edizione dei Mondiali ha raggiunto i 77 gol segnati in 26 partite: una media di 2,96 reti a match. Diciamo 2:1 come risultato statistico medio, e il più ricorrente finora (in 9 partite su 26).

Era dal 1970 che non si toccavano tali vertici: allora 95 reti in 32 partite, per una media di 2,97. E forse non è un caso che, a memoria dei più anziani, quella edizione sia la più accostata per bellezza e spettacolarità - insieme con quella del 1974 (che ebbe una media di 2,55 gol a match) - al Mondiale che abbiamo la fortuna di poter seguire in questi giorni.

18 giugno 2014, Estadio Beira-Rio, Porto Alegre
La bellissima prodezza di Tim Cahill contro l'Olanda
A parte le edizioni d'anteguerra e le prime tre del dopoguerra - tutte attestate su una media dai 3,60 (1958) ai 5,38 (1954) gol a partita -, solo nel 1970 e quest'anno si sono segnati più di 2,9 gol a partita. I campionati più poveri di segnature sono stati Italia 90 (2,21: la media più bassa di tutti i tempi), Sudafrica 2010 (2,27) e Germania 2006 (2,3).

Come tutti sappiamo, una partita con tanti gol segnati non è necessariamente una bella partita. Non vale la proprietà transitiva, cioè. Il numero dei gol è infatti più il risultato dell'equilibrio in campo che dello spettacolo o della bravura dei giocatori. E ben nota è l'affermazione, in filo di paradosso, di Alfredo Foni, poi fatta propria da Gianni Brera, che lo 0:0 sarebbe il risultato perfetto.

Ma, ammesso che la media attuale perduri nelle prossime 38 partite, questo avvio prolifico di torneo è comunque la conferma di quello che negli anni recenti si è cominciato ad avvertite anche nelle altre competizioni internazionali e nazionali. Vale a dire un mutamento culturale che torna a prediligere - dopo la dark age degli anni 1990s e 2000s - un'idea di gioco caratterizzata dalla ricerca di un gol in più rispetto a quelli segnati dall'avversario, e di cui sono espliciti fautori Bielsa, Guardiola e Benitez, per citare i più convinti esponenti di questa vague [vedi le riflessioni di Jonathan Wilson già nel novembre del 2012].

"Primo darle", cioè, e non più "primo non prenderle". Una cultura che non appartiene al calcio italiano, come conferma anche questo mondiale. Nonostante il passing game predicato da Prandelli gli Azzurri hanno disputato partite con 2 soli gol di media. Il gioco all'italiana è un'attitudine antropologica difficile da trasformare, e riemerge proprio nelle occasioni importanti. E d'altra parte, dobbiamo essere orgogliosi della nostra tradizione visti i risultati assoluti che ha conseguito da Pozzo e Rocco a Lippi e Ancelotti.

Poi è ovvio che, come ricorda Mario Sconcerti d'intesa con Monsieur Jacques de La Palice, "il gol resta una prodezza o un errore". Ieri, per esempio, gli errori di Balotelli e Chiellini o le prodezze di Benzema o Xhaka. Ma è proprio questo il fascino del gioco che amiamo, perché insegue la perfezione nell'impossibilità di conseguirla.

Azor