Era dal 1970 che non si toccavano tali vertici: allora 95 reti in 32 partite, per una media di 2,97. E forse non è un caso che, a memoria dei più anziani, quella edizione sia la più accostata per bellezza e spettacolarità - insieme con quella del 1974 (che ebbe una media di 2,55 gol a match) - al Mondiale che abbiamo la fortuna di poter seguire in questi giorni.
18 giugno 2014, Estadio Beira-Rio, Porto Alegre La bellissima prodezza di Tim Cahill contro l'Olanda |
Come tutti sappiamo, una partita con tanti gol segnati non è necessariamente una bella partita. Non vale la proprietà transitiva, cioè. Il numero dei gol è infatti più il risultato dell'equilibrio in campo che dello spettacolo o della bravura dei giocatori. E ben nota è l'affermazione, in filo di paradosso, di Alfredo Foni, poi fatta propria da Gianni Brera, che lo 0:0 sarebbe il risultato perfetto.
Ma, ammesso che la media attuale perduri nelle prossime 38 partite, questo avvio prolifico di torneo è comunque la conferma di quello che negli anni recenti si è cominciato ad avvertite anche nelle altre competizioni internazionali e nazionali. Vale a dire un mutamento culturale che torna a prediligere - dopo la dark age degli anni 1990s e 2000s - un'idea di gioco caratterizzata dalla ricerca di un gol in più rispetto a quelli segnati dall'avversario, e di cui sono espliciti fautori Bielsa, Guardiola e Benitez, per citare i più convinti esponenti di questa vague [vedi le riflessioni di Jonathan Wilson già nel novembre del 2012].
"Primo darle", cioè, e non più "primo non prenderle". Una cultura che non appartiene al calcio italiano, come conferma anche questo mondiale. Nonostante il passing game predicato da Prandelli gli Azzurri hanno disputato partite con 2 soli gol di media. Il gioco all'italiana è un'attitudine antropologica difficile da trasformare, e riemerge proprio nelle occasioni importanti. E d'altra parte, dobbiamo essere orgogliosi della nostra tradizione visti i risultati assoluti che ha conseguito da Pozzo e Rocco a Lippi e Ancelotti.
Poi è ovvio che, come ricorda Mario Sconcerti d'intesa con Monsieur Jacques de La Palice, "il gol resta una prodezza o un errore". Ieri, per esempio, gli errori di Balotelli e Chiellini o le prodezze di Benzema o Xhaka. Ma è proprio questo il fascino del gioco che amiamo, perché insegue la perfezione nell'impossibilità di conseguirla.
Azor